Se ne è andato in silenzio Alvaro Vitali. L’attore e comico, che ha fatto ridere intere generazioni nei panni di Pierino, è morto il 24 giugno a Roma, all’età di 75 anni.
E con lui se ne va il simbolo di un’epoca cinematografica passata anche da Loano. Era il 15 luglio 2014 al Giardino del Principe, quando ha ritirato il Premio “Film trash! Ridere all’italiana”, lasciandoci in eredità un’intervista e tante risate.
Gli occhi cerchiati, ma non dai buchi delle serrature attraverso i quali spiava le curve di liceali, soldatesse o infermiere, bensì dagli anni che passavano inesorabili e lasciavano il segno, come succede per gli alberi. L’espressione, però, era sempre la stessa di quel fenomeno della comicità che la maschera di Pierino l’ha incarnata e non solo interpretata.
Era un sempreverde Alvaro Vitali, l’attore comico protagonista di molte commedie sexy all’italiana e quell’etichetta non se la scrollerà mai di dosso, anzi, se la teneva stretta, visto che a cucirgliela era stato il maestro Federico Fellini che lo scelse per le celebri ed immortali pellicole I clowns, Satirycon, Roma e Amarcord, seppur in forma di cameo. «Con lui (Federico Fellini, ndr) c’era un rapporto familiare, mi chiamava Alvarino e mi diceva che ero una macchietta. Se parlavo in romanesco si divertiva da morire e, quando indossavo il baschetto, mi dava del Pierino. Fu profetico».
Infatti, proprio con il film Pierino la critica lo consacrò a icona del cinema trash, un riconoscimento grazie al quale rastrellava premi e targhe che accettava con soddisfazione, perché «Dopo la targa, prima o poi, arriverà anche la macchina». Più che un incontro, il suo è stato un monologo e, mentre raccontava aneddoti, scherzava, prendeva in giro e si prendeva in giro, non sembrava per nulla avere gli anni che denunciava l’anagrafe.
L’atmosfera era delle più esilaranti e proprio non si riusciva a non ridere. Era difficile anche per lo stesso attore parlare del suo più amato successo. Ma ci provava, eroicamente: «Pierino è un film che ti lascia di buon umore ogni volta che lo vedi e quando è in palinsesto genera ascolti da far invidia a programmi più celebrati, è immortale come le barzellette che racconta e che lì sono state sceneggiate, ma anche la colonna sonora ha il suo pregio, perché è una musica allegra che sa di tormentone, sempre piacevole da ascoltare. In fondo, non è stato difficile da girare per chi, come me, ha sempre fatto la cosa che gli riusciva meglio e gli viene più naturale: far ridere e divertire. Si ride se una battuta è divertente, quando non è studiata, ma nata per caso, improvvisata» o forse per il potere di una chimica che scatta di fronte a certi personaggi che sembrano usciti dai fumetti.
Ma questo era solo il lato b del suo curriculum, che dall’altra parte offriva maggiore dignità e l’orgoglio per le esperienze professionali con dei monumenti della cultura nazionale quali Dino Risi, Mario Monicelli, Alberto Sordi, Vittorio Gassman. Poi, appunto, la fulminea trasfigurazione, il cambio di passo e l’interpretazione di personaggi improbabili in commedie di basso profilo che i festival del cinema di questi anni hanno fatto a gara a sdoganare, fino ad arrivare agli ultimi tempi in cui, stretto nella morsa della banalità, si era ridotto a passare da una comparsata all’altra in una televisione di nuova generazione «Che tanto ha dato, ma che molto ha anche tolto».
Gli piaceva vestire ancora i panni stropicciati del bullo ripetente, ma sotto il costume dell’eterno ragazzo c’era un uomo serio ed acuto che della giovinezza aveva mantenuto l’incontenibile vena goliardica e la disarmante spontaneità. Una cosa è certa, quella di far ridere la gente era la sua missione, «Perché è questo che il pubblico si aspetta da me».
Finché la salute gliel’ha permesso, Alvaro Vitali faceva divertire gli spettatori in tandem con la cantante Stefania Corona (sua ex moglie, ndr), raccontando barzellette nelle piazze, ma non più al cinema o in tv, perché «Non c’è più spazio, i produttori e gli sceneggiatori preferiscono altri».
In effetti, la carriera di questo artista è stata diversa dal solito, è girata al contrario, come ci aveva spiegato: «Si inizia con la gavetta del cabaret e poi, per fortuna o per bravura, si arriva al cinema. Io, invece, ho cominciato da subito facendo l’attore mentre ora faccio cabaret».
E lo ha fatto con risultati clamorosi, forse anche per quel baschetto d’ordinanza azzurro dal pon pon rosso con il quale è stato inesauribile mattatore alla scuola di supplenti sex symbol come Edwige Fenech, che sapeva essere di classe anche facendo la doccia.





