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| 22 luglio 2021, 10:48

Dove finiranno i 7 milioni di metri cubi di detriti estratti dalle gallerie dello spostamento a monte della ferrovia?

Con lo spostamento a monte della ferrovia, la costruzione delle nuove gallerie (25 chilometri, a doppia canna) porterà in superficie 7 milioni di metri cubi di detriti...

Gruppo d'informazione Non perdiamo il treno

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Con lo spostamento a monte della ferrovia, la costruzione delle nuove gallerie (25 chilometri, a doppia canna) porterà in superficie 7 milioni di metri cubi di detriti. Per semplificare la comprensione: pensate a un quadrato con un lato di due chilometri e mezzo, sul quale posare uno strato di terra e pietre, alto un metro. Oppure pensate a un quadrato più piccolo, con un lato di 850 metri, ma con un altezza di 10 metri. Questa è la dimensione del materiale che verrà estratto dai tunnel.

Ovviamente in Liguria non esistono aree libere così ampie da destinare allo stoccaggio del materiale di risulta. Sono stati preparati diversi piani delle discariche per affrontare questa fase dei lavori. Due progetti di smaltimento hanno raggiunto una fase avanzata a livello amministrativo e adesso andremo a analizzarli.

Entrambe le ipotesi hanno una parte comune. Mezzo milione di metri cubi di detriti sarà utilizzato per alzare di dieci metri l’area di cinque ettari dove sorgerà la stazione di Bastia d’Albenga. Questo innalzamento della quota sarà necessario per evitare una brusca discesa dei binari, che limiterebbe ulteriormente la velocità dei treni. Un volume simile (circa 500 mila metri cubi) sarà distribuito sulla nuova linea ferroviaria per realizzare il terrapieno su cui poggeranno le rotaie in superficie. Un milione di metri cubi sarà stoccato in discarica a Tovo San Giacomo.

Per gli altri cinque milioni di metri cubi, i due progetti principali danno destinazioni differenti.

Secondo la prima ipotesi, più “concentrata” dal punto di vista geografico, il materiale di risulta dovrà essere depositato su altopiano di circa 50 ettari, da coprire con un’altezza media di 10 metri, compreso tra Enesi (la zona di Albenga dove c’è il canile) e località Ciappe a Villanova, sulla sponda orografica sinistra del torrente Arroscia, in corrispondenza dell’aeroporto Panero.

In base alla seconda opzione, promossa dall’ex Comunità montana, questi 5 milioni di metri cubi sarebbero invece da smaltire in una serie di vallette secondarie, affluenti dell’Arroscia, considerate idonee dal punto di vista geologico e idraulico.

Nessuno studio ha previsto come smaltire il materiale proveniente dal terzo tunnel (quello pedonale di sicurezza, da realizzare in mezzo alle due principali) perché si tratta di un obbligo di legge emerso solo recentemente. Sinceramente non siamo in grado di valutare quanto questa galleria aggiuntiva possa incidere sul volume complessivo dello “smarino”, il materiale provenienti dagli scavi.

C’è infine un’ipotesi affascinante, sulla quale bisogna evitare sia facili entusiasmi sia bocciature a priori. Qualcuno propone di usare il materiale di risulta per opere di difesa dell’arenile, in particolare moli e dighe soffolte. Noi crediamo che questa eventualità sia praticabile, ma che si debba analizzare le rocce prima di buttarle in mare, per evitare inquinamento e danni al turismo. Questa scelta non deve diventare solo un modo per risparmiare sui costi di discarica.

Usare la terra per opere di ripascimento ci sembra invece più complicato. La terra delle nostre colline ha una consistenza diversa rispetto alla sabbia dei giacimenti marini, usata abitualmente per le opere di ripristino delle spiagge. In passato, i comuni hanno negato l’autorizzazione a riutilizzare il materiale, proveniente dagli scavi, per rinforzare l’arenile. Ci vengono in mente solo rarissime eccezioni, tra cui l’operazione edilizia T1 di Ceriale, a pochi metri dal mare, dove oggettivamente il materiale estratto era molto simile alla sabbia. 

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