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Eventi | 02 dicembre 2016, 10:47

A Savona arriva "Antipodi" una mostra da non perdere

A Savona arriva "Antipodi" una mostra da non perdere

Presentazione della mostra Antipodi GULLIarte visitabile dal 3 dicembre 2016 all'8 gennaio 2018 a Savona in Corso Italia 291

 

  • LA CARTA: ALEX RASO / UMBERTO STAGNARO
  • LA PITTURA: ANTONIO PUGLIESE / FRANCO SUMMA
  • L'ARGILLA: LORENZO ACQUAVIVA / ALFREDO GIOVENTU'
  • IL VETRO: MIRIAM DI FIORE / BRUNO GORGONE

Se gli antipodi fossero abitati da gente che stava a testa in giù fu questione assai dibattuta nel corso dei secoli. Oggi non più, certo, perché il mondo è cambiato, ma la questione rimane, almeno in senso figurato, ogni volta che ragioniamo di persone, di fatti, di idee che si pongono, per definizione, all'opposto.

Poli opposti si attraggono, ci insegna la fisica; il più e il meno si annullano, ci informa la matematica; il prima e il dopo non si incontrano mai, ci ammonisce la vita, per via di quella cosa da nulla che eternamente scorre, separandoli, chiamata  “presente”, dove, guardacaso, ci tocca di stare.

L' idea della mostra è quella di provare coi fatti se davvero gli opposti si attraggano, se veramente si annullino, se non sia possibile farli incontrare in un attimo e un luogo preciso dove, guardacaso, noi siamo: una galleria d'arte.

Da qui l'invito a quattro coppie di artisti di incontrarsi/scontrarsi ciascuno con il proprio antipode,al cui opposto, lontanissimo, risiede ed agisce, ma a cui è ineluttabilmente in qualche modo apparentato, se non altro per l'uso dello stesso fisico  materiale.

La carta, la pittura, la ceramica, il vetro: quattro campi sconfinati, quattro punti cardinali, fra gli altri mille e mille, che orientano l'uomo, da sempre, nel suo ricercare, attraverso materie diverse, l'identità del proprio fare e del proprio dire; nel suo trarre dalla materia la sostanza per suscitare emozione e i modi giusti per farlo; nel suo azzardare ad ogni passo la speranza di un approdo a quella verità intuita dall'uomo artista, la cui espressione non gli appare possibile senza l'uso di materia alcuna, fosse anche di parola, di movimenti del corpo, di suoni.

Un'antipodia concettuale, quella fra i neuroni e gli atomi, fra i pensieri e le molecole, fra le idee concepite della bellezza e le sostanze deputate a fornire a quella stessa bellezza corpo e sembiante.

La carta si è offerta all'uomo da qualche millennio come il luogo della conservazione del tempo: la pelle della memoria, il tatuaggio delle cose passate, il novero dei fatti accaduti, l'azzardo profetico degli eventi a venire.

Ha rubato la scena all'argilla, quando la propensione di questa alla conservazione di numeri e segni per mezzo di un dna minerale, duraturo, a prova di acqua e di fuoco, ha mostrato il suo limite strutturale di tavoletta incisa. Per contro la carta, dotata di un dna vegetale, ha mostrato un'organica, elastica leggerezza ed una capacità senza limiti ad accogliere, con precisione mirabile e pazientissima fedeltà, non solo i fatti, non solo il loro racconto, non solo l'organizzazione dei rapporti fra i fatti, o fra i fatti e i racconti, o fra i racconti ed altri racconti, ma perfino le sfumature dei linguaggi, gli accenti, i profumi  e, miracolosa magia, le figure. La carta si è vestita di segni e di forme; il carbone,

l'inchiostro, i pigmenti ne hanno fecondato il grembo, il foglio è divenuto libro, il libro è divenuto atlante, bestiario, incunabolo, album di fotografie; la parola è stata la chiave che ha dischiuso orizzonti di tempo e di spazio e di sacro e di non limitato pensiero.

La carta, un mezzo così semplice, così alla portata di tutti. La pittura si è posta piuttosto come il veicolo e la parte visibile della meraviglia. Non è un materiale: non è solo tavola, o tela, o intonaco. La pittura è un'azione, è far apparire qualcosa laddove non è.

E' pensiero che prende forma e colore e tempo e spazio e storia e speranza, sul limitato universo di una superficie. Piatta, banale, prosaica. Ma su quel rettangolo trova casa, prende corpo e canta la meraviglia.

E canta a gran voce, e disturba, e stupisce, e coinvolge, e cambia la vita. Può farlo per pochi o per molti, per gente diversa, in modi diversi, in tempi diversi, in direzioni diverse. E' pensiero che mette in moto pensieri. Pensieri che guardano dentro. Pensieri che guardano fuori.

L'argilla, felice metafora alla base dell' ancestralità di tante culture, è il materiale di cui  è fatto l'uomo.

E' il tessuto iniziale. E' l'uomo stesso. L'argilla è terra che passa per l'acqua, per l'aria e per il fuoco e diviene perenne. L'uomo, che è terra e acqua insieme, e che dall'aria assorbe la vita, si serve del fuoco, ma non può attraversarlo. L'argilla si. E dunque l'uomo si serve di essa e proietta attraverso questa la sua fantasia, la sua capacità di produrre gli oggetti a lui necessari, la sua sapienza di “faber”, la sua mirabile dote che è il “fare il mestiere di Dio”, plasmare le forme, dar loro un'anima esatta, renderle tramite il fuoco perenni, ferme nel tempo. L'argilla è madre della scultura: ne ha disegnato il ruolo, ne ha scandito i modi, prima che la pietra e i metalli si offrissero all'uomo per altre avventure.

I modi mutevoli dell'argilla sono tali e tanti, quanto lo sono i modi dell'uomo. L'argilla è quest'uomo e al tempo stesso il suo antipode.

Il vetro invece è follia. Il vetro sussurra all'orecchio dell'uomo con la sua voce suadente, con il brivido delle sue qualità e lo trascina nelle spire di una malìa che lo inebria e gli dona le vesti del mago.

Il vetro è paradossale: sa essere liquido fino al punto di colare a riempire una forma, di farsi foggiare da un soffio; sa essere magma per farsi plasmare dal ferro, e pressare, e stirare in lastre sottili; sa essere duro come sasso e fragile come nessuna altra cosa; sa essere opaco come marmo e trasparente come acqua e sa trattenere la luce ed essere luce e colore di luce.

Sa contenere i liquidi e sa conservarli e sa essere incorruttibile. Ce n'è abbastanza da perdere il senno. Sa essere un formidabile interprete per le sfide dell'arte.

Otto artisti dunque, per quattro mondi. Per ogni mondo due poli, agli antipodi.

Una scusa, se mi è concessa, per tentare un viaggio inusuale attraverso geografie inconsuete, un'esplorazione alla ricerca della bellezza (supponendo che la bellezza, di questi tempi, possa essere ancora un'identità dell'arte), insieme con la leggerezza, l'incisività, l'esattezza, il gesto, la rapidità, la forza, la poesia, lo stupore, il mistero, la verità.

Sono cose semplici e complicate, che ci circondano e che spesso non riusciamo a vedere. Dobbiamo saper guardare, qui, a un passo, nella nostra città.

Questa vuole essere un'occasione per farlo, senza dover andare a cercare fino all'altro capo del mondo. Perchè ogni atto creativo può essere letto e compreso, e in esso può trovarsi il tutto e il contrario del tutto. Gli antipodi, appunto.

cs

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