Attualità - 08 marzo 2020, 09:30

La fiaba della domenica: "Il riccio che voleva essere castagna"

Tratto da: "Le fiabe per... andare sereni al nido e a scuola" (per grandi e piccini), di Elvezia Benini, Cecilia Malombra, Giancarlo Malombra (Le Comete, Franco Angeli Editore)

Come è magico, d'Autunno, un bosco di castagni!

Come è colorato, ombroso, profumato d'Autunno un bosco di castagni!

E ricco di vita che sboccia al cadere delle foglie.

Questa è la storia di un pezzettino di questa vita che esplode di gioia al morire delle foglie che, cadendo volteggiando dai rami, cantano inni ai ricci che si schiudono al pallido sole, prima di depositarsi al suolo per divenire linfa vitale.

In un tempo lontano, le castagne, dolce frutto maturo del nobile albero, erano l'unico cibo per sostenere intere famiglie di contadini,o meglio il cibo più economico e a portata di mano, insieme alla polenta.

In un tempo lontano, il legno del castagno era molto utile per costruire tutti quei poveri mobili e quegli attrezzi che consentivano alle famiglie contadine il lavoro aldilà delle nude mani e l'arredo della casa aldilà delle icone dei santi.

Inoltre la castagna poteva essere bollita, arrostita, resa farina, essiccata e il legno dell'albero poteva ardere nel camino, riscaldando la famiglia, ma allietandola anche in virtù della sua caratteristica di scoppiettare bruciando.

E le foglie del castagno? Abbiamo già detto: morendo, divengono linfa vitale per il bosco e per il sottobosco e, in più, erano raccolte per farne dei giacigli o per attizzare il fuoco nella stufa.

E il riccio'?Il riccio aveva un destino di maledizione.

Maledetti questi ricci che pungono terribilmente per evitarti di estrarre le castagne!”, diceva abitualmente Adelmo il contadino mentre poneva le castagne nell'essicatoio.

Maledetti questi ricci che si piantano negli scarponi!” affermava Teresa mentre, curva, camminava cercando funghi porcini.

Maledetti questi ricci!” diceva Quinto quando, esausto, si sedeva nel bosco con la fascina in spalla e subito era costretto a rialzarsi.

Tutt'al più, una leggera riabilitazione il riccio la otteneva quando i contadini, a corto di legna, li raccoglievano, maledicendoli, per bruciarli nei camini e nelle stufe.

Bella soddisfazione! Morire maledetti, anche se con il conforto del donare calore!

E meno male che non potevano più sentire i commenti dei contadini: “Questi maledetti ricci fanno proprio un fuoco che dura poco, diventano subito cenere!”.

E di tutta questa situazione Ciccio, un giovane e verde riccio, appeso sulla cima di un forte castagno battuto dal vento, ne stava facendo una vera malattia.

Non è giusto!” diceva Ciccio agli altri ricci, “l'albero è nobile, la castagna è dolce, la foglia è utile e noi siamo maledetti!”

No, non è proprio giusto!”. E nel dire ciò, si scuoteva tutto a rischio di staccarsi dal ramo.

Accetta il tuo destino!” gli faceva eco Triccio, un altro riccio, “Non fare il sindacalista!” lo derideva Duccio, il riccio sotto di lui, “Non c'è nulla da fare!” sospirava Miccio, il suo dirimpettaio.

Godi nel pungere gli uomini!” sibilava Feccio, il più grosso di tutti.

Ma niente da fare, a Ciccio il suo essere riccio non andava proprio giù.

Lui voleva essere castagna.

Vuoi mettere essere una tenera, dolce, lucida castagna!” rispondeva ai suoi compagni, “Una castagna amata e gradita da tutti, ricercata e apprezzata perchè nutriente, bella e priva di aculei!”.

E così Ciccio passava le giornate a piangere e a lamentarsi di essere un riccio e le nottate a sognare di essere una tonda castagna.

Decise addirittura di non accettare più la linfa che l'albero gli donava per farlo crescere: era una terribile decisione!

Quando la linfa giungeva a lui, Ciccio si contorceva sino a chiudere il tubicino che lo teneva attaccato al ramo.

Io non voglio essere riccio, voglio diventare castagna!” “Io non voglio essere maledetto dagli uomini, voglio essere apprezzato da loro!”.

La situazione stava diventando davvero insostenibile: lui non si nutriva e avvizziva e, con lui, avvizzivano anche le castagne che portava in grembo.

Inoltre i ricci suoi compagni, che lo avevano sempre aiutato nei momenti più bui, che avevano cercato di spiegargli che se uno è riccio non può e non deve voler essere castagna, che lo avevano sostenuto, spronato, consolato, rallegrato, aiutato in ogni modo, erano ormai scoraggiati e anche un po' stufi di sentirlo lamentare.

Ma soprattutto era stufo di lui il nobile albero, consapevole dell'inutilità di un riccio che rifiuta di nutrirsi e avvizzisce unitamente alle castagne che reca in grembo.

Mille e mille volte il nobile castagno avrebbe voluto disfarsi di Ciccio con uno scrollone, ma tant'è si tratteneva e continuava a tenerselo appeso.

Ma ormai era troppo, era tempo di disfarsi di Ciccio, proiettandolo al suolo per essere maledetto dagli uomini.

Ma intervenne la Madre Terra, quella Madre che tutto sa e che tutto sente, anche il bisbiglio di un giovane riccio che gorgoglia piangendo un destino che a lui sembra infausto ed infame.

E così la Madre Terra parlò: “Caro Ciccio, tu vuoi essere castagna perchè pensi che lei sia il frutto più dolce e gradito, mentre tu sei nulla!” “Nulla di più sbagliato, caro Ciccio!”. “La castagna può nascere, crescere e svilupparsi per diventare ciò che è solo e soltanto grazie al riccio, a te, caro Ciccio, a te che la custodisci con cura nel tuo caldo grembo, a te che la proteggi con tenacia con i tuoi forti aculei, a te che la avvolgi nel tuo morbido ventre e non la esponi al gelo e ai predatori!”. “Resta riccio, caro Ciccio, accetta il tuo destino, il tuo compito di paladino del Bene e del Buono, di quel Buono che può crescere soltanto in virtù della forza e della tenacia di chi lo difende senza paura e senza compromessi!”.

Alle parole della Madre Terra il cielo si rischiarò, così come si rischiarò l'animo di Ciccio che comprese che ognuno nel mondo ha il proprio compito da accettare e portare con gioia sino alla fine dei giorni che ci sono dati.

GLI AUTORI:

Elvezia Benini, psicologa, psicoterapeuta a orientamento junghiano, specialista in sand play therapy, consulente in ambito forense, già giudice onorario presso la Corte d'Appello di Genova. Autrice di numerose pubblicazioni a carattere scientifico.

Cecilia Malombra, psicologa clinica, specializzanda in criminologia e scienze psicoforensi, relatrice in convegni specialistici per operatori forensi e socio-sanitari. Autrice di pubblicazioni a carattere scientifico.

Giancarlo Malombra, giudice onorario presso la Corte d'Appello di Genova sezione minori, già dirigente scolastico, professore di psicologia sociale. Autore di numerose pubblicazioni a carattere scientifico.

Associazione Pietra Filosofale

L’Organizzazione persegue, senza scopo di lucro, finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale mediante l’esercizio, in via esclusiva o principale, delle seguenti attività di interesse generale ex art. 5 del D. Lgs. 117/2017:

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In concreto l’associazione, già costituita di fatto dal 27 gennaio 2016 e che ha ideato e avviato il concorso letterario Pietra Filosofale di concerto con l'amministrazione comunale, intende proporsi come soggetto facilitatore, promuovendo e stimolando proposte di cultura, arte e spettacolo sul territorio, organizzazione di eventi culturali e/o festival, ideazione e promozione di iniziative culturali anche in ambito nazionale, costruzione, recupero e gestione di nuovi spazi adibiti a luoghi di Cultura Permanente, anche all’interno di siti oggetto di riqualificazione e/o trasformazione quali ad esempio l’ex Cantiere Navale di Pietra Ligure, come già attuato nel 2018 presso la Biblioteca Civica di Pietra Ligure, ove ha curato un percorso specifico di incontri dedicati alla salute e al benessere attraverso il progetto Il sogno in cantiere": il sogno, in onore e ricordo del cantiere navale che un tempo a Pietra Ligure ha dato vita a tante navi che sono andate nel mondo, vuole ritrovare nel “Cantiere” il luogo di cultura permanente dove poter trascorrere un tempo dedicato al pensiero del cuore, per nutrire l'anima con letture, scrittura creativa, musica, conferenze, mostre.

La “Filosofia dell'associazione” è quella di ridare vita al "Cantiere" in una nuova forma e in un nuovo spazio, ma con lo stesso intento di progettare e costruire "mezzi" speciali, per poter viaggiare con l'immaginazione, strumento di fondamentale importanza per creare spazio e tempo migliori in cui vivere.

L'Associazione vuole favorire l'alchimia di differenti linguaggi, promuovendo spazi di arte, cultura e spettacolo, convogliando le energie nascoste, rintracciando il messaggio archetipico attraverso la narrazione, tentando di recuperare i meandri del proprio Sé, per creare momenti di incontro, scambio e ascolto e per gioire dell'Incanto della Vita. L'aspetto narrativo si è già concretizzato nel 2016 attraverso l'esperito Concorso letterario sulla fiaba; la fiaba è metafora di vita: se il suo linguaggio è ricco e articolato, anche la vita, di conseguenza, sarà ricca e articolata, capace, come per i personaggi delle fiabe, di conservare una nicchia di libertà che faccia considerare l'alterità, l'altro, come un patrimonio da tesaurizzare. L'intento è quindi quello di compiere il “varo” di un “Festivalincantiere” quale contenitore di numerose iniziative, in primis il recupero del concorso letterario sulla fiaba, per poter consentire di viaggiare con l'immaginazione, strumento di fondamentale importanza per creare uno spazio e un tempo migliori in cui vivere e per offrire al Comune l'ampliamento della propria visibilità culturale sia a livello locale sia nazionale e oltre.

«I luoghi hanno un'anima. Il nostro compito è di scoprirla. Esattamente come accade per la persona umana.» scrive James Hillman

La triste verità è che la vera vita dell'uomo è dilacerata da un complesso di inesorabili contrari: giorno e notte, nascita e morte, felicità e sventura, bene e male. Non possiamo neppure essere certi che l'uno prevarrà sull'altro, che il bene sconfiggerà il male, o la gioia si affermerà sul dolore. La vita è un campo di battaglia: così è sempre stata e così sarà sempre: se così non fosse finirebbe la vita. (C.G.Jung, L'uomo e i suoi simboli)

Pedagogia della fiaba

La fiaba è metafora di vita: se il suo linguaggio è ricco e articolato, anche la vita, di conseguenza, sarà ricca e articolata, capace, come per i personaggi delle fiabe, di conservare una nicchia di libertà che faccia considerare l'alterità, l'altro, come un patrimonio da tesaurizzare e non come un competitor o peggio come un diverso stigmatizzabile in minus da omologare coercitivamente.

 

"L'aspetto linguistico così intenso ed evocante contesti e costrutti, spesso caduti nell'oblio, è il necessario contenitore, è la pelle del daimon che consente a ciascuno di riappropriarsi di conoscenza e di dignità, ricordando a tutti e a ognuno che l'ignoranza è la radice di tutti i mali". (Giancarlo Malombra in "Narrazione e luoghi. Per una nuova Intercultura", di Castellani e Malombra, Ed Franco Angeli).