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| 18 settembre 2018, 17:11

Il nuovo ponte dovrebbe essere intitolato ad Enzo Tortora

La riflessione di Piercarlo Malvolti a poco più di un mese dalla tragedia del ponte Morandi, nel momento in cui tutti cerchiamo di capire come perchè e per responsabilità di chi il 14 agosto si sono spente 49 vite

Il nuovo ponte dovrebbe essere intitolato ad Enzo Tortora

Enzo Tortora era nato a Genova il 30 novembre 1928, all’età di cinquantacinque anni nel 1983, in favore di telecamere preventivamente allertate venne arrestato a Roma, in serata avrebbe dovuto condurre Portobello ed invece fini in manette con l’accusa di essere un trafficante di droga ed un camorrista.

Nel film del 1990 “Un uomo perbene”  magistralmente interpretato da Michele Placido si assiste al dialogo finale del primo interrogatorio che subì in carcere  in cui il pm napoletano si congedò augurandogli “buona fortuna”; Tortora rispose:“ buona fortuna è un auspicio che posso accettare da un venditore di biglietti della lotteria, non da un persona che amministra la giustizia”.

Come è andata a finire lo sappiamo tutti, dopo un calvario durato alcuni anni Tortora fu assolto dalle infamanti accuse, il suo onore rimase intatto ma la sua vita venne distrutta e poco dopo morì all’età di sessantanni

Mentre l’inquisitore che lo accusò definendolo in aula “un mercante di morte” ha concluso la sua carriera come consigliere di cassazione, per la cronaca  uno dei massimi livelli previsti in magistratura.

Recentemente Silvia Tortora ha dichiarato che dopo trentacinque anni non è cambiato nulla, chi sbaglia non paga anzi.

Nel 1992, venne approvato dal popolo italiano il referendum sulla responsabilità civile dei giudici che, per una serie di cavilli e complice un ceto legislativo frutto di una politica da sempre permeata da soggezione nei confronti della magistratura, non è mai stato applicato (sono trascorsi 26 anni);  sarebbe come se, dopo i rispettivi  referendum, in Italia  non si fosse potuto divorziare o abortire.

Craxi fu uno dei più tenaci sostenitori del referendum e la pagò cara finendo i sui giorni ad Hammamet “la mia libertà equivale alla mia vita” è l’epitaffio che si legge sulla sua tomba nel minuscolo cimitero a mare  che scruta l’Italia, la patria da cui venne esiliato.

E veniamo all’attualità: un avvenimento quello di Genova rivelatosi immane tragedia, una vicenda  quella della nave  diciotti a Trapani trasformatasi in commedia.  

Genova: indagine condotta da un procuratore che sta dimostrando  grande equilibrio e profondità, schivo e professionale, lontano dai riflettori opera  nel massimo riserbo cercando, non senza difficoltà, di  identificare le oggettive e soggettive  responsabilità.

Trapani: trasformata in un palcoscenico, dove l’inquirente di turno munito di zainetto d’ordinanza ed  ancora una volta in favore di telecamere sale a bordo della nave finendo su tutti i telegiornali e senza indugio spicca un avviso di garanzia nei confronti di un ministro.

Si dirà: due pesi e due misure, no! Semplicemente due persone diverse, perché i magistrati non sono marziani, sono semplicemente persone come tutti noi.

Un amico anni orsono mi disse: “Dove finisce la logica comincia la giustizia” è una riflessione che non ho mai scordato e forse condivido ma paradossalmente, la dissimile condotta dei due procuratori  riapre  uno spiraglio di fiducia.

Resta un assunto: chi sancisce della vita altrui dovrebbe essere edotto che Marco Aurelio decise di assumere un servo per farsi accompagnare nelle piazze di Roma.

Questi aveva soltanto un compito, sussurrargli all'orecchio mentre lo riempivano di lodi "Sei solo un uomo, sei solo un uomo!".

Piercarlo Malvolti

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