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In Breve

| 16 febbraio 2015, 17:00

L'Alba che al mare non c'è

L'Alba che al mare non c'è

Un bar sull'autostrada Torino-Savona. E' un giorno sul finire degli anni Sessanta. Un cliente si avvicina all'espositore di prodotti Ferrero, che è quasi vuoto, e chiede ai titolari perché sia così spoglio. 

Bruno e Maria Pia, interpellati dal distinto avventore, replicano candidamente: "Abbiamo venduto praticamente tutto e non abbiamo ancora avuto tempo di riempirlo con altri cioccolatini e ovetti". 

"Se mi date la scatola - dice il signore dall'accento piemontese - ve lo riempio io il dispenser". E così ripopola l'espositore di dolci attrazioni per il palato. La coppia offre un caffè al gentile e improvvisato aiutante, che sorride: "Io sono Michele Ferrero. Ci tengo che i miei prodotti siano ben esposti e visibili". 

Bruno e Maria Pia per trent'anni hanno gestito quell'esercizio sull'autostrada. In altre occasioni hanno avuto modo di ospitare il cliente eccellente, monsu Michele, rimasto sempre fedele a se stesso come identica è rimasta per mezzo secolo la Nutella, lovebrand osannato da milioni di persone nel mondo. 

In una società liquida e mutevole, la crema spalmabile nata in una piccola pasticceria di Alba è riuscita a conquistare generazioni, senza mai cambiare. E' un successo iconico capace di attraversare la storia recente, modello di globalizzazione virtuosa. 

Eppure dietro a questo successo planetario e mitologico, dal valore di 9 miliardi di fatturato e maestranze in 97 nazioni, c'è una visione da old economy: niente Borsa, niente alta finanza, nessuna acquisizione o fusione. Gestione personale dell'azienda (il pioniere d'industria che non disdegna di piazzare i prodotti nel dispenser di un singolo punto vendita) e cura del prodotto. 

Già alla fine degli anni Sessanta, aeroplani promozionali buttavano giù piccoli paracadute sulle spiagge liguri: dentro c'erano prodotti Ferrero in monoporzioni. Qualcuno che da ragazzino andava in vacanza a Pietra Ligure o in colonia ad Arma di Taggia se lo ricorderà. Proprio in Riviera, fra l'altro, a Loano, si è stabilito da alcuni anni William Salice, collaboratore storico del marchio dolciario che per quarant'anni ha collaborato a stretto contatto con Michele Ferrero. 

Ovetti Kinder, Rocher, Mon Chéri, Tic Tac, Estathé sono tutte derivazioni ideali di Nutella, il driver che ha proiettato l'impianto dolciario di Alba sino ai vertici mondiali. Ma dietro al longseller della golosità, non c'è solo un marchio: c'è un insieme di valori. L'amore per il territorio (le Langhe dei noccioli e Alba) ha reso la comunità rurale un'impresa e, viceversa, ha fatto dell'impresa una comunità. Realizzando prosperità a partire dal clamoroso successo di un'idea semplice: rendere il gianduiotto spalmabile.  

Un capitalismo a misura d'uomo, quello che c'è dietro la Nutella, non soltanto fenomenologia di gusti dell'infanzia: una gigantesca famiglia operosa. Già nel 1956 la società assunse un'assistente sociale perché si occupasse delle necessità dei lavoratori. Precursore del welfare aziendale, Ferrero ha creato circoli, asili, ambulatori, viaggi, case e, specialmente, ha evitato lo spopolamento delle campagne che Fenoglio descrisse nella "Malora". Lì, nelle campagne della fatica, la vita dura si è addolcita e ammorbidita come spalmata su una fetta di pane. 

Quella di Michele Ferrero non è solo una lezione di modestia (mettersi sempre al servizio del cliente e della filiera di vendita), ma è anche l'indicazione di una via: ritornando all'economia primaria, al valore dell'agro-alimentare, i territori che hanno un patrimonio di sapori possono creare lavoro e ricchezza. Non mancano oggi le industrie. Mancano gli uomini industriosi e in Liguria, in particolare, non c'è mai stata nessuna Alba. Ci sia concessa un po' d'invidia per quel profumo di nocciole tostate che soffia dal Monviso su Nutellopoli, l'intrigante hazelnet pollution che inebria una città, a noi abbastanza vicina eppure così lontana, che ha dimostrato di saper lavorare. 

Felix Lammardo

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