- 06 ottobre 2018, 17:42

La seconda parte della manovra in pillole: ogni promessa e’ debito e a pagare il conto siamo sempre noi

La rubrica di Bruno Spagnoletti

La seconda parte della manovra in pillole: ogni promessa e’ debito e a pagare il conto siamo sempre noi

A sentire i fancazzisti in campagna elettorale e nelle prime settimane di Governo dopo la sottoscrizione del cosiddetto Contratto, nei primi cento giorni (anzi al primo Consiglio dei Ministri) avrebbero dovuto varare (almeno le linee guida, aggiungo io) dell’abbattimento delle accise “antiche” sui carburanti, la flat tax, il reddito di Cittadinanza, la Pace Fiscale, l’abolizione della Legge Fornero e del Job Act e il rimpatrio dei 500 mila clandestini ai Paesi d’origine.

Com’è noto hanno fatto un po’ di propaganda greve sull’immigrazione, ottenendo il nulla sotto vuoto spinto dall’Europa sulla ricollocazione per quote dei migranti, l’isolamento dai Paesi civili e gli applausi di Orban, dei Paesi dell’est (fronte Visigrad) e l’abbraccio della Le Pen; una legge sulla cosiddetta “dignità del lavoro” che innova poco e niente e il dietro front sull’Ilva, con una intesa che riprende pari pari l’accordo già acquisito dal Ministro Carlo Carlenda.

Nel mio precedente articolo abbiamo visto come secondo i “vincoli e i paletti” posti dal Ministro Tria e le notizie allora disponibili, tra spending review, tax expenditure, riordino delle agevolazioni e sanatoria fiscale (leggasi condono) si sarebbero dovuti trovare nuove risorse per circa 11 miliardi, mentre Lega e M5S ne avrebbero voluto 29 in deficit.

La presentazione ufficiale della Nota di aggiornamento del Def (inviata in Parlamento e spedita in Commissione UE e pare già rispedita al mittente con il timbro “no coking and ne plaisante pas” Giggino e Matteo) consente di avere un quadro abbastanza chiaro della cosiddetta Manovra del Popolo che prende per i fondelli il popolo bue.

Lo studio critico della Nota al Def (con le Tabelle allegate) evidenzia che il Governo intende varare una manovra da 36-40 miliardi per il prossimo anno. Quasi 12,5 miliardi saranno necessari per la sterilizzazione delle clausole Iva nel 2019. Altri 21,5 miliardi serviranno a trasformare in misure operative l’accordo raggiunto tra M5S e Lega sulla ripartizione delle risorse agganciate alla legge di bilancio e al prossimo decreto fiscale, fuori da qualsiasi orizzonte strategico di sviluppo e tutta ancorata a consolidare il consenso elettorale.

La finalizzazione degli interventi “elettorali” che assai presto ci porteranno a dialogare con il Sudan e l’Egitto e ci allontaneranno dall’Europa, prevede in sintesi: per reddito e pensioni di cittadinanza circa 9 miliardi e, nell’ambito della stessa operazione, un altro miliardo dovrebbe essere destinato al rafforzamento dei centri per l’impiego peraltro, ma i competenti non lo sanno, intercettano solo il 4% del mercato del lavoro). Circa 7 miliardi saranno necessari per i pensionamenti con “quota 100”, 2 per la flat tax, 1,5 per gli indennizzi ai risparmiatori danneggiati dai crack bancari e 1 miliardo per le nuove assunzioni nelle forze dell’ordine. Altri interventi con l’obiettivo di sostenere la crescita, come la proroga di iper e super-ammortamento, o riconducibili a rifinanziamenti ordinari e di micro-misure dovrebbero assorbire 1,5 miliardi, ai quali si dovrebbero aggiungere i circa 2,5 miliardi di spese cosiddette indifferibili.

Siamo alla frutta e come giustamente scrive un riformista liberale (non accusabile di vetero comunista) “i conti che non tornano, visto che conosciamo i saldi del deficit rispetto al pil dei prossimi tre anni (2,4%, 2,1% e 1,8%, dopo il penoso aggiustamento in corsa fatto a seguito delle prime reazioni di Bruxelles e con lo spread oltre 300 punti) ma ci è tuttora ignoto quanto saranno le entrate e quanto le uscite; e neppure ci riferiamo ai non detti intorno alla “guerra delle cifre” inscenata da 5Stelle e Lega, che litigano sulla quantità di risorse dedicate rispettivamente al reddito di cittadinanza (ma non sarebbe meglio chiamarlo di “fannullanza” o di “nullafacenza”?) da un lato, e alla manovra fiscale (chiamarla flat tax è francamente troppo) e alla revisione della legge Fornero sull’età di pensionamento, dall'altro. No, il mistero è un altro. E riguarda il motivo, apparentemente imperscrutabile, per cui Di Maio e Salvini hanno scelto di intestardirsi sul 2,4% di deficit, elevandolo a linea del Piave per difendere il (presunto) cambiamento insito nella “manovra del popolo”.

In ogni caso mancano ancora circa cinque miliardi per completare la copertura della manovra; e, su questo punto sarà bene tenere gli occhi aperti per non cadere nella trappola del gioco delle tre carte o dei campanelli del “napoletano” e del “milanese”: ne va delle detrazioni nel nostro 730!

Sul merito delle misure note, la misura Quota Cento (come somma tra età anagrafica e anni di contribuzione) venduta come superamento della Legge Fornero; ma in realtà funzionale solo ad alcune aree di lavoro, è lungi mille miglia dall’obiettivo di abolire la Legge Fornero: sono musse in libertà! Insomma che Quota cento rappresenti il superamento della Fornero è una balla spaziale e una fake news che solo gli sprovveduti possono credere.

È un fatto che se servono 41 anni di contributi, è una presa in giro. Utile solo ai dipendenti pubblici del Sud e non ai lavoratori dipendenti e al sistema delle imprese, mentre è una sciocchezza che i pensionandi saranno sostituiti da nuova occupazione!

La verità sarà che come tutti i cittadini, le imprese, pagheranno il costo del denaro in banca (mutui, prestiti, operazioni), alimentato dallo spread e dalle nuove misure del Def (indeducibilità degli interessi per le banche).

In questo quadro come autorevolmente scrive il mio amico Umberto Minopoli (grande testa pensante) “Gli sconfitti, oltre l’Italia che si avvicina all’abisso (spread, giudizio negativo delle agenzie di rating, condanna europea), sono Tria e Salvini; le sbruffonate di Salvini contro l’Europa sono servite solo ai dilapidatori a 5 Stelle; ’assistenzialismo e la decrescita sono il dominus della manovra e Salvini porta a casa, forse, solo un piccolo odioso condono; Salvini non realizza nulla della sua parte del “contratto di governo” e risulta il vero perdente sacrificato sull’altare della manovra e sulla vittoria di Di Maio sul reddito di Cittadinanza”.

La verità è che il ciclo economico del Paese tende di nuovo a bloccarsi e noi siamo tra color che son sospesi; e viene in mente la bellissima poesia di Ungaretti sui Soldati “Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie”; un Paese in attesa di giudizio!

L’affidabilità politica e l’assenza di un orizzonte strategico del Governo giallo verde di per sé, sta già costando caro per l’aumento degli interessi sul debito. Dover pagare per questo vari miliardi in più già l’anno prossimo, come minaccia di accadere, comporta un trasferimento di ricchezza sul modello Robin Hood alla rovescia. Da chi ha di meno a chi ha di più: dall’intera platea dei contribuenti — inclusi i redditi più bassi — alle banche, alle assicurazioni, ai fondi esteri e agli italiani più abbienti che detengono i due terzi di quei titoli di Stato.

Ecco perché il nodo del debito pubblico non è un dato immateriale, ma una croce e un peso che ognuno di noi porta e paga ogni anno a sua insaputa magari.

Questo è il quadro sinottico senza polemica alcuna e senza pregiudizi e pregiudiziali; ma anche la pazienza confuciana ha un limite perché, come diceva il maestro cinese "non correggere i nostri errori è come commetterne altri": speriamo che a Giggino glielo abbiano ben spiegato nel recente viaggio in Cina.

Bruno Spagnoletti

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