Attualità - 23 maggio 2017, 07:58

#PalermoChiamaItalia: Falcone e Borsellino 25 anni dopo. Intervista a Giovanni Impastato nell'anniversario dalla strage di Capaci: “Un momento di rottura e di consapevolezza”

Questo il suo ricordo di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, che ha conosciuto, e il racconto di una mafia, quella di oggi, in continua evoluzione, ma anche di un movimento antimafia che non si arrende.

#PalermoChiamaItalia: Falcone e Borsellino 25 anni dopo. Intervista a Giovanni Impastato nell'anniversario dalla strage di Capaci: “Un momento di rottura e di consapevolezza”

Era il 23 maggio 1992 quando il giudice Giovanni Falcone venne assassinato a Palermo in quella che tutti ormai ricordiamo come 'la strage di Capaci'. Stava tornando, come era solito fare nei fine settimana, da Roma, l'attentato fu messo in atto da Cosa Nostra sul'autostrada A29 nei pressi dello svincolo di Capaci, nel territorio comunale di Isola delle Femmine, a pochi chilometri da Palermo. A perdere la vita furono Falcone, sua moglie Francesca Morvillo e tre agenti della scorta: Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro. Gli unici sopravvissuti, Paolo Capuzza, Angelo Corbo, Gaspare Cervello e l'autista giudiziario Giuseppe Costanza.

Il 19 luglio fu la volta di Paolo Borsellino, assassinato assieme a cinque agenti della sua scorta nella 'strage di via D'Amelio'. Oggi a Palermo si svolgerà la manifestazione commemorativa #PalermoChiamaItalia, a 25 anni da due attentati che hanno segnato la storia del nostro paese e che hanno tracciato una linea di confine nella percezione della mafia. Di seguito l'intervista a Giovanni Impastato, fratello di Peppino, giornalista ucciso in un attentato di stampo mafioso nella notte fra l'8 e il 9 maggio 1978. Da tempo legato alla Liguria ed impegnato in tutta Italia nella diffusione della cultura della legalità. Questo il suo ricordo di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, che ha conosciuto, e il racconto di una mafia, quella di oggi, in continua evoluzione, ma anche di un movimento antimafia che non si arrende.

25 anni dalla strage di Capaci, com'è cambiato il sistema mafioso? “Le stragi del '92 sono il frutto di una mafia che va allo scontro diretto con le istituzioni. Una mafia stragista, diretta da Toto Riina, che non ha ottenuto quello che pensava e che mostra quindi la sua forza rispetto allo Stato. Oggi non è più questo, è completamente diversa la possiamo definire una mafia sommersa, che non va allo scontro con lo Stato perché non ne ha bisogno, dal momento che è riuscita a collocarsi benissimo all'interno delle istituzioni, del sistema economico, politico e telematico. Da questo punto di vista il cambiamento è stato notevole. E' cambiata così com'è cambiato l'identikit del mafioso. Oggi si parla di borghesia mafiosa, di colletti bianchi, questo progetto di cambiamento è stato messo in atto.

Nell '92 si va allo scontro diretto con lo Stato perché c'era stato il maxiprocesso, una vittoria per lo Stato, il coronamento di tesi come quella sostenuta da Falcone, non a caso hanno colpito proprio lui. Oggi i rapporti fra mafia e Stato sono abbastanza consolidati per quanto riguarda una serie di cose: geograficamente poi è cambiato tutto: se oggi qualcuno mi chiedesse se c'è più mafia il Lombardia o in Sicilia, non avrei nessuna difficoltà nel rispondere la prima.”

Questi sono stati anche 25 anni di un lungo lavoro fatto nelle scuole per la diffusione della cultura della legalità. Le stragi di Falcone e Borsellino, ma anche quella di Firenze, hanno fatto venir fuori la consapevolezza che bisognasse fare sul serio. Non a caso sono aumentati gli incontri nelle scuole, sono cresciuti altri movimenti antimafia, si sono organizzate in maniera sempre più intensa e forte le giornate della memoria. C'è stata una risposta dal basso con grandi mobilitazioni antimafia. A partire da Palermo, ma anche a livello nazionale. Ricordiamo che il 21 marzo sono scese in piazza centinaia di migliaia di persone, così come in altri contesti, anche per quanto riguarda il 9 maggio a Cinisi ogni anno le iniziative in memoria di Peppino, assumono un prestigio maggiore e le presenze aumentano sempre di più. Nelle scuole si lavora moltissimo: progetti sulla legalità, seminari, non possiamo dire che tutto è rimasto come prima. Tutto è cambiato, ma l'azione di contrasto deve avvenire con la memoria, la ricerca e lo studio, altrimenti non la mafia non la sconfiggeremo mai.

Che ricordo ha di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino? Ho avuto la fortuna di conoscerli entrambi. Giovanni Falcone era preparatissimo, uno dei più grandi giudici nella storia del nostro paese, una persona molto intelligente, una mente raffinatissima, di una grande sensibilità. E' stato uno che ha anticipato i tempi per quanto riguarda il contrasto alla mafia, aveva capito come lottare, era uno che i mafiosi li aveva avuti a pochi passi, conosceva lo 'stile del mafioso', basti pensare ai dialoghi che aveva con Buscetta, quando pretendeva di essere chiamato 'Signor Giudice'. Personalmente l'ho conosciuto perché ha seguito l'inchiesta su mio fratello Peppino, ho avuto un colloquio con lui molto pesante. Quando mi interrogava si scriveva i verbali da solo, cosa che gli feci notare e lui non fu gentile nei miei confronti. Mi disse: “Lei non deve fare domande, ma deve rispondere, io in questo momento sono il Giudice, quello che deve arrivare alla verità sulla morte di suo fratello”. Si accorse che ci rimasi male e allora mi disse “Ma non è che per caso lei aveva premura?” “No” gli risposi “Dottor Falcone io sono disposto anche a dormire qui”. Al contrario Paolo Borsellino era molto più dolce, di una umanità impressionante rispetto a Falcone. Non ha mai seguito l'inchiesta su mio fratello, abitava vicino alla mia attività e ci incontravamo spesso con lui e la sua famiglia.”

Simona Della Croce

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