Riceviamo e pubblichiamo questi pensieri relativi all'anniversario di un significativo episodio di solidarietà e altruismo in tempo di guerra, che ci giungono da una lettrice, Alessandra Monti.
"12 agosto 1944
Era un lunedì, tarda mattinata. Spotorno era stata bombardata qualche giorno prima e un po' ovunque lungo la costa piovevano bombe. Il rombo dei bombardieri aveva spinto la popolazione, abitanti del luogo e sfollati (Sbarbaro era a Borsana, che oggi non esiste più) a nascondersi nel rifugio presso la Chiesa. A Ca' di Badin, poco lontano, erano rimasti in molti nel grande casolare, disintegrato. Vi sono morti in ventisette. Vittorio, dieci anni, morirà due giorni dopo, al San Paolo.
Don Quaglia, il parroco, lottando con altri nella polvere gialla che tutti i sopravvissuti ricorderanno, sollevata dall'esplosione, lo estrae dalle macerie, le gambe amputate all'altezza dei polpacci. Un sorso di vino, e un po' dello stesso versato sui monconi, l'unico soccorso che il bambino riceverà, fino a sera, quando infine una macchina lo porterà via. Don Quaglia ne scriverà vent'anni dopo, un diario ristampato nel 2010. E ancora soffrirà pensando al dolore che quel vino avrà causato.
Una cronaca di quegli avvenimenti, un elenco particolareggiato e partecipe di nomi, età, di intere famiglie sterminate. Il 24 ancora dovranno essere estratti cadaveri.
Il sentiero che dalla strada della chiesa porta giù a Ca' di Badin è un acciottolato di sassi rotondi di antica posa, scosceso, irregolare. Ci siamo stati pochi giorni fa, abbiamo visto la lapide. Immagino le corse, il caldo, la gente frastornata, disperata,la polvere, il silenzio, le grida, i sassi resi scivolosi dal sangue. Una tragedia in una valletta laterale, sul far del mezzogiorno, che ha zittito le cicale, il mare laggiù.
Il ruolo di Don Quaglia presenta una grande similitudine con quello di Don Tomaso Vigo, fondamentale nel soccorso dei sopravvissuti in un'altra grande tragedia, avvenuta ventitre anni prima: l'esplosione del Forte di sant'Elena, a Bergeggi.
Bisognerà pure che venga pubblicamente e solennemente riconosciuto il ruolo dei parroci in quegli anni difficili, in quelle circostanze tremende.
Arrancando su per il sentiero di Ca' di Badin sapevo che avrei trovato una rosetta di Semprevivi, lassù, in cima, era là, l'ho quasi rancata via, stringendo i denti, per non svenire dal caldo e dalla fatica; nel vaso, sul balcone, aspetto le nuove foglie. Non dimentichiamo.
Grazie a Giuliano Cerutti, che ne ha scritto, a Valentina Cabiale, che ha cercato tracce di Sbarbaro".