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Solidarietà | 10 gennaio 2019, 15:30

A Finalpia nasce "Eamus", una nuova importante realtà sociale per tornare a "parlarsi"

Precisano i fondatori: "Non ci sovrapponiamo ai consultori nei problemi psicologici né ai servizi sociali per quelli economici. Il nostro è un punto di ascolto con utili consigli per affrontare insieme la quotidianità"

A Finalpia nasce "Eamus", una nuova importante realtà sociale per tornare a "parlarsi"

Si chiama “Eamus” una nuova realtà di elevata valenza sociale che ha da poco preso forma in via Asilo 6, a Finalpia, a due passi dalla meravigliosa chiesa abbaziale.

Di che cosa si occupa “Eamus” lo capiremo nel corso dell’articolo, ma per entrare pienamente nello spirito di questo progetto bisogna partire dai primi passi. E ce li racconta Ferruccio Diana, uno dei promotori dell’iniziativa, descrivendoli come se fossero una favola, conclusa da una edificante morale.

“C’era una volta una anziana signora che aveva due figli, ma anche un nipote che viveva lontano. Quando essa venne a mancare lasciò una casa nel Finalese, ma i due figli conducevano una vita agiata e non erano molto interessati a che cosa succedeva in quei luoghi per loro distanti. Decisero così di lasciare quella casa in gestione al cugino, pensando che se egli avesse lasciato crollare la casa senza curarsene la colpa sarebbe stata la sua; se invece l’avesse riportata agli antichi fasti il merito sarebbe stato il loro per aver scelto la persona più valida. Quel cugino era don Franco, oggi parroco di Finalpia, uomo che non soltanto è benvoluto e apprezzato dai suoi parrocchiani, ma ha anche ricevuto molteplici riconoscimenti e attestati dalla cittadinanza e dall’amministrazione per l’enorme lavoro che ha saputo fare con i giovani, lo sport, gli eventi, la riscoperta delle tradizioni di un tempo e la valorizzazione di quelle che potranno diventare tradizioni di domani. Ma in tutto ciò, il gesto più lungimirante di don Franco è stato quello di portare l’ufficio parrocchiale fuori, lungo una stradina, a disposizione di tutti quelli che passano da quella strada”.

Ed eccoci arrivati alla nascita di “Eamus”, frutto della volontà di don Franco, che spiega ancora: “Fondamentalmente è avere un luogo per parlare, potremmo in un certo senso definirlo come ‘la parte laica dell’ufficio parrocchiale’, nel senso che non si occupa di affrontare bisogni classificabili come strettamente religiosi ma, al contrario, fa riferimento alla nostra Costituzione, cioè ascoltare senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.

Precisano subito i fondatori: “Noi non rubiamo lavoro o spazio a nessuno e non siamo sovrapponibili a nulla di già esistente: per i disagi di carattere psicologico esistono strutture preposte come i consultori, i centri di salute mentale, i Sert, mentre per i problemi di ordine economico esistono i Servizi Sociali del Comune e numerose realtà associative aderenti alla Consulta del Volontariato, come la Caritas o San Vincenzo. Pertanto, se ci troviamo di fronte a problematiche relative a queste sfere della vita indirizziamo i nostri interlocutori verso chi può occuparsi di loro nel modo più giusto. Noi vogliamo soltanto che i nostri volontari dedichino un’ora del proprio tempo a chi non riesce da solo ad affrontare tanti piccoli problemi della quotidianità perché è proprio nei meandri di essi che si annida poi l’origine del grande disagio. Un tempo, negli spazi ridotti delle realtà paesane, il medico o il parroco si recavano a casa della gente e ci si ritrovava a parlare di tutto, a scambiarsi consigli e suggerimenti. Oggi viviamo nell’era dei social network eppure, pur con tutta questa sovraesposizione alla comunicazione, la gente non sa più parlare, dialogare, confrontarsi. Ognuno è chiuso nel suo mondo, con la testa china sullo smartphone”.

E come esempio, senza fare nomi, luoghi, date, i volontari ci raccontano uno dei primi casi affrontati: “Una ragazza doveva risolvere una questione e sembrava davvero che non sapesse più dove sbattere la testa. Eppure, semplicemente parlandone con noi, si è chiarita, ha visto l’ostacolo che apparentemente non riusciva a superare, ha messo in fila i tasselli e il quadro le è diventato più chiaro. Ha semplicemente trovato le sue risposte dentro di sé. Noi non organizziamo cicli di sedute come farebbe uno psicoterapeuta: semplicemente chi ci contatta può recarsi da noi una sola volta, parlare del suo problema e, come è successo a questa ragazza, chiarirselo e poi eventualmente trovare le strategie per risolverselo”.

Venendo al significato del nome: “Eamus è un verbo latino, un congiuntivo esortativo. Significa: andiamo! Ma non è un ‘armiamoci e partite’ è un ‘muoviamoci insieme’, il pronome personale di riferimento è sempre ‘noi’, il desiderio di confrontarsi e di condividere testimonianze ed esperienze, di costruire qualcosa basato sui valori, ormai una parola troppo spesso bistrattata. Poi vuol essere anche una fucina di idee per migliorare sempre più il nostro vivere quotidiano”.

Oggi il confronto sui social network, purtroppo, spesso non è così costruttivo ma, al contrario, talvolta i toni si alzano con arroganza e aggressività. Così Ferruccio Diana commenta questo spiacevole risvolto: “Stiamo vivendo un’epoca buia, un nuovo medioevo sotto molti aspetti; un ‘vince chi fa la voce più grossa’, chi riesce a cavalcare l’ignoranza dilagante che vuole risolvere il problema nell’immediato, salvo poi l’indomani lamentarsene nuovamente. E caratteristica di queste ere è quella di ritrovarsi spesso tutti troppo arroccati sulle proprie posizioni in ideologie conservatrici che per loro filosofia non possono lasciare spazi alla dignità e alla libertà dell’altro. La vita non è solo bianca o nera, ci sono infinite sfumature di grigio, che si possono anche colorare con le mille tinte date da due grandi pennelli, la fede in qualcosa (che, lo ripetiamo, può essere anche un progetto laico) e le idee”.

E qui entra in gioco un altro importante aspetto di Eamus, quello culturale, come ci spiegano i fondatori: “In Abbazia abbiamo una grande biblioteca (circa ottantamila titoli), vorremmo organizzare delle giornate culturali, possibilmente con qualche testimonial illustre che garantisca visibilità, per rilanciare questo enorme patrimonio e fare avvicinare le persone a quella che è una vera e propria ricchezza finalese”.

Concludendo: come si fa a diventare volontari per Eamus o per fruire dei servizi di questa iniziativa? Spiegano i fondatori: “Siamo partiti da poco prima di Natale e stiamo ancora ‘prendendo le misure’ su tutto, dal fabbisogno di volontari ai giorni e gli orari più richiesti dall’utenza. Al momento in via Asilo 6 si può trovare don Franco tutti i giovedì dalle 15:30 alle 17, mentre per informazioni o per prenotare incontri in altri giorni e orari si può chiamare il 347/8555994”.

L’incontro si conclude con questa riflessione: “Ovviamente Eamus è aperta a chiunque, non solo ai Finalesi. Anzi, spesso chi ha bisogno di parlare preferisce farlo al di fuori in una comunità dove non è troppo conosciuto…e poi, ancor di più, in questo mondo di dis-social (perché è questo che, anche se non lo dice nessuno, sta sotto l’esplosione dei vari facebook , twetter ed altri) non si può essere felici se non lo sono anche gli altri”.

Alberto Sgarlato

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