Curiosità - 13 aprile 2021, 08:33

"Anche le capre nel loro piccolo si incazzano": il tesoro del Beigua

Iniziative come “Cascina Giacobbe” sono fondamentali sia per l’esempio che danno, in una regione da cui si fugge per cercar lavoro, sia per la tutela del territorio - di Mimmo Lombezzi

Parco del Beigua - capre

Dalla cascina di Paolo Giacobbe a Pianpaludo, il panorama del Beigua è talmente grandioso che scoraggia qualsiasi tipo di attività fisica. Anche passeggiare. Ti siederesti su un tronco a guardare le nuvole che si frangiano nei boschi come le quinte di un gigantesco teatro e passeresti ore a mangiare formaggio di capra e a masticare i tipici discorsi dei turisti fancazzisti, discutendo su com’è il tempo oggi e come sarà domani, commentando lo sciopero delle castagne o la latitanza dei funghi o maledicendo i cinghiali che - diciamolo signoramia – sono, ormai, una vera invasione ! Difficile dire se il paesaggio sia più affascinante d’estate o d’inverno.

“Quando scende la ‘galaverna’ – spiega Manuela Salvini, che insieme a Paolo gestisce la fattoria e cresce un bambino che compirà 7 anni questa estate – gli alberi sembrano sculture di ghiaccio. Anche se viviamo qui da anni non posso fare a meno di fotografarli.”. 

Nella stalla, fra dozzine di caprette , l’animale che colpisce di più noi foresti è “Pistacchio”, il becco. Non è molto alto, anche se è visibilmente il più grosso del gregge, ma quando sciabola l’aria con le corna o carica l’acciaio della staccionata, incute rispetto a chiunque.

“E’ il nostro maschione – dice Paolo – non è cattivo ma , per la sua mole, basta che si muova e ti butta a terra come un salame”.

La giornata di Paolo e di sua moglie Manuela inizia all’alba e finisce al tramonto, ma i loro formaggi li ripagano della fatica e hanno ormai consumatori affezionati lungo tutto l’arco Ligure. 

Alle 8 mattino, Paolo fa entrare le capre sulla piattaforma della mungitrice elettrica e a ognuna pulisce le mammelle gonfie di latte.

“La capra dà latte per circa 10 mesi – dice - la mungitura avviene due volte al giorno, con orari il più possibile regolari per evitare ogni stress”. 

Mentre Paolo si occupa della stalla, Manuela versa il latte appena munto in una caldaia dove viene pastorizzato, messo a fermentare per 24 ore e versato nelle forme.

“Salo le formagette a mano - dice Manuela - le giro e le salo dall’altra, poi le metto in frigo a 4 gradi, e ogni 6 ore le rigiriamo. Dopo tre giorni abbiamo il prodotto fresco. Facciamo formaggi freschi, come la robiola, o stagionati, come la toma del Beigua o la Pianpaludina, da mangiare con il miele o le composte”.

 “Come abbiamo iniziato? Volevamo realizzare qualcosa di bello nella nostra vita – dice Paolo - i miei nonni erano di qua. La casa che vedete, nel bosco, era la loro. Nel dopoguerra l’industria chiamava , in particolare la Piaggio, e così la mia famiglia si era spostata a Finale, abbandonando queste terre. Negli ultimi anni però le grandi fabbriche sono entrate in crisi, ed io a 35 anni volevo inventare qualcosa di nostro. Ho fatto il camionista, ho aperto un bar con mia moglie, ho gestito un distributore, sinché ho scoperto una rivista che si chiamava ‘Vita in campagna’, e mentre facevo il benzinaio, mi sono messo a seguire i corsi della scuola casearia e a studiare come si fa l’allevamento. E’ il lavoro che facciamo oggi e di cui siamo innamorati. Però devi studiare. Oggi non puoi improvvisare. Anche oggi che ho 50 anni continuo a studiare. Del resto, con questi animali è stato amore a prima vista. La capra è una bestia eccezionale, intelligente, con cui stabilisci un rapporto… come dire? Quasi umano. Come con un cagnolino”.

“La cosa più difficile è stata la paura di partire – racconta Emanuela – io sono un po' ansiosa, mi chiedevo: ‘Ce la faremo? E’ solo un sogno? Siamo dei pazzi?’ La partenza è stata lunga. Ci sono stati momenti in cui ci dicevamo ‘molliamo tutto’, ma non si deve mollare. Non si deve mollare mai!”.

Iniziative come “Cascina Giacobbe”, realizzata anche grazie a un fondo della Comunità Europea, sono fondamentali sia per l’esempio che danno, in una regione da cui si fugge per cercar lavoro, sia per la tutela del territorio. L’atto dirigenziale della Regione Liguria che autorizza ricerche geologiche in un’area protetta contigua al parco del Beigua confligge frontalmente con questa prospettiva di sviluppo. 

L’estrazione del “tesoro del Beigua”- titanio per 25 milioni dollari – comporterebbe lo sbancamento di 200 milioni di tonnellate di roccia e un vortice di Tir, ruspe e cantieri, che sconvolgerebbe totalmente l’attuale modello di sviluppo, basato su un turismo amante della natura e rispettoso dell’ambiente.

Questo scenario, che ha suscitato la rivolta dei sindaci di Urbe e Sassello, Fabrizio Antoci e Daniele Buschiazzo, coinvolge anche il futuro dell’azienda di Paolo Giacobbe.

 “Son combattuto, - dice - perché se la miniera fosse gestita come si deve, mi dico ‘ben venga perché porta occupazione’, ma la mia paura è che, come tutte le cose in Italia in cui ci son soldi da guadagnare, venga gestita molto male e a rimetterci siano alla fine quelli del posto, per cui di primo acchito sono contrario. Anche perché, se la risulta della lavorazione è l’amianto, può immaginare cosa significhi per chi lavora sui pascoli, manda in giro le capre e produce latte…”.

Chiedo - Quanto disterebbe la miniera dalla vostra fattoria? “Se non ho capito male – risponde -  il giacimento di titanio è sul Monte Tarinè che sovrasta PianPaludo verso Vara e Tiglieto. A cinque km dalla nostra fattoria…”.

Mimmo Lombezzi

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