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Attualità | 19 aprile 2020, 10:22

La fiaba della domenica: "Il Nano tracotante"

Una metafora sulla capacità di accettare noi stessi

La fiaba della domenica: "Il Nano tracotante"

Nel bosco dei Miracoli vivevano in pace, armonia, bellezza e allegria tutte le creature le più svariate, le più bizzarre, le più multiformi.

Quanti serpentelli colorati in una gamma dal verde, al giallo, all’ocra, al violetto e poi lunghi, corti, sottili, viscidi, squamosi.

Quanti roditori simpatici e scattanti, il topo, sempre pronto a disputare con i compagni un seme sperduto, lo scoiattolo frenetico e luccicante al sole e poi la donnola, la martora, le volpi furbacchione a cui bastava mostrare gli aguzzi denti per fare allontanare i malintenzionati, proprio come al tasso bastava mostrare gli unghioni.

E ancora, i cervi dalle corna ramificate che risuonavano all’alba nel loro cozzare durante le battaglie dell’amore, i lupi, molto alteri e chiusi nel loro branco, come se volessero dimostrare una superiorità che giustifica il loro essere collocati nelle fiabe sempre come i cattivi.

Inoltre insetti, vermiciattoli, grilli canterini, mantidi in assorta preghiera, lumache e chiocciole sempre attente a non farsi schiacciare dalle corse a perdifiato dei leprotti, uccelli dalle piume refrattarie a ogni temporale, alcuni con regolari abitudini diurne, come l’aquila, sempre protesa a battere il record di velocità in picchiata, il nibbio, la poiana, il falco e altri dei veri nottambuli, sempre attenti a non farsi stringere nelle grinfie dell’orso per la loro cattiva abitudine di disturbare il sonno altrui, come il barbagianni, il gufo, la civetta.

Ognuno, appunto, in pace e armonia con se stesso e con gli altri, accettando l’inevitabile ciclo della vita e della morte, gioendo alle nascite e rattristandosi alle dipartite, ma non più di tanto, in quanto consapevoli dell’ineluttabilità del corso della storia e del mondo, raccogliendo a piene mani i frutti della vita beandosi nell’amore e nell’amicizia, con l’accoglienza anche del male come attore primario e contraltare del bene, ben sapendo che tra tutti gli abitanti del Bosco dei Miracoli esistevano delle differenze, di forza, di intelligenza, di bellezza, di capacità di procurarsi il cibo, di peso, di colore, di altezza.

Ognuno con le proprie specificità, con i propri limiti, i propri carismi, le proprie abilità, le proprie meschinità.

Nel Bosco dei Miracoli vivevano anche i nani e i giganti, tutti, anch’essi, consapevoli e felici dell’essere nani e giganti, con la chiara percezione che se, a volte, esser gigante è meglio, non sempre, però, l’essere nano è peggio.

Infatti i nani potevano nascondersi agevolmente in un albero cavo al sopraggiungere dell’uomo cacciatore, mentre i giganti potevano solo affrontarlo con la loro enorme forza, ma soccombenti di fronte ai tonanti fucili, i nani potevano correre agilmente all’arrivo di un temporale, mentre i giganti potevano solo bagnarsi e rischiare di essere abbattuti dal fulmine.

Certo poi, l’esser gigante aveva anche vantaggi, come il cogliere le mele dagli alberi senza doversi arrampicare, come il potere allontanare un branco di lupi con solo uno sguardo. Ognuno insomma si accettava per quello che era e la vita scorreva vivace e ricca di sentimento.

Per tutti, meno che per il nano Napoleone.

Egli era un nano solitario che viveva in una spelonca maleodorante e piena di infiltrazioni al margine estremo del Bosco dei Miracoli.

Era un nano tutto sommato di bella presenza, con le gambette ben proporzionate al corpo muscoloso, un nano anche salace e sagace, edotto sulla vita e sui suoi misteri, edotto alle alchimie delle stelle e alle magie derivanti dalla stretta relazione con i suoi antenati, un nano che, se solo avesse voluto, se solo avesse potuto, sarebbe stato anche gradevole.

E invece era estremamente sgradevole, sgradevole ai cervi come ai giganti, agli altri nani come alle volpi, ma soprattutto sgradevole a se stesso.

Infatti Napoleone non si accettava, non accettava l’esser nano, i limiti che questa condizione gli poneva; Napoleone voleva essere un gigante, forte, impavido e soprattutto alto.

E così, invece di essere alto, era altero, sprezzante, pungente, spigoloso, intrattabile, misantropo, in una parola tracotante.

Talmente tracotante che, nano qual era, riusciva a imporsi su tutti gli altri nani, ma anche sui lupi, sugli orsi e anche sui giganti.

La volontà di Napoleone era, alla fine, sempre prevalente, con le buone o con le cattive; egli sferzava, minacciava, parlava sulla voce degli altri, era sempre arrabbiato e scontroso, mai un sorriso, un’apertura, un gesto caritatevole.

Arrogante e presuntuoso, spesso millantava le sue virtù con una tale abilità che tutti gli credevano.

Le creature del Bosco dei Miracoli avevano imparato a temere le sue sfuriate, la sua ira irrefrenabile, la sua arroganza senza limiti, il suo mettere gli altri di fronte al fatto compiuto.

E così le creature del Bosco dei Miracoli lo evitavano, lo salutavano con deferenza e timore, ma di più non vi era, nessuno entrava nella sua spelonca con una torta o con un fiore, nessuno si preoccupava di lui se era malato, anche perché, se era malato, il suo caratteraccio peggiorava e Napoleone diveniva veramente inavvicinabile.

Con chi, poi, Napoleone riteneva debole, come i leprotti e le pernici, era veramente un tiranno: impartiva loro ordini perentori, pretendeva immantinente servigi puntuali e prostrazione completa.

E più il tempo passava e più Napoleone era accerchiato dalla solitudine e più era solo e più lui sognava di essere il re dei giganti, temuto e riverito persino dagli uomini.

Le creature del Bosco dei Miracoli addirittura facevano larghi e lunghi percorsi per evitare di avvicinarsi alla sua spelonca e se lui appariva sulla porta urlando come un ossesso, chi poteva fuggiva spaventato.

Le lente lumache ed i pigri ranocchi razzolavano ben distanti da lui e quando Napoleone, per forza di cose, scendeva verso il centro del Bosco per procurarsi da mangiare, solo i giganti più fieri erano in grado di sostenere la sua tracotante presenza.

Napoleone stava scivolando , nella mente delle creature del Bosco dei Miracoli, nell’oblio più assoluto, come se fosse un male inevitabile facente parte dei dispetti che a volte la vita ci riserva, accettato come un brutto sogno che però ci abbandona all’alba, ridonandoci la serenità nel momento preciso in cui esso sparisce nella nostra percezione.

Persino la nana Nullina, da sempre innamorata di Napoleone, amato in gran segreto e senza mai confessare a nessuno questo dolce sentimento, aveva ormai perso ogni speranza di vedere Napoleone diverso dal brutto personaggio che egli si era inventato.

Ma il Bosco dei Miracoli possedeva un’Anima!

Non a caso si chiamava Bosco dei Miracoli: infatti, nel caldo seno dei suoi meandri, ogni tanto, una volta ogni cento anni, l’Anima del Bosco si risvegliava dal torpore millenario in cui si crogiolava e compiva un miracolo, qualcosa di straordinario che solo i Vecchi Saggi riuscivano ad accettare fino in fondo, non riuscendone a spiegare la dinamica.

L’Anima si risvegliò, profondamente turbata nel suo senso di giustizia, colpita nel profondo della sua armonia eterna dalla tracotanza di Napoleone.

E determinò il miracolo.

Un mattino, il nano, che tutte le notti sognava di essere un gigante, il re dei giganti, al risveglio si sentì stranamente in pace con se stesso: aveva sognato di essere amato e ricercato per la sua alta statura morale, per la sua alta statura civile, per la sua alta statura solidale e, correndo allo specchio che aveva coperto con un panno nero, lo scoprì, si rimirò e si vide bello, sorridente, propenso a gioire, ricco di talenti e pronto ad accettare i propri limiti.

E allora si vestì di tutto punto con gli abiti più belli ormai dismessi da tempo e corse nel Bosco spargendo ovunque petali di fiori che, chiunque, raccogliendo, poteva scorgere arricchiti nella loro naturale bellezza dalla frase “ chiedo a tutti scusa”.

Tratto da: "Le fiabe per... sviluppare l'autostima (un aiuto per grandi e piccini", di Elvezia Benini e Giancarlo Malombra, collana "Le Comete", Franco Angeli Editore. Con il patrocinio dell'Unicef. 

GLI AUTORI:

Elvezia Benini, psicologa, psicoterapeuta a orientamento junghiano, specialista in sand play therapy, consulente in ambito forense, già giudice onorario presso la Corte d'Appello di Genova. Autrice di numerose pubblicazioni a carattere scientifico.

Cecilia Malombra, psicologa clinica, specializzanda in criminologia e scienze psicoforensi, relatrice in convegni specialistici per operatori forensi e socio-sanitari. Autrice di pubblicazioni a carattere scientifico.

Giancarlo Malombra, giudice onorario presso la Corte d'Appello di Genova sezione minori, già dirigente scolastico, professore di psicologia sociale. Autore di numerose pubblicazioni a carattere scientifico.

Associazione Pietra Filosofale

L’Organizzazione persegue, senza scopo di lucro, finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale mediante l’esercizio, in via esclusiva o principale, delle seguenti attività di interesse generale ex art. 5 del D. Lgs. 117/2017:

d) educazione, istruzione e formazione professionale, ai sensi della legge 28 marzo 2003, n. 53, e successive modificazioni, nonché le attività culturali di interesse sociale con finalità educativa;

i) organizzazione e gestione di attività culturali, artistiche o ricreative di interesse sociale, incluse attività, anche editoriali, di promozione e diffusione della cultura e della pratica del volontariato e delle attività di interesse generale di cui al presente articolo;

k) organizzazione e gestione di attività turistiche di interesse sociale, culturale o religioso;

In concreto l’associazione, già costituita di fatto dal 27 gennaio 2016 e che ha ideato e avviato il concorso letterario Pietra Filosofale di concerto con l'amministrazione comunale, intende proporsi come soggetto facilitatore, promuovendo e stimolando proposte di cultura, arte e spettacolo sul territorio, organizzazione di eventi culturali e/o festival, ideazione e promozione di iniziative culturali anche in ambito nazionale, costruzione, recupero e gestione di nuovi spazi adibiti a luoghi di Cultura Permanente, anche all’interno di siti oggetto di riqualificazione e/o trasformazione quali ad esempio l’ex Cantiere Navale di Pietra Ligure, come già attuato nel 2018 presso la Biblioteca Civica di Pietra Ligure, ove ha curato un percorso specifico di incontri dedicati alla salute e al benessere attraverso il progetto Il sogno in cantiere": il sogno, in onore e ricordo del cantiere navale che un tempo a Pietra Ligure ha dato vita a tante navi che sono andate nel mondo, vuole ritrovare nel “Cantiere” il luogo di cultura permanente dove poter trascorrere un tempo dedicato al pensiero del cuore, per nutrire l'anima con letture, scrittura creativa, musica, conferenze, mostre.

La “Filosofia dell'associazione” è quella di ridare vita al "Cantiere" in una nuova forma e in un nuovo spazio, ma con lo stesso intento di progettare e costruire "mezzi" speciali, per poter viaggiare con l'immaginazione, strumento di fondamentale importanza per creare spazio e tempo migliori in cui vivere.

L'Associazione vuole favorire l'alchimia di differenti linguaggi, promuovendo spazi di arte, cultura e spettacolo, convogliando le energie nascoste, rintracciando il messaggio archetipico attraverso la narrazione, tentando di recuperare i meandri del proprio Sé, per creare momenti di incontro, scambio e ascolto e per gioire dell'Incanto della Vita. L'aspetto narrativo si è già concretizzato nel 2016 attraverso l'esperito Concorso letterario sulla fiaba; la fiaba è metafora di vita: se il suo linguaggio è ricco e articolato, anche la vita, di conseguenza, sarà ricca e articolata, capace, come per i personaggi delle fiabe, di conservare una nicchia di libertà che faccia considerare l'alterità, l'altro, come un patrimonio da tesaurizzare. L'intento è quindi quello di compiere il “varo” di un “Festivalincantiere” quale contenitore di numerose iniziative, in primis il recupero del concorso letterario sulla fiaba, per poter consentire di viaggiare con l'immaginazione, strumento di fondamentale importanza per creare uno spazio e un tempo migliori in cui vivere e per offrire al Comune l'ampliamento della propria visibilità culturale sia a livello locale sia nazionale e oltre.

«I luoghi hanno un'anima. Il nostro compito è di scoprirla. Esattamente come accade per la persona umana.» scrive James Hillman

La triste verità è che la vera vita dell'uomo è dilacerata da un complesso di inesorabili contrari: giorno e notte, nascita e morte, felicità e sventura, bene e male. Non possiamo neppure essere certi che l'uno prevarrà sull'altro, che il bene sconfiggerà il male, o la gioia si affermerà sul dolore. La vita è un campo di battaglia: così è sempre stata e così sarà sempre: se così non fosse finirebbe la vita. (C.G.Jung, L'uomo e i suoi simboli)

Pedagogia della fiaba

La fiaba è metafora di vita: se il suo linguaggio è ricco e articolato, anche la vita, di conseguenza, sarà ricca e articolata, capace, come per i personaggi delle fiabe, di conservare una nicchia di libertà che faccia considerare l'alterità, l'altro, come un patrimonio da tesaurizzare e non come un competitor o peggio come un diverso stigmatizzabile in minus da omologare coercitivamente.

"L'aspetto linguistico così intenso ed evocante contesti e costrutti, spesso caduti nell'oblio, è il necessario contenitore, è la pelle del daimon che consente a ciascuno di riappropriarsi di conoscenza e di dignità, ricordando a tutti e a ognuno che l'ignoranza è la radice di tutti i mali". (Giancarlo Malombra in "Narrazione e luoghi. Per una nuova Intercultura", di Castellani e Malombra, Ed Franco Angeli). 


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