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Attualità | 16 settembre 2014, 07:50

Le imprese sequestrate dallo Stato alla mafia falliscono quasi tutte: come risolvere il problema?

Ieri incontro a Genova sul tema: nella sola Liguria dal 2009 al marzo 2013 effettuati 385 procedimenti di destinazione che riguardano 1215 beni

Le imprese sequestrate dallo Stato alla mafia falliscono quasi tutte: come risolvere il problema?

 

“Che fine fa il tesoro della mafia nelle mani dello Stato?”, questa la domanda al centro dell’incontro che si è svolto ieri a Genova dal titolo  “Imprese e beni confiscati alla mafia”.

“Si stima, ha spiegato Danilo Procaccianti, dello staff della trasmissione “Presadiretta” di RAI 3, che i beni confiscati in Italia abbiano un valore di circa 30 miliardi di euro. E cosa fa lo Stato con questi beni? Sappiamo che dal primo sequestro di un bene all'assegnazione definitiva a un Comune o a un’Associazione possono passare anche 20 anni.  Le aziende confiscate come sono gestite? Su 1708 imprese passate nelle mani dello Stato, solo 60 risultano pienamente attive. Le imprese sequestrate alle mafie falliscono, quasi tutte. Troppo spesso la frase che ricorre è “la mafia ci dava lavoro, è arrivato lo Stato e siamo in mezzo alla strada”. 

Nel corso dell’evento si è cercato allora di trovare delle risposte. La CNA Liguria ha evidenziato i 5 passi da fare per risolvere il problema:”- Mettere a reddito i beni confiscati: la prima priorità.  È necessario ampliare la possibilità della messa a reddito dei beni; - Ricreare il tessuto produttivo e commerciale attorno alle imprese. Diventa qui centrale il ruolo delle Associazioni di categoria, che possono reperire le aziende di una rete solidale da “mettere attorno” al bene confiscato, per non farlo morire, per conservarlo e soprattutto per svilupparlo; - Informazioni sul mercato a sostegno delle analisi e della gestione. Questo è il ruolo dei manager delle imprese confiscate o impegnati nella messa a reddito di beni immobili studi e informazioni sul mercato utili alla gestione; - Accesso al credito. L’emergenza europea della gestione dei beni confiscati deve trovare nuovi strumenti, nuove dotazioni con atti che interessino tutta l’Europa creando un modello europeo. L’Italia deve farsi carico di questa richiesta immediatamente, grazie al fatto che siamo nel “semestre italiano”. Da subito quindi occorre utilizzare gli effetti moltiplicatori del sistema dei Confidi (le strutture che garantiscono, con fondi pubblici, i crediti delle banche alle imprese commerciali, artigianali, industriali e al mondo cooperativo e dell’agricoltura). Il credito non deve essere riservato all’azienda confiscata o ai beni immobili messi a reddito. Dobbiamo allargarlo alle aziende che sono disponibili a fornire servizi o prodotti, a creare sbocchi commerciali. Gli stessi beni confiscati possono essere dati in garanzia del credito alle imprese che rinascono e alla filiera che sta attorno ad esse o essere utilizzati per creare la base per i contributi pubblici al mondo dei Confidi che sostengano il credito per la lotta alla criminalità organizzata. Vogliamo ricordare l’interessante proposta  del Rettorato dell’Università di Catania  basata sulla stretta connessione tra beni confiscati e microcredito, che propone di mettere i primi a presidio per la concessione del secondo. Questa proposta mostra come i beni possono dare opportunità di investimento perché ampliano il credito al sistema territoriale delle imprese; - Sicurezza. Chiediamo che le nuove norme prevedano azioni di sicurezza: certamente “le mafie” non staranno a guardare perché sanno che colpire la loro ricchezza è un azione per loro mortale”.

Per quanto riguarda i beni confiscati alla mafia, nella sola Liguria, dal 2009 al marzo 2013 sono stati effettuati 385 procedimenti di destinazione che riguardano 1215 beni, il 50% destinati nel 2012 e nei primi mesi del 2013. Di questi 300 sono immobili e aziende, il restante è rappresentato da altri beni (titoli, denaro, beni mobili come auto, macchinari..).

 

C.G.

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