Attualità - 16 maggio 2021, 14:00

La Fiaba della Domenica: "Acqua chiara"

Chi non ha avuto mai paura nella vita? Solo l’incosciente o il folle possono rispondere affermativamente

La Fiaba della Domenica: "Acqua chiara"

Nel regno di Idros la vita scorreva tranquilla come un placido fiume che supera anse e scavalca fossati, come un imponente corso d’acqua che, sicuro della propria forza e coeso nella sua serafica potenza, non teme rapide o cascate, dighe o foibe, certo che ogni ostacolo sarà superato con la tranquillità della freddezza silenziosa che avviluppa ogni luogo. 

Così era la vita ad Idros, ricca di fiducia e conscia dello scorrere via del flutto che si guarda e lo si vede già lontano, in attesa della prossima onda. Ma non era stato sempre così. Idros aveva trascorsi bellicosi. Il re Ramiro e la regina Borderina avevano subito assedi nefasti nella loro città.  E la vita allora sembrava un vorticoso torrente che, nel suo calare dal monte, tutto travolge e ingloba nei gorghi fangosi, pietrificando ogni cosa come lava sorgiva e atterrendo ogni essere con l’inarrestabile violenza del proprio aggredire.

E quando la vita diviene un vortice di terrore, si cerca di salvare gli affetti più cari, si cerca di offrire ai piccini una visione del mondo più rosea, allontanandoli dall’occhio del tifone, dall’epicentro delle proprie paure. Anni, prima appunto, la città di Idros era sotto scacco. Il terribile barbaro re Piros, re della città Incendiaria, nemico giurato di Ramiro e della sua dinastia, l’aveva messa a ferro e fuoco, stringendola nella feroce morsa della morte e della fame, della malattia e dell’obiezione, senza scampo alcuno né per i regnanti né per gli abitanti della città che, valorosamente, resistevano alla ferocia dell’assedio.

Quando ormai tutto sembrava perduto e le truppe di Piros stavano per sfondare le ormai deboli difese degli assediati, Ramiro e Borderina avevano pensato di mettere in salvo la piccola Miricia, mandandola, con un fedelissimo servitore, dalla nonna Silente sul monte Crupiero, tramite un passaggio segreto noto solo ai regnanti. E così alla piccola Miricia vennero risparmiati l’onta della resa e l’arroganza del vincitore, il fuoco devastante e il ludibrio dei barbari, il sangue sparso a fiumi e il capo chino dei vinti.

Ma al culmine del parossismo e dell’euforia per la vittoria, mentre stava per celebrare l’orrendo rito dell’uccisione di Ramiro e Borderina, Piros venne incenerito da un fulmine attirato dal bagliore della sua spada.  Rimase solo un pugno di cenere. I barbari, atterriti da quel segnale divino, fuggirono scomposti e in preda al panico, lasciando così i sopravvissuti di Idros nella lenta e travagliata impresa di ricostruire se stessi e la loro città, nella rinnovata fede nei propri regnanti salvati in quel modo così singolare da morte certa per un imperscrutabile disegno superiore.

E Miricia visse così per nove lunghi anni sul monte Crupiero, alla corte della nonna Silente, dormendo con lei, suonando l’arpa con lei, dispensando saggezza e armonia con lei e bevendo l’acqua di lei. L’acqua del monte, l’acqua di Silente. Al termine del nono anno, quando Miricia di anni ne aveva sedici, Ramiro e Borderina ritennero giunto il momento di riprendere con sé la figlia Miricia. Ormai Idros era stata ricostruita più bella di prima, i suoi palazzi di marmo rilucevano come acqua cristallina, la fiducia della gente dissetava chiunque passasse di là, la rinnovata e ritrovata forza della regale famiglia dava l’immagine salda e paciosa dello scorrere di un grande fiume sornione.

Sì, era ora di riprendere a corte Miricia! L’assedio di Piros era un ricordo lontano, la disfatta subita era uno smacco nell’oblio. Anzi, la fine di Piros, voluta dagli dei, era servita da monito per tutti coloro che avevano avuto velleità contro Idros; questa folgore divina serviva ancora oggi a riempire di sacro terrore i nemici di Ramiro e Borderina che si guardavano bene dal belligerare contro di loro. Il fulmine inceneritore era stato ed era ancora il segnale della benevolenza degli dei nei confronti di Idros e il baluardo che impediva a chiunque di muovere contro la città. E così Miricia ritornò, con grande pompa, a corte dai suoi genitori.

Tutto tornò alla normalità, o quasi, ogni casella tornò al suo posto, o quasi, ogni tassello trovò il proprio incastro, o quasi. Miricia, dopo nove anni, era molto cambiata. La bimba che era fuggita col servo furtivamente dal passaggio segreto, timida e rispettosa, diafana e spaventata, obbediente e lacerata, aveva lasciato il posto a una splendida fanciulla dai capelli ramati, altera e un po’ sprezzante, ma solo un po’, come si addice a un’adolescente che ha rivalse da esternare, intelligente e sagace, osservatrice e un po’ salace, ma solo un po’, come si addice a un’adolescente che rivendica il suo ruolo.

Fu organizzata una grande festa per il ritorno a corte di Miricia: a ogni suddito di Idros vennero donati da Ramiro e Borderina due sacchi di farina e una bisaccia di fagioli, vennero graziati alcuni detenuti e vi furono musica e danze per sette giorni e sette notti, con cibo e sidro in abbondanza. Anche la nonna Silente partecipò alla festa: il regno di Idros si avviava verso un periodo di prosperità, di pace e armonia da condividere con tutti i regni vicini. In questo clima di euforia, di fiducia e di gioia, Miricia si era inserita molto bene. Partecipava ai riti di corte, prendeva parte ai giochi e alle danze, godeva dei sontuosi banchetti, riceveva i coetanei a corte, leggeva e studiava le stelle, viveva insomma in sintonia con genitori, cortigiani e sudditi.

Aveva un solo problema: rifiutava l’acqua da bere. Il suo rifiuto era motivato dal fatto che l’acqua di Idros non era buona, fresca e pura come quella del monte Crupiero, quella della nonna Silente. Sulle prime Ramiro e Borderina non dettero peso a questo fatto: lo ritennero una “stranezza” adolescenziale, un capriccio di una bambina cresciuta dalla nonna e con la nonna e da questa troppo viziata. Ma con l’andare del tempo, su consiglio anche dei preoccupati dottori di corte, il re e la regina cominciarono a considerare l’evento con una certa apprensione. Miricia, certo, beveva un po’ di sidro e molti intrugli appositamente preparati per lei, ma mai una goccia d’acqua. Rischiava la disidratazione.

Non servivano né esortazioni, né promesse, né minacce. Ogniqualvolta le si offriva l’acqua, Miricia assaggiava appena e, sdegnosamente, allontanava la brocca dicendo:”Non è buona come quella della nonna!” Eppure Idros era famosa per le sue acque: da ogni dove venivano pellegrini e viaggiatori per approvvigionarsi dell’acqua di Idros, i suoi fiumi erano ricchi e debordanti, i suoi laghi assicuravano pesce e frescura a tutti i sudditi del regno, le sue fonti erano il vanto dei regnanti e dei residenti. Le ancelle e le dame provarono ogni effetto e ogni astuzia: aggiunte di menta e verbena, brocche allegre e variopinte, spettacoli di guitti per distrarre la principessa, abluzioni collettive alle sorgenti con relativi sorsi dissetanti. Nulla, Miricia continuava a non bere. 

La soluzione più semplice era quella di mandare i servi con otri e muli  sul monte Crupiero ad approvvigionarsi di quell’acqua gradita. E così fu fatto. Partì una spedizione di venti carri da mulo con relativa scorta armata che tornò dopo un mese carica d’acqua contenuta negli otri. Le aspettative dei regnanti e della corte erano grandi, tanto quanto grande e amara fu la delusione allorquando Miricia, assaggiata l’acqua appena arrivata, disse:  ”Non è buona come quella che bevevo dalla nonna”. Enorme fu lo scoramento dei suoi genitori e dei sudditi tutti. Infausto fu il verdetto degli illustri dottori:”Se la principessa non berrà acqua entro una settimana, fatalmente morirà”.

Il tempo stringeva, la tragedia era alle porte. Vi fu un  Gran Consiglio di tutti i dottori e di tutti i notabili. Che fare? Miricia sarebbe morta disidratata, segnando così per sempre la vita dei suoi genitori e quella del regno di Idros. Dopo mille conciliaboli e altrettanti ripensamenti, dopo aver sentito maghi e fattucchiere, il re decise di emettere un bando. “Chi fosse riuscito a portare alla principessa un' acqua gradita l’avrebbe avuta in sposa”. E così partirono i banditori che, su veloci destrieri, pubblicarono il bando nelle più lontane contrade. E iniziò lo stillicidio. Sposare Miricia era un’evenienza ambita.

Lei era molto bella, parimenti ricca e poi il matrimonio con lei avrebbe garantito il controllo di Idros e delle sue ricche sorgenti che significavano energia, irrigazione, coltivazione, trasporto, commercio, ricchezza e prosperità. E così principi e duchi, conti e marchesi, re e giullari, guitti e dottori, legulei e corifei, cortigiani e avventurieri fecero la fila ciascuno con in mano una brocca d’acqua. Miricia assaggiò l’acqua del Nilo e del Giordano, del Tigri e dell’Eufrate, del lago d’Anatolia come di quello dei Carpazi, persino dello Stige e delle fonti Cumane. Ma non vi era nulla da fare.

Intinta la regale lingua  nell’acqua di turno, invariabile era la risposta “Non è come quella della nonna!” E intanto Miricia avvizziva, come una prugna disseccata al sole d’estate, come un limone spremuto e abbandonato dopo aver donato il suo succo. Panico e disperazione si stavano impadronendo di Ramiro e Borderina, così come di tutto il regno. I pretendenti facevano la fila sotto il sole per giorni e giorni, diligentemente, con la brocca tra le mani, protetta da frasche e piumaggi per tenere fresca l’acqua. Ma la risposta era sempre la stessa. C’era chi reagiva con stizza, chi con rassegnazione, chi tentava di nuovo.

La notizia della singolare situazione era giunta anche a Zante, povero contadino di una lontanissima contrada. Zante si abbeverava ogni giorno alla fonte della Quercia Pietrificata, una sorgente che sgorgava appunto tra le radici di pietra di una secolare quercia pietrificata da un’eruzione vulcanica. Quest’acqua aveva il potere di ristorare Zante quando, dopo ore e ore a dissodare terreni pietrosi sotto il sole, cercava beneficio e sollievo per poi riprendere il lavoro. Ed era sollievo vero, lungo, appagante, foriero di ricarica di nuove energie per ancora ore e ore di faticoso lavoro. Zante non immaginò neppure per un attimo che la principessa Miricia potesse sposare lui, proprio lui, umile e illetterato contadino, con le mani callose e la pelle arsa dal sole.

No, lui temeva seriamente per la sorte della giovinetta, condannata a morire per disidratazione, e voleva provare a salvarla. Solo questo contava per lui. E si mise in fila, vestito di stracci, scalzo e bruciato dal sole , con in mano una brocca d’acqua della Quercia Pietrificata. E dopo un’estenuante attesa,  venne il suo turno. A Zante si presentò un’immagine desolante. Miricia, ormai ridotta a un osso di seppia, scrollava a fatica il capo ad ogni assaggio d’acqua, ripetendo stancamente:”Non è buona come quella della nonna!”. E Zante arrivò al cospetto di Miricia. Il povero contadino aveva il cuore in tumulto. 

Avrebbe dato la sua vita in cambio di quella della giovane! Zante pose la sua brocca e una sfinita Miricia la portò alle labbra. Fu come un fremito d’ali, come un bagliore nel cielo, come un’alba sul mare, come una vampa nel bosco. Miricia bevve, prima piano, poi sempre più avidamente, sino a dissetarsi e a reidratarsi con tutto il contenuto della brocca di Zante. Suonarono le trombe, il tripudio fu immane. Campane, giullari, frizzi, lazzi e frenesie si scatenarono di giubilo.

Zante, il povero contadino, fu portato in trionfo al cospetto del re e della regina pronti a tener fede alla promessa. Ma Zante si premurò a dire :”Sposerò Miricia solo se lei mi vorrà, altrimenti la mia gioia di averla salvata è già immensa”. E Miricia acconsentì. I due giovani si immersero per la vita nelle acque della felicità e Idros si arricchì di un’altra acqua, pura e cristallina, quella della Quercia Pietrificata.

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