Attualità - 06 giugno 2020, 07:00

Praga, capitale delle spie nella nuova guerra fredda

In Europa Centrale tornano i giochi di spie, come nel periodo più suggestivo della guerra fredda.

Praga, capitale delle spie nella nuova guerra fredda

In Europa Centrale tornano i giochi di spie, come nel periodo più suggestivo della guerra fredda. James Bond non si è visto in giro, ma c’è sempre lo zampino dell’MI6, l’agenzia britannica di spionaggio estero. Il suo compito, ovviamente, è quello di mostrarci quanto i russi siano subdoli e cattivi. Trama scontata da film del XX secolo, con l’aggiunta degli hacker che ci tiene nel XXI, e la CIA a completare il quadro.

Mentre l’attenzione mediatica era per forze di cose volta all’emergenza sanitaria, i servizi segreti euroatlantici hanno continuato a lavorare senza smettere un attimo. C’era da allestire l’atto terzo dello spettacolo che tutti conoscono come “caso Skripal”, e che si era bloccato a causa del COVID-19 proprio quando mancava pochissimo al momento in cui dovevano convergere tutti gli intrecci. Perché Skripal? Sergey Viktorovich è un agente doppiogiochista russo che vendeva informazioni agli inglesi; condannato per alto tradimento, è riuscito a riparare in Gran Bretagna a seguito di uno scambio di prigionieri tra Mosca e Washington. Quando nel 2018 lui e la figlia vennero avvelenati, si disse subito che si trattava di una vendetta del Cremlino. Il fatto di aver portato del gas nervino nella tranquilla provincia inglese è stato presentato agli occhi dell’opinione pubblica occidentale come l’emblema della pericolosità “dell’intelligence militare super segreta russa”.

Durante il 2019 i servizi britannici e quelli americani avevano condotto azioni di disinformazione facendo filtrare alla stampa determinate notizie; così, i giornali inglesi prima hanno tirato fuori Sergeev, il terzo figurante del cosidetto “gruppo di Salisbury” (località dove vennero avvelenati Skripal e la figlia), poi il New York Times ha riportato l’esistenza di un dipartimento militare “super segreto” all’interno del GRU, il servizio informazioni della Federazione Russa, accusato di dedicarsi alla “destabilizzazione sistematica dell’Europa e alle eliminazioni extragiudiziali”, infine Le Monde, The Telegraph e Deutsche Welle hanno svelato una presunta base d’appoggio russa sulle Alpi francesi nella quale gli “agenti guastatori” si riposano e si rifugiano dopo aver condotto operazioni di sabotaggio.

Per queste mirabolanti rivelazioni gli autorevoli giornali occidentali non forniscono nessuna prova seria, ma fanno rimando a quello che riferiscono “fonti ben informate” all’interno di ministeri o agenzie di intelligence: purtroppo ciò è sufficiente al lettore medio, che ripone la massima fiducia verso la stampa proprio perché essa stessa dice di essere prestigiosa e influente. È il metodo inglese di rifarsi a non meglio precisate ma attendibili fonti di alto livello: in parole povere me lo ha detto mio cugino che c’ha un amico che lavora al governo, ma detto così pare brutto. Eppure ne abbiamo fulgidi esempi anche in Italia, dove l’informazione è in mano a un paio di gruppi editoriali e certi giornalisti ne fanno ampio uso sempre contro lo stesso obiettivo: la Russia.

Queste bufale si possono paragonare ai pezzi di un puzzle, messi per bene sul tavolo e pronti per essere assemblati per poter poi passare al puzzle successivo: ma il coronavirus ha rovesciato il tavolo e ha mischiato i pezzi. L’operazione Skripal atto terzo è stata così congelata fino alla fine della quarantena: finalmente il 28 aprile il giornale ceco Respekt ha parlato dell’arrivo a Praga di un “individuo con passaporto diplomatico russo” che ha consegnato all’Ambasciata russa un veleno estremamente efficace e letale, la ricina. Così gli elementi dello “schema Salisbury” ci sono tutti: veleno, eliminatore, motivo della vendetta (la colpa delle autorità praghesi di aver tolto il monumento di un eroe sovietico) e infine le dichiarazioni di figure ufficiali dell’apparato russo del tenore non la faranno franca o il crimine non resterà impunito.

E perché è stata scelta Praga per riportare in auge il caso Skripal? Intanto vi si trova il maggiore centro di intelligence di CIA e MI6 nell’Europa Centrale, quindi è un grosso snodo di comunicazioni legate allo spionaggio (come Singapore per i cinesi), inoltre lo stesso Skrypal vi ha lavorato per parecchio tempo per formare gli agenti del controspionaggio cechi sui metodi di individuazione degli agenti russi in clandestinità; infine, è nella Repubblica Ceca che nel 2019 sono volate pesanti accuse ai russi di hackeraggio verso segreti di Stato cechi. Naturalmente, mancano le prove, ma va bene così: bastava far accadere la medesima combinazione esplosiva di sempre, e stavolta il detonatore è stato la rimozione da parte dell’amministrazione praghese della statuta del maresciallo Konev, il generale sovietico che scacciò i nazisti dalla Cecoslovacchia. Così, non appena la miccia viene accesa e le autorità russe aprono bocca, tutte le precedenti supposizioni neutrali della stampa, relative ad “hacker stranieri altamente qualificati”, trovano subito la loro etichetta. I giornalisti, ben imbeccati, possono finalmente scrivere il nome dei misteriosi colpevoli degli attacchi informatici agli ospedali della Repubblica Ceca al fine di rubare i dati personali dei pazienti o al ministero della Sanità: i perfidi hacker russi.

Ma non mancano le imperfezioni nell’applicazione del geniale schema geniale firmato CIA e MI6. Le cause sono la fretta degli agenti locali di eseguire le indicazioni dei loro tutori e la minor preparazione rispetto ai colleghi euroatlantici, nonché lo zelo dei mass medi cechi nel riportare notizie filtrate da fonti anonime all’interno dell’intelligence ceca (e a quanto pare, il capo dei servizi della Repubblica Ceca non l’ha presa bene e ha chiesto di andare a fondo). Le accuse alla Russia non hanno nessun fondamento serio: i sospetti su Mosca si basano sugli indirizzi IP da cui sembra siano partite le incursioni degli hacker, e sull’origine russa dei virus informatici. Purtroppo per la stampa praghese, gli hacker sono capaci di coprire le loro tracce, facendo risultare qualunque tipo di indirizzo IP occorra, mentre i virus non hanno passaporto né nazionalità.

La faccenda praghese è molto indicativa del fatto che i servizi occidentali stimolano, per poi sfruttare, gli umori e le paure dei cittadini. Ma è possibile trovare i pezzi del puzzle e cercare di metterli insieme, per capire dove vogliono andare a parare quelli che fanno insinuazioni e accuse nei confronti degli stessi Paesi. Quindi, non facciamoci più fregare.

Marco Fontana

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