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Economia | 09 febbraio 2021, 10:30

Crisi reputazionale del Terzo settore: nuove direttive tra le imprese sostenitrici e le onlus

Crisi reputazionale del Terzo settore: nuove direttive tra le imprese sostenitrici e le onlus

Ultimamente numerosi fattori hanno influito negativamente sul comportamento del consumatore prosociale, scoraggiando i donatori ad aiutare il Terzo settore. Il calo delle donazioni è anche addebitabile all’attuale crisi reputazionale ( vedasi il caso di UNITI X Cremona ). Ma è anche emerso che le aziende sono sempre più attente nel finanziare onlus che non si rivelino portatrici di cattiva reputazione. Abbiamo intervistato il Dottor Fulvio Mastrangelo Consigliere e Vicepresidente AISOM per saperne di più.

Breve scheda professionale di Fulvio Mastrangelo:

Laureato in Economia e Commercio e iscritto all'Albo dei Dottori Commercialisti di Milano, già docente presso il Dipartimento di Ingegneria Meccanica all'Università di Napoli, le sue aree di specializzazione sono: pianificazione fiscale nazionale ed internazionale –fiscalità finanziaria, attività professionale in materia societaria e contrattuale. Oggi Managing Partner e socio fondatore dello studio Internazionale Legale e Tributario (SILT) di Milano e Vice Presidente Aisom.

f.mastrangelo@siltassociati.it

Qual'è il posizionamento di Aisom nei confronti di questo problema?

Aisom è una associazione per le imprese che ha tra i suoi obiettivi quello di indicare ai propri associati un percorso di efficienza ed efficacia applicabile al proprio contesto ed alla propria azienda. Io sono dal 2019 Vice Presidente dell’associazione. La mia visione sul punto è di estrema prudenza. Chi guida un’impresa deve essere cosciente dei rischi che si annidano anche nel compimento di un semplice atto di donazione ad una Onlus.

Mi spiego meglio: sia che la donazione nasca da una reale volontà di “mecenatismo aziendale”, sia che venga generata da valutazioni di opportunità reputazionale e di comunicazione, specie se di importi rilevanti ed enfatizzato nella comunicazione sociale, lega fortemente l’immagine della Onlus con quella dell’azienda.

Se non vi è stata una approfondita analisi non solo dell’iniziativa ma anche dei gestori della Onlus, il rischio di danni reputazionale potenzialmente cresce.

Le aziende socie di Aisom sono mediamente sensibili ai temi di compliance normativa, e in Aisom viene data molta importanza all’etica imprenditoriale.

Credo che il calo delle donazioni sia anche figlia del periodo storico in cui viviamo, ivi compresa la crisi economica attuale. Ovviamente i casi come quello di “Uniti per Cremona”, non aiutano.

Oggi molte iniziative no profit italiane si stanno avvicinando con notevole successo alle vari forme di Cowdfunding ( donation, reward, civico etc). Questo lo ritengo molto interessante per quelle iniziative di qualità e trasparenza che si rivolgono in modo local ( es quartiere) o global ( in tutta Italia o anche all’estero) a finanziatori diffusi ( sia persone fisiche che aziende).

Questo è anche un modo aggiuntivo molto interessante e attento per le aziende di investire nel terzo settore”.

Le aziende socie AISOM sono attente a sostenere organizzazioni che non si rivelino cattivi investimenti. Come vivono le imprese socie il vostro indirizzo…le linee guida AISOM ?

Una società socia di Aisom che dovesse ritrovarsi ad essere scoperta in attività poco chiare o poco lecite, verrebbe immediatamente estromessa dall’Associazione.

Il rischio reputazionale è elevato. Non solo per Aisom ma anche per tutti i soci e i consiglieri che non vogliono nel modo piu’ assoluto essere anche lontanamente affiancati ad aziende non corrette.

Il suggerimento è sempre quello di dedicare del tempo ad approfondire e ad informarsi prima di accettare nuovi soci o di decidere di sostenere organizzazioni no profit.

E’ facile inciampare in errori con possibili risvolti reputazionali negativi pur non volendo. Ad esempio io sono un professionista con piu’ di venti anni di esperienza fatti sulla piazza di Milano. Durante la mia carriera è capitato di rischiare scivolare sulla classica “buccia di banana” ricevendo in ufficio imprenditori ( anche con una certa risonanza sul mercato) per valutare di svolgere attività tecniche professionali particolarmente remunerate senza inizialmente capire che il lavoro dovesse essere svolto nei confronti di personaggi/aziende dall’etica molto discutibile. Per fortuna le nostre policy interne ( riprese da quelle di EY) prevedono sempre una piccola due diligence prima di accettare un lavoro. E questo, nell’esempio citato, ci ha permesso di recuperare informazioni e di gestire in anticipo il potenziale rischio. Tutto questo per dire che è un attimo rovinarsi la reputazione. E la reputazione vale tanto per un’azienda!”.

Ma poi le imprese sono fatte di uomini che dismessi i panni del mondo impresa, diventano privati…quindi un altro potenziale canale di finanziamento per il terzo settore e con le medesime motivazioni e attenzioni.

Assolutamente sì. Dismessi i panni professionali/aziendali molti di noi dedicano parte del proprio tempo e del proprio denaro ad attività no profit. Io in particolare sul tema del terzo settore, partecipo attivamente con il mio club Rotary Cordusio ad attività di service, molti dei quali dedicati al nostro territorio lombardo. Ho collaborato con la Fondazione Archè Onlus sul progetto di rivitalizzazione dei loro negozi Vintage e sto finanziando tramite donazione sulla piattaforma di crowdfunding civico un’associazione selezionata dal Comune di Milano per la creazione di una innovativa scuola del pane ( con temi di sostenibilità, food, sviluppo economico, aree disagiate milanesi, creazione di punti di rinnovata socialità di quartiere) che ritengo molto interessante.

Questi, penso, sono esempi di comune partecipazione dei cittadini verso proposte no profit effettivamente entusiasmanti. Per entrambe le situazioni ho approfondito la validità sociale della proposta Onlus e verificato le informazioni esistenti non solo sul progetto e sulla struttura ma anche sui suoi organizzatori”.

Oltre al ruolo istituzionale in AISOM Lei è un affermato imprenditore:  è stato Socio nello studio della prestigiosa società di revisione Ernst & Young e da 15 anni è alla guida di un gruppo societario che opera nel mondo dei servizi aziendali, tributari, legali ed è stimatissimo Revisore dei Conti, anche in organizzazioni del terzo settore. Sappiamo che molte importanti organizzazioni del terzo settore ( vs. clienti ) – subito dopo l’emanazione della riforma del 2016 si sono e si stanno indirizzando a scegliervi come fornitore di tali servizi. Quali sono le difficoltà che incontrate nello svolgere il vostro prezioso lavoro nei confronti di queste organizzazioni?

Nel 2008 un gruppo di professionisti uscì dalla EY per creare le nostre strutture mantenendo, in misura minore, il modello dei servizi per l’impresa adottato da EY ( uno studio legale e tributario, un outsourcing amministrativo e paghe, una società di consulenza aziendale e finanziaria).

Successivamente abbiamo costituito altre strutture all’estero ( una in Scandinavia, una in Svizzera ed una recentissima in Mozambico ( Africa)). Ma ciò che stiamo portando in avanti con convinzione è quello di incrementare le nostre competenze nei settori del prossimo futuro.

Ci stiamo formando per aiutare le imprese nel loro processo di conversione alla sostenibilità ( tema dove attività profit e no profit convergono).

E lo stiamo facendo attraverso partnership con strutture estere storicamente molto forti e dedicate sui processi di conversione sostenibile delle imprese. Infine con altri soggetti/partner stiamo valutando la possibilità di creare una nostra piattaforma fintech, in modo da aiutare aziende e start up innovative ad essere finanziate ( forme di finanziamenti innovativi e aggiuntivi per le imprese, in parte validi anche per il terzo settore).

Ritornando al tema del terzo settore, noi seguiamo diverse Fondazioni/associazioni di carattere culturale e nel settore medicale. Per tutte il tema dei finanziamenti e della competizione tra Onlus è all’ordine del giorno. Noi siamo fermamente convinti che è necessario:

Creare diverse alternative di finanziamento, sommando a quelle tradizionali, quelle più innovative come l’utilizzo delle piattaforme di Crowdfuning.

Andare nella direzione della massima trasparenza ed efficienza gestionale. Il donatore/finanziatore vuole capire quanta parte di ogni euro di finanziamento andrà alla causa oggetto della donazione e quanta parte andrà a coprire i costi di struttura e gestionali della Onlus. Ovviamente più è ampio quest’ultimo più difficilmente la onlus troverà finanziatori disposti a perorare la causa.

Al di là del ruolo specificatamente tecnico, il nostro maggior sforzo è indirizzato alla crescita culturale di queste organizzazioni. Molti stanno comprendendo solo ora che è iniziata una competizione serratissima per accaparrarsi sostenitori. Da 6 mesi molte reti TV hanno enormemente aumentato i passaggi pubblicitari di alcune Onlus per sollecitare il versamento di contributi, sia come pubblicità che come trasmissioni e programmi con finalità benefiche. Questo è un chiaro sintomo della mancanza di risorse. Ha ragione la società AIDA che nella sua ricerca evidenzia come le aziende siano il bersaglio primario delle richieste di aiuto. Ma le aziende sono abituate a gestire i fondi finanziari per progetti in modo diverso dallo Stato o dalla banca che lo fanno per filantropia”.

Le attività di revisione sono legate da sempre al tema della “ certificabilità “ delle operazioni, seguendo modelli standard riconosciuti nel mondo. Nel terzo settore ci si avvicina adesso. Può un modello di certificazione aiutare una organizzazione del terzo settore a farsi “rispondere” meglio da parte dei propri stakeholder?

Come ho spiegato poc’anzi si va verso una maggiore trasparenza, non solo dal punto di vista normativo ma anche una necessità percepita dai finanziatori e una maggiore efficienza. In questo contesto per una Onlus con le carte in regola farsi certificare è sicuramente un’opportunità per emergere nei confronti della competizione che nel prossimo futuro sarà sempre più serrata e sicuramente questo la porterà ad avere un numero più rilevante di finanziamenti e sostenitori rispetto a non averlo fatto. Avvantaggia anche le aziende finanziatrici nella loro valutazione di rischio nell’associare il proprio nome a una determinata Onlus o a un suo determinato progetto”. 

Maurizio Losorgio

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