Abbattere le liste d'attesa, ormai a livelli improponibili: è il primo obiettivo per la sanità ligure, in evidente difficoltà. Ma come farlo, considerando le attuali condizioni delle strutture ospedaliere e degli organici? E' un tema molto dibattuto, di cui si è avuta ampia prova anche durante la recente campagna elettorale per il nuovo governo della Regione, da cui dipende il funzionamento delle Asl e quindi degli ospedali, oltre che dei servizi sanitari di base.
Ora si aggiunge l'intervento (critico) di un illustre primario, il dott. Massimo Conio, sanremese, che dirige la struttura complessa di Gastroenterologia ed endoscopia digestiva al 'Santa Corona' di Pietra Ligure. E al quale, da sempre, sta a cuore la ricerca clinica, purtroppo poco praticata in Liguria.
Scrive: "Durante il periodo elettorale si ascoltano le solite promesse destinate a rimanere irrealizzate. Del resto, da una semplice analisi dei curriculum vitae di alcuni personaggi politici (regionali e non), non possiamo aspettarci molto. In ambito sanitario l’unico refrain è l’abbattimento delle liste d’attesa. Ovviamente nessuno spiega come raggiungere tale scopo. Aumentare il numero delle prestazioni richiede necessariamente un notevole potenziamento delle strutture che sono al collasso in termini di spazi, obsolescenza e personale medico/infermieristico. In Liguria molti concorsi vanno deserti e nessuno si chiede il perché. Carenza di medici? Verosimilmente. Ma il vero motivo è un altro. Un giovane medico cha abbia l’ambizione di crescere professionalmente, ma non solo, vorrebbe lavorare in un grande ospedale dove, oltre all’attività clinica, possa svolgere una minima attività di ricerca clinica, necessaria per una crescita formativa adeguata e dove gli vengano offerti spazi da dedicare all’aggiornamento.
Nei grandi centri vi è anche una naturale osmosi culturale ed il desidero di raffrontarsi con centri esteri. Nelle ASL periferiche queste possibilità sono assolutamente inesistenti. I medici sono sottoposti a ritmi incessanti e lo spazio dedicato alle riunioni cliniche per analizzare la continua evoluzione scientifica è irrisorio. Questo porta necessariamente alla demotivazione e spesso all’annullamento della creatività. Un enorme problema è inoltre rappresentato dal fatto che possono essere assunti medici che non hanno terminato la scuola di specializzazione. In altre parole ci ritroviamo medici la cui preparazione è incompleta e l’onere di aiutarli in questo percorso ricade sui medici ospedalieri il cui tempo è già di per se molto limitato. In ambito gastroenterologico questo dato è ancora più sconcertante in quanto questi specializzandi non hanno le competenze per svolgere esami endoscopici. Infatti, durante nei pochi anni di frequentazione della scuola di specializzazione questo aspetto viene ampiamente trascurato. E' un dato sconcertante, in quanto non è possibile utilizzarli per “abbattere” le lista d’attesa poiché non hanno maturato le competenze necessarie".
"Premesso che - termina Conio - non tutte le scuole sono uguali (come del resto non lo sono i medici), nessuno affronta questo problema ed analizza i risultati ottenuti. Negli anni ‘90 un prestigioso giornale gastroenterologico, GUT (organo ufficiale della British Society of Gastroenterology) aveva confrontato le scuole di gastroenterologia dei Paesi dell’Unione Europea, dimostrando che, al termine degli studi, gli specialisti italiani non avevano la preparazione dei colleghi Europei ma che l’avrebbero raggiunta dopo almeno 3-4 anni di lavoro in un ospedale. Che cos’altro aggiungere? Ricordiamoci che, prima o poi, diventeremo tutti pazienti e la domanda che sorge spontanea è: da quali medici vorremmo essere curati?"