Tre segnali per capire se l'influenza ha colpito: febbre che sale bruscamente oltre i 38 gradi, almeno un disturbo respiratorio (tosse, naso chiuso, gola infiammata) e almeno un sintomo sistemico come dolori muscolari o spossatezza marcata. Sono le stesse spie di sempre, perché la vera influenza si presenta sempre allo stesso modo, anche quando a provocarla è la variante K che sta mettendo sotto pressione l'Italia e mezzo mondo.
Il ceppo A/H3N2 J.2.4.1 – ribattezzato "super flu" nei Paesi anglosassoni – domina ormai la stagione influenzale italiana. A certificarlo è l'Istituto superiore di sanità, che ne descrive la principale caratteristica: una maggiore capacità di trasmissione, responsabile di un'ondata epidemica più consistente e precoce rispetto agli anni scorsi. Il vantaggio competitivo del virus sta in sette mutazioni che modificano l'emoagglutinina, la proteina di superficie, rendendola più sfuggente rispetto al sistema immunitario.
La buona notizia è che alla maggiore contagiosità non corrisponde, per ora, un aumento della gravità clinica. Il meccanismo alla base dell'epidemia è lineare: gli anticorpi faticano a riconoscere il nuovo ceppo con la consueta efficienza, e questo moltiplica le infezioni. Ne consegue un numero più alto di casi gravi in termini assoluti, pur senza un incremento della virulenza individuale.
A complicare il quadro, la contemporanea circolazione di altri virus respiratori e una popolazione che negli ultimi anni ha ridotto l'esposizione naturale all'influenza stagionale. Due fattori che rendono una fetta significativa di cittadini più vulnerabile all'infezione e alle sue complicanze.
Sul fronte vaccini, l'Iss spiega che la variante K possiede diverse mutazioni rispetto ai ceppi inclusi nel vaccino per l'emisfero settentrionale. Le stime preliminari sono tuttavia rassicuranti: i vaccini in uso continuano a proteggere dall'ospedalizzazione, anche se non è ancora possibile stabilirne l'efficacia contro le forme lievi della malattia.