Al Direttore - 03 giugno 2018, 08:00

Savona, rottura anfore nel museo archeologico, l'ex direttore Varaldo: "Offeso dalla denuncia, incidente negligenza del comune"

Il prof. Ordinario di Archeologia medievale - Università degli Studi di Genova e direttore della Scuola di Specializzazione in beni archeologici ha voluto spiegare tutta la vicenda

Savona, rottura anfore nel museo archeologico, l'ex direttore Varaldo: "Offeso dalla denuncia, incidente negligenza del comune"

Giovedì 24 maggio è stata comunicata, senza alcun preavviso e in modo del tutto inaspettato, a mia moglie e a me l’esistenza di un procedimento penale avviato dal Comune di Savona in merito alla responsabilità per la rottura di due anfore di età romana di proprietà del Comune stesso ed esposte nel Civico Museo Archeologico e della Città, gestito dall’Istituto Internazionale di Studi Liguri, della cui Sezione Sabazia sono presidente.

L’incidente avvenne nella serata del 31 ottobre 2016, quando il Museo era chiuso e da poche ore non più sotto la responsabilità dell’Istituto, dal momento che il Comune aveva deciso di chiuderlo a tempo indeterminato, interrompendo una gestione che si protraeva dal 1990. A causa, infatti, del forte vento, la porta a vetri del Museo (di cui avevamo ripetutamente segnalato al Comune il continuo movimento in mancanza di un fermo di chiusura) favoriva il passaggio di una corrente d’aria che faceva cadere il pannello di cartone posto a schermo delle anfore e, di conseguenza, due delle quattro anfore. L’accusa per la quale siamo stati incriminati è quella di aver collocato le quattro anfore all’ingresso del Museo senza la preventiva autorizzazione della direzione del Servizio Musei.

In realtà, la scelta di collocare quei reperti all’ingresso del Museo, con un pannello relativo all’area archeologica retrostante, era stata effettuata nel corso dell’elaborazione del Progetto Europeo Accessit, gestito dalla Regione Liguria, con il quale il Comune ha potuto realizzare tutta una serie di interventi per una migliore accessibilità ai locali del Museo ed aprire l’intera esposizione del primo piano. Era stato, infatti, rilevato che il visitatore della fortezza, passando davanti alle vetrate del Museo archeologico non aveva la chiara percezione dei contenuti del Museo stesso, dal momento che la Sala ad Ombrello si presentava come semplice spazio di accoglienza, con il grande bancone e un’esposizione di libri.

Di tale scelta progettuale si era fatto cenno nel corso dei periodici incontri che venivano organizzati in Regione per un aggiornamento sullo stato di avanzamento del progetto fra tutti i responsabili dei musei regionali coinvolti, incontri ai quali era presente un funzionario della Soprintendenza ed ai quali l’Istituto Internazionale di Studi Liguri è stato sempre presente (la dott.ssa Lavagna, quale responsabile scientifico, e, più raramente, il sottoscritto). Che la dott.ssa Mattiauda sostenga di non esserne mai stata informata mi lascia profondamente meravigliato: certamente lei è stata assente ad alcune delle riunioni a Genova, ma era invece presente (ma evidentemente era distratta) quando dello specifico problema si è parlato nel corso di una visita effettuata da un funzionario regionale presso il Museo savonese, con lo specifico fine di prendere visione di tale realtà museale e di verificare lo stato di avanzamento degli interventi del progetto. Dal momento che tale intervento non comportava spese (del costo del pannello, di € 59,34, se ne era fatto carico l’Istituto gestore, mentre lo spostamento delle quattro anfore sarebbe avvenuto a cura del personale del Museo stesso) esso non risulta naturalmente comparire nel bilancio finale delle spese del Progetto Accessit.

Comunque già in data 4 novembre 2016 comunicavo la disponibilità dell’Istituto di Studi Liguri a farsi carico del restauro, restauro che è stato egregiamente portato a termine, su autorizzazione della Soprintendenza, dalla restauratrice Maria Gargano. Segnalo che, contrariamente a quanto affermato in sede di testimonianza dalla dott.ssa Mattiauda, le due anfore non erano integre, ed una di esse presentava anche evidenti segni di un pessimo restauro ottocentesco, mediante mastice nerastro.

Questo per quanto riguarda i fatti. Ma la cosa che maggiormente mi preme segnalarvi è il profondo sconcerto ed anche dolore per tale vicenda e per il trattamento subito.

Senza le ricerche archeologiche dell’Istituto Internazionale di Studi Liguri e la personale partecipazione mia e di mia moglie dott.ssa Lavagna oggi non potremmo disporre di un Museo che è stato segnalato dal Centro di Didattica museale dell’Università Roma Tre tra i più significativi a livello nazionale e che ancora nel 2017 si è classificato secondo in Italia nel Premio Riccardo Francovich, destinato a quelle realtà museali post classiche che rappresentano “la migliore sintesi fra rigore dei contenuti scientifici ed efficacia nella comunicazione degli stessi verso il pubblico dei non specialisti”.

Museo che è stato realizzato e costantemente aggiornato dal nostro impegno, che costituisce un punto di riferimento per l’attività di ricerca scientifica e per l’attività didattica, in particolare con l’Università degli Studi di Genova(ricordo quanto espresso sul Museo savonese dal Rettore dell’Ateneo genovese prof. Paolo Comanducci in una lettera del 21 dicembre 2015 al Sindaco di Savona: “… attivo centro di ricerca affermatosi a livello nazionale ed internazionale, e sede ideale per la formazione sul campo degli studenti del Corso di laurea in «Conservazione dei Beni Culturali», tramite stage, tirocini ed attività di scavo”), che, grazie alla presenza di personale estremamente qualificato e appassionato, ha svolto un’insostituibile attività didattica rivolta alle giovani generazioni e che ha costruito una realtà straordinaria; realtà che, in questi ultimi anni, e questo lascia sconcerti, si è cercato in tutti i modi e con pervicacia di fare scomparire.

Personalmente mi sento offeso per l’azione di denuncia avviata dal Comune nei nostri confronti, rei di aver messo in atto un intervento finalizzato ad una migliore visibilità del Museo e favorirne la fruizione, a beneficio di quella che è un’istituzione comunale. Neppure la precedente collocazione delle anfore nel locale attiguo era stata peraltro disposta dalla dott.ssa Mattiauda, ed è sempre stata lasciata una certa libertà all’ente gestore nell’organizzare la fruibilità interna delle collezioni; collezioni che, è il caso di ricordare, sono per la stragrande maggioranza (95%) frutto delle ricerche realizzate, su concessione ministeriale, dall’Istituto Internazionale di Studi Liguri e sulle quali l’Istituto stesso esercita particolari diritti scientifici.

E’ tra l’altro singolare essere coinvolti in un procedimento penale per un comportamento finalizzato al bene del Museo e che è stato interamente risanato senza alcun onere per il Comune, ben diversamente da quanto successo nel settembre del 2003, quando un intero museo, il Cuneo, allora collocato nel Cellulario di S. Bernardo al Priamàr, venne pesantemente danneggiato e ripetutamente vandalizzato, non essendo stata effettuata la necessaria vigilanza e controllo da parte di chi ne era responsabile.

Voglio ricordare quanto, in questi anni, il Museo sia stato sottoposto a tutta una serie di incredibili situazioni che, anziché valorizzarlo, hanno cercato in ogni modo di penalizzarlo:dal 2013 quando ci venne imposto di restituire le chiavi del deposito archeologico, con gravissime ripercussioni sull’attività di tirocinio con l’Università di Genova; al 2014, quando un pool di cooperative hanno proposto alla precedente Amministrazione la gestione dell’intero complesso del Priamàr, Museo compreso; alla gestione nel 2015 di una gara di appalto vinta (per meno di 1punto su cento) da quelle stesse cooperative e che sia il TAR (aprile 2016) sia il Consiglio di Stato (ottobre 2016) hanno stigmatizzato per i gravi illeciti; Museo che è stato costretto, per rimanere in vita per il bene e per la cultura della Città,ad essere gestito da volontari che, con ammirevole impegno civico e disponibilità, lo hanno tenuto aperto per questi 18 mesi. Tengo a precisare che tutto il mio lavoro, in quasi trent’anni di impegno per la realizzazione, prima, e per la gestione, poi, del Museo è stato a titolo totalmente gratuito e questo è il ringraziamento.

 

Carlo Varaldo, prof. Ordinario di Archeologia medievale - Università degli Studi di Genova, direttore della Scuola di Specializzazione in beni archeologici

Lettera al Direttore

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