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Attualità | 18 marzo 2019, 16:00

Festa Patronale di Savona, l'Omelia del Vescovo: "La politica come amicizia civica"

Monsignor Marino: "possiamo sognare la politica non come scontro, ma come incontro, non come un gioco a chi grida più forte, ma come un dialogo faticoso tra diversi"

Festa Patronale di Savona, l'Omelia del Vescovo: "La politica come amicizia civica"

Si è svolta oggi la Festa Patronale di Savona (leggi tutti i dettagli QUI).

Ecco l'Omelia di Monsignor Calogero Marino, Vescovo della Diocesi di Savona-Noli:

(il testo integrale e i passaggi più significativi)

“Il testo di Luca come icona di amicizia fra due donne, Maria ed Elisabetta, diverse, ma accomunate dalla fede nel Dio dell’alleanza e dalla attesa di un figlio … e l’evangelista invita a guardare nel profondo, all’amicizia fra Gesù e il Battista nella pancia delle loro mamme”. “L’icona evangelica, allora, ci aiuta a leggere quanto accaduto il 18 marzo 1536: Maria appare ad Antonio Botta portando la misericordia di Dio che prende il volto di Gesù”. Questi passaggi molto belli e significativi, aprono il commento alla lettura evangelica nell’omelia del vescovo Calogero Marino, un testo come sempre ricco di spunti che, nella seconda parte, si concentra su un forte richiamo alla politica vista come “Amicizia civica”. “Abbiamo bisogno di ritrovare passione e impegno per una politica con la P maiuscola e nel cono di luce dell’incontro tra Maria ed Elisabetta, possiamo sognare la politica non come scontro, ma come incontro”. Ha affermato monsignor Gero. “Una beatitudine in particolare mi sembra necessario riscoprire oggi: la mitezza. Se il Signore ci donasse anche oggi politici miti! – ha sottolineato ancora il presule che poi, con riferimento anche al prossimo appuntamento elettorale europeo ha aggiunto – penso che proprio qui, nel luogo della apparizione, possiamo chiedere a Maria di darci intelligenza e immaginazione per riprendere in mano il sogno di un umanesimo europeo inclusivo e ospitale, il sogno di una fede che abiti la vita reale e le scelte quotidiane di ciascuno di noi”.

“Saluto di cuore e ringrazio ciascuno di voi, per la vostra presenza al Santuario, nel giorno della nostra festa. Saluto innanzi tutto monsignor Vittorio, che è per me come un padre, oltre che fratello e amico. Saluto i presbiteri, i diaconi, i religiosi e le religiose. Saluto il popolo santo di Dio che è in Savona, in particolare i malati e chi vive un tempo di fatica. Ringrazio per la presenza, che per noi è molto preziosa, il prefetto, il sindaco e tutte le Autorità civili e militari. Un grazie sentito a don Domenico Venturetti, che in questi anni ha custodito il nostro Santuario con dedizione quotidiana e tenerissimo amore a Maria, affrontando anche situazioni avverse o non facili. Ringrazio anche le Confraternite, e in particolare la Confraternita del Cristo Risorto e la rappresentanza delle Confraternite lombarde; ringrazio tutti coloro che hanno reso bella questa celebrazione, in particolare gli amici che vengono dalla Diocesi di Acireale, che hanno donato i fiori  e ai quali vogliamo esprimere vicinanza profonda, per le ferite grandi che hanno subito col recente terremoto. Celebro questa Eucaristia per tutti voi e per le vostre più personali intenzioni. E  celebro anche per i tanti defunti che non sono nel cuore e nelle preghiere di nessuno; prego in particolare per Andrea, morto qualche settimana fa in un capannone, a Savona.

E’ il mio terzo 18 marzo e anche quest’anno sono felice, nel vedere l’amore di Savona per questo Santuario e per Maria, N.S. di Misericordia: ci siamo alzati presto e ci siamo messi in cammino come “carovana solidale”, “santo pellegrinaggio”, direbbe il Papa (cfr. EG n.87). Ci siamo lasciati chiamare da Maria: il pellegrinaggio, infatti, non nasce da un impegno della volontà o da uno sforzo muscolare, ma è sempre risposta ad una chiamata che attrae. Ecco: vorremmo essere Chiesa (ma anche Città!) che si lascia attrarre dal Signore. E non solo oggi, ma ogni giorno.

Mi piace oggi rileggere con voi il testo di Luca che abbiamo appena ascoltato come icona di un incontro riuscito, come icona di un’amicizia tra due donne in attesa: Maria, la giovane donna di Galilea che, visitata dall’angelo, si mette in cammino verso la montagna (come del resto abbiamo fatto oggi noi); Elisabetta, anziana e sterile, alla quale Dio, come d’improvviso, riapre il cammino della speranza. Donne diverse per tante ragioni, ma accomunate dalla fede nel Dio dell’alleanza e dalla attesa di un figlio.

L’incontro avviene nel segno della reciproca benedizione. “Benedetta tu...e beata”, dice Elisabetta; e Maria risponde, con le parole che preghiamo ogni giorno, al vespro: “l’anima mia magnifica il Signore”. Un incontro riuscito, un’amicizia profonda. Ma Luca invita a guardare in profondità, a ciò che non si vede: all’amicizia nascosta, tra Gesù e Giovanni Battista, nella pancia delle due mamme. E’ Giovanni il protagonista: “appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria...sussultò nel suo grembo”. Non è un movimento naturale, e il verbo greco dice un qualcosa come un danzare deliberato. Tanto che Elisabetta interpreta il movimento come espressione di una gioia, e aggiunge: “appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo”.

 

L’icona evangelica, allora, ci aiuta a leggere quanto accaduto il 18 marzo 1536: Maria appare ad Antonio Botta portando la misericordia di Dio che prende il volto di Gesù! E la gioia di Giovanni Battista e di Antonio Botta è oggi la nostra stessa gioia: perché Maria oggi come allora (e come sempre!) porta la misericordia di Dio. E noi siamo felici perché senza nessun merito siamo misericordiati. Mi piace dirlo con le parole bellissime del Concilio: “Dio invisibile nel suo immenso amore parla agli uomini come ad amici e si intrattiene con essi, per invitarli e ammetterli alla comunione con sè” (DV n. 2). Talmente bello che dovremmo danzare di gioia come Giovanni nel grembo di Maria. E mi fa piacere ricordare che a luglio avremo la peregrinatio delle reliquie di santa Bernadette grazie agli amici dell’Unitalsi.

Ma questa bella notizia che ci mette in cammino non può restare confinata nella coscienza privata di ciascuno di noi, e la fede cristiana non può restare invisibile o “astratta” (=separata dalla vita): deve diventare concreta, e dare forma alla vita. Concreta e attuale. Oso allora, nella seconda parte di questa mia breve meditazione, dire una parola sulla politica. Anche perché forse, in questi anni, nella Chiesa, abbiamo smesso di confrontarci e di pensare: per non litigare, siamo diventati, nelle Parrocchie e nei gruppi ecclesiali, molto silenziosi, concentrandoci, magari, sul volontariato o sulle emergenze. Credo invece che abbiamo bisogno di ritrovare passione e impegno per una politica con la P maiuscola, come proposto di recente dal Papa all’Azione Cattolica. Si tratta anche, da parte di noi preti, di smettere di servirci strumentalmente dei laici per tenere in piedi le nostre strutture, ma di rispettare il loro carisma, ricordandoci che “per loro vocazione è proprio dei laici cercare il Regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio” (LG n. 31).

Ma state tranquilli: non voglio dir nulla sui partiti o sulle prossime scelte elettorali. Penso però che, nel cono di luce dell’incontro tra Maria ed Elisabetta, possiamo sognare la politica non come scontro, ma come incontro, non come un gioco a chi grida più forte o sa meglio costruire la figura del nemico dal quale difendersi, ma come un dialogo faticoso tra diversi, nella comune passione per il bene comune. La politica come amicizia civica. Nel segno di una benedizione possibile, e non di una scontata maledizione, o di una paura che ci sta portando “ad accusare i migranti di tutti i mali e a privare i poveri della speranza” (Francesco, Messaggio per la Giornata mondiale della pace 2019).

Si tratta invece di continuare a credere nelle parole del Concilio: “per instaurare una vita politica veramente umana non c’è niente di meglio che coltivare il senso interiore della giustizia, dell’amore e del servizio al bene comune”. Oggi, forse, queste parole sembrano utopia, cioè senza tempo e senza luogo, eppure ci sono state stagioni che hanno conosciuto il protagonismo responsabile dei cristiani che, nell’esercizio dell’impegno politico, sono stati fedeli al vangelo. La nostra Costituzione, fondata su un principio di fraternità non secondo il sangue ma secondo la legge, è sgorgata dal crogiolo della seconda guerra mondiale, ma anche dalla capacità di alcuni grandi cristiani (come Dossetti, La Pira, Moro, De Gasperi, Fanfani) di narrare e interpretare una visione universale, che va oltre gli interessi elettorali del momento e che nasce da una “antropologia” che sgorga dal vangelo.

Una beatitudine in particolare mi sembra necessario riscoprire oggi: la mitezza. Se il Signore ci donasse anche oggi politici miti! Perché mitezza non è infantilismo e tendenza a rinunciare, ma la fermezza di chi si fida di Dio e proprio per questo, nella fedeltà alla propria coscienza, diventa invincibile. Come Gesù, sulla Croce!

 

Ci è chiesta, allora, una visione. Che è quanto più ci manca. L’occasione delle prossime elezioni del Parlamento europeo potrà - almeno così spero - aiutarci a ritrovare (e, certo, ad aggiornare nell’oggi!) la visione (il sogno!) dei Padri fondatori; altrimenti, il declino dell’Europa (che non è una cosa astratta, ma riguarda la vita concreta di ciascuno di noi) sarà davvero inevitabile.

Nel discorso col quale accettava, il 6 maggio 2016, il Premio Carlo Magno, Papa Francesco parlava di “un’Europa capace di dare alla luce un nuovo umanesimo basato su tre capacità: la capacità di integrare, la capacità di dialogare e la capacità di generare”. Integrare, dialogare, generare: mi piace pensarli come verbi mariani, verbi femminili. E penso che proprio qui, nel luogo della apparizione, possiamo chiedere a Maria di darci intelligenza e immaginazione per riprendere in mano il sogno di un umanesimo europeo inclusivo e ospitale, il sogno di una fede che abiti la vita reale e le scelte quotidiane di ciascuno di noi. I care, mi importa, come insegnava Don Milani. Perché, come credenti, non possiamo rimanere spettatori che guardano dal balcone lo scorrere della vita.

Comunicato stampa

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