Attualità - 16 maggio 2021, 18:33

Paolo Crepet: “Trattati come cellule dai virologi, ora finalmente torniamo umani”

Martedì esce ‘Oltre la tempesta’, ultimo libro del popolare psichiatra e sociologo: “Siamo nell’esigenza di dover ripartire. Serve un grande sforzo collettivo. La scuola a distanza? Un errore sin dall’inizio”

Paolo Crepet: “Trattati come cellule dai virologi, ora finalmente torniamo umani”

“Finalmente, dopo un anno e mezzo, è venuto fuori che esistono gli uomini e che non esiste soltanto la pandemia”. Da qui occorre ripartire, anche se sono stati commessi tanti, troppi errori. È una delle tesi che il noto psichiatra e sociologo Paolo Crepet porta avanti nel suo ultimo libro: s’intitola ‘Oltre la tempesta - Come torneremo a stare insieme’ e uscirà il prossimo martedì 18 maggio per i tipi dMondadori, casa editrice che dell’autore ha già pubblicato i volumi ‘Baciami senza rete’, ‘Il coraggio’, ‘Passione’, ‘Libertà’ e ‘Vulnerabili’

In questa intervista, Crepet spiega come vede il ritorno alla vita dopo la ‘tempesta’, con chiaro riferimento alla pandemia. “C’è stato un attacco molto pesante da parte dei virologi - dice - Siamo stati trattati come cellule e non come persone. Oggi siamo nell’esigenza di dover ripartire, perché così stiamo male. Dopo le restrizioni, finalmente torna al centro l’essere umano”.  

Secondo Crepet, “adesso siamo spaventati, disorientati, ora depressi o inclini all’ira, ora fiduciosi nella solidarietà collettiva: stiamo attraversando la pandemia come fossimo in mezzo a un mare tempestoso, cercando di resistere nella speranza di arrivare presto a un approdo”.  

In questo libro si interroga su che cosa ci attende.  

“Sì, ma sarebbe desolante se ad attenderci ci fosse la realtà di prima. Al tempo stesso, non possiamo pensare che il futuro si faccia da sé, per inerzia: il futuro è il tempo della fiducia, per questo va attivamente progettato e nutrito. Dobbiamo allora coltivare la fantasia, far leva sulla nostra forza immaginativa per riparare ciò che si è incrinato dentro di noi e intorno a noi, nelle relazioni, nella vita quotidiana, negli spazi di lavoro. E lo dobbiamo fare soprattutto per le giovani generazioni, cui va restituito il diritto di sognare e di guardare avanti senza timore”. 

Quando ha scritto ‘Oltre la tempesta’? 

“L’ho scritto in autunno, in occasione del lockdown causato dalla seconda ondata del Covid. Parlo del futuro della dad, dello smart working, della tecnologia digitale. Ho consegnato il libro due mesi fa e posso dire che molte cose si stanno avverando adesso”.  

La tecnologia è stata di grande aiuto però. 

“Certamente, nella fase emergenziale è stata di grandissimo aiuto. Ma ora bisogna capire cosa fare della nostra vita, della nostra casa, delle città e del mondo del lavoro. La tecnologia è stata un valido supporto, ma va superata per ritornare alla normalità delle vite di prima”.  

Lei si è solitamente schierato contro la dad. 

“Oggi la didattica a distanza, con questa situazione dei contagi, è assolutamente impensabile. Ma doveva essere evitata anche prima. Le scuole non andavano toccate, ci si poteva e ci si doveva organizzare meglio. Invece, questa generazione che ha praticamente perso due anni di didattica in presenza, avrà grossi problemi nel futuro. Ci sarà un buco formativo notevole, non so come si recupererà, dovrà essere compito del Ministero adottare delle contromisure. Anche i criteri di giudizio sono cambiati: è innegabile, ci saranno dei ragazzi molto meno preparati”.  

Tra i giovani ci sono moltissimi problemi di relazione e di depressione: cosa ne pensa? 

“Penso che anche questo sia abbastanza logico, nel senso che c’era da aspettarselo. Ma è chiaro che la depressione non è figlia del virus: semmai è figlia delle regole e dei provvedimenti che sono stati adottati. I giovani hanno ricevuto un trattamento che è molto ma molto peggio del virus. Ci sono stati molti miei illustri colleghi che hanno fatto il panegirico della dad, invece di mettersi dalla parte dei ragazzi. Loro hanno perso due anni, c’è poco da fare, è andata così”.  

Nel suo libro, lei parla di impegno collettivo. 

“La costruzione del futuro, a mio avviso, passa anche attraverso un maturo impegno collettivo, perché da soli si può avere un’idea, un’intuizione, ma al nuovo si arriva solo quando le persone si incontrano, si incoraggiano, si confrontano e si criticano, arricchendosi a vicenda. Quando il virus sarà sconfitto, lascerà una cicatrice interiore che ci accompagnerà per molto tempo. Per questo dobbiamo reagire, fin da adesso. Scuotiamo le nostre anime, facendo emergere la forza propulsiva e trasgressiva che è dentro di noi, per riscoprire il senso più vero e profondo delle relazioni e dare forma a quello che sarà il mondo oltre la tempesta. Solo così, potremo dire che questa terribile esperienza ci ha insegnato qualcosa: se ci aiuterà a ritrovare la nostra dimensione più autentica e a riscoprire la bellezza e lo stupore che la vita ha in serbo ogni giorno per noi”. 

Quindi incita alla ribellione? 

“Esiste una ribellione in senso positivo, quando questa diventa visione. Se ci si ribella tanto per ribellarsi, allora non sarà servito a nulla. Io credo che in questa pandemia siano state perse delle grandi occasioni per riformare il sistema alla radice, come ad esempio per quanto riguarda le opere pubbliche”.  

C’è tutto il tema del Recovery Fund, che è sempre di grande attualità.  

“I soldi non sempre sono la soluzione. Sono anche un grande rischio. Bisognerà che tutti gli appalti siano verificati con grande attenzione, perché i primi a conoscere perfettamente il Recovery Fund sono i mafiosi. Quando parlo di occasioni perse, mi riferisco anche a questo: come mai non sono state tolte le regole sul minimo ribasso? Come mai non sono state ritoccate le leggi sugli appalti? Eppure, sarebbe bastato pochissimo. Su tantissimi aspetti della nostra vita politica è mancata l’iniziativa: ma non per immobilismo, né per conservatorismo. Proprio per insipienza”.  

Le misure restrittive sono state allentate, la campagna vaccinale prosegue ma, nonostante questo, prevale ancora moltissima paura. Le persone non escono di casa o lo fanno pochissimo, il ritorno alla vita e alle antiche abitudini pare ancora molto lontano. Che ne pensa? 

“Penso che sia vero, ma non parlerei di sindrome del bozzolo. È ancora troppo presto per parlare di sindrome del bozzolo: lo potremo fare alla fine dell’estate, se proseguirà questo atteggiamento da parte delle persone. Oggi è ancora il Covid, purtroppo, il padrone delle nostre vite, non ce ne siamo mica ancora liberati. Anche su questo, come ultima considerazione, andrebbe fatta una riflessione”. 

Quale? 

“La sanità pubblica e il Recovery Fund. Vanno potenziati i servizi al cittadino, non basta costruire degli ospedali in termini di edifici, se poi non si riempiono adeguatamente. Ad esempio, quante strutture di neuropsichiatria ci sono per ragazzi e giovani, a parte il Gaslini, in Liguria? Sull’offerta medica bisogna lavorare di più e meglio. Non si può più ragionare solo in termini di Covid, come è stato fatto nell’ultimo anno e mezzo. Esistono tutte le altre patologie, e non vanno assolutamente sottovalutate”.

Alberto Bruzzone

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