Politica - 01 novembre 2021, 17:58

Case di Comunità, la Regione Liguria tira dritto sul progetto

Allarme dei medici di medicina generale: “Si creeranno le liste d’attesa anche per le cure di base. Se davvero vogliono andare avanti, sappiano che il vecchietto difficilmente può sobbarcarsi sei-otto fermate d’autobus per vedere il curante”

Case di Comunità, la Regione Liguria tira dritto sul progetto

La Regione Liguria tira dritto sul progetto delle Case di Comunità e i medici di medicina generale sono sempre più allarmati perché temono uno smantellamento, assai pericoloso, della sanità territoriale.

Nei giorni scorsi, il presidente della Regione Liguria, Giovanni Toti, che ha mantenuto per sé la delega alla Sanità, ha incontrato i rappresentanti dei medici, in particolare il segretario ligure della Federazione Italiana Medici di Medicina Generale, Andrea Stimamiglio, e il segretario genovese Andrea Carraro. La nostra regione, infatti, è tra quelle che stanno facendo da apripista nel solco di una vasta riforma a livello nazionale di tutta la sanità territoriale, voluta dal Governo.

Le Case di Comunità saranno finanziate attraverso i fondi del Recovery Plan: secondo le previsioni di Palazzo Chigi, non ci saranno più studi medici sul territorio affidati ai singoli dottori o a gruppi di dottori associati, che lavorano in convenzione con il Servizio Sanitario Nazionale, bensì delle strutture, una ogni cinquantamila abitanti, per ospitare i medici a rotazione, ventiquattro ore su ventiquattro e sette giorni su sette, con contratti da dipendenti rispetto alle Aziende Sanitarie Locali.

L’obiettivo è quello di riorganizzare la sanità territoriale, di alleggerire la pressione sui pronto soccorso, ma si rischia di fare un pasticcio andando a smontare un sistema consolidato da decenni e che si è peraltro rivelato fondamentale durante i mesi più duri dell’emergenza sanitaria.

In Liguria, ad ogni modo, queste Case di Comunità dovrebbero essere trentatré: per il Levante genovese, si fa l’ipotesi di Sestri Levante, dove andrebbero a confluire tutti i medici di base del Tigullio. Scelta logistica assai azzardata, anche perché rischia di sguarnire completamente importanti città e ingenti fasce di popolazione. La vertenza è aperta e la partita è affidata direttamente a Toti, che si sta avvalendo, in questa fase, del manager Giuseppe Profiti in veste di consulente. Dopo una posizione di partenza molto lontana, ora c’è un minimo riavvicinamento, ma le posizioni restano ancora molto distanti. Andrea Stimamiglio osserva: “Ci hanno detto che non vogliono fare più contratti con il singolo medico, ma con società di servizio che oggi sono le cooperative della medicina generale, domani potrebbero essere anche società diverse, fatte da privati”.

L’obiettivo della Regione Liguria è quello di realizzare un ‘modello’ di integrazione delle prestazioni sanitarie, garantendo ai cittadini una maggiore efficienza ed efficacia dell’offerta sul territorio, ma secondo i medici questa non è la strada giusta: “Abbiamo fatto varie proposte alla Regione - prosegue Stimamiglio - Rinsaldare la collaborazione sulle cronicità, ampliare l’apertura delle sedi dei gruppi, valutare di spostare nelle Case della Comunità medici di continuità assistenziale per aiutare a far da filtro con l’ospedale e negli accessi domiciliari, ad esempio laddove il medico di assistenza primaria titolare fosse impossibilitato a intervenire sul territorio per impegni concomitanti. La Regione ci ha parlato dei contratti con coop o società di servizio. Per noi questa piega è pericolosa, non si parla di soluzioni in grado di preservare il rapporto fiduciario. Se davvero vogliono accreditare la Casa della Salute e non il medico con il suo studio di prossimità, sappiano che il vecchietto difficilmente può sobbarcarsi sei-otto fermate d’autobus per vedere il curante, e che nella grande sede dove a decine potremmo ruotare ci sarà il caos, evitabile solo con lo scaglionamento delle visite e il moltiplicarsi degli appuntamenti. Morale: si creeranno le liste d’attesa pure per il medico di famiglia, con conseguenze immaginabili sulla prevenzione”.

Torna a parlare anche Antonio Zampogna, noto e stimato medico chiavarese, segretario provinciale della Fimmg. “Nei prossimi giorni, i colleghi che hanno incontrato il presidente Toti ci illustreranno meglio i dettagli del vertice. In generale, posso ribadire che questo cambiamento dell’assistenza territoriale non ha assolutamente senso”. Zampogna fa presente che “ci ha fatto molto male un documento delle regioni dove si addossano le principali responsabilità della gestione critica del Covid ai medici di medicina generale. E questo perché noi ci siamo sacrificati, facendoci carico con sacrificio, generosità e senso di responsabilità di garantire l’assistenza ai cittadini in un contesto organizzativo e logistico condizionato da anni di disinvestimento sul sistema salute del nostro paese e in particolare sulle cure territoriali. Noi condividiamo l’obiettivo della ‘questione medica’, ma il PNRR non investe sui professionisti, bensì esclusivamente sulle strutture edilizie. E quando i soldi saranno finiti?”.

Secondo Zampogna, “per l’ansia di dover cambiare tutto, si rischia di buttare il bambino con l’acqua sporca. Il principale aspetto del medico di medicina generale è il rapporto di fiducia che instaura con il proprio paziente. Questa è la caratteristica principale. Se lo mandiamo in una grossa struttura, oltre alle difficoltà logistiche, farà fatica a parlare sempre con la stessa persona. Si va a perdere la capillarità e la prossimità: non c’è paesino dell’Italia dove non ci sia almeno un medico di base. Se passerà questa riforma, interi territori resteranno sprovvisti di un’assistenza sanitaria”.

Il medico chiavarese osserva: “Noi non siamo contrari a priori alle Case di Comunità: infatti, da moltissimi anni, abbiamo creato delle aggregazioni di medici, degli studi associati dove ci sono diversi professionisti. Abbiamo sempre cercato di fornire un servizio d’eccellenza, ci siamo migliorati anche sulla scorta delle nuove tecnologie. Le Case di Comunità vanno bene dove c’è una densità abitativa piuttosto alta, ma nei piccoli paesini il medico di base deve rimanere. Faccio sempre l’esempio di Santo Stefano d’Aveto: non è possibile che questo medico confluisca a Sestri Levante. Bisogna, invece, che gli vengano fornite le condizioni affinché possa lavorare come tutti gli altri, e possa poi mettersi in contatto con la Casa di Comunità attraverso la telemedicina. Servono collegamenti informatizzati sul territorio e serve inoltre il fascicolo unico dei vari pazienti, che può tornare molto utile nel caso in cui una persona non venga curata dal proprio medico di base. Invece qui, lo ripeto, si continua a parlare di strutture edilizie, ma non del servizio. È un approccio fondamentalmente sbagliato”.

E la Fimmg continua a ripetere lo stesso concetto: “Sulle Case di Comunità non c’è un no a prescindere, ma possono rappresentare indubbiamente un’ulteriore opportunità solo se realizzeranno un’offerta assistenziale integrativa e non sostitutiva nel sistema attuale delle cure territoriali, opportunità che solo in questo modo sarà di potenziamento come sembra dichiarare politicamente l’investimento del PNRR”.

Alberto Bruzzone

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