Sanità - 08 luglio 2025, 21:15

Medico del SSN chiede soldi per il certificato gratuito? È istigazione alla corruzione

La Cassazione conferma la linea dura: anche una richiesta di piccolo importo integra il reato per un medico del Sistema Sanitario Nazionale

Medico del SSN chiede soldi per il certificato gratuito? È istigazione alla corruzione

Con una recente sentenza, la Corte di Cassazione ha stabilito che un medico convenzionato con il sistema sanitario pubblico che sollecita un pagamento per certificazioni mediche che dovrebbero essere gratuite commette il reato di istigazione alla corruzione.

La pronuncia numero 19409 del 2025 rafforza un principio giuridico fondamentale: l'attività di certificazione medica all'interno del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) non può essere trasformata in un'opportunità di guadagno privato. Per la legge, il reato si configura già nella semplice richiesta di denaro, a prescindere dall'importo, dal modo in cui viene formulata e dalla reazione del paziente, poiché tale comportamento mina di per sé l'integrità della funzione pubblica.

La vicenda giudiziaria riguarda un medico di base condannato dalla Corte d’Appello di Milano per aver chiesto ai suoi pazienti 30 euro per il rilascio di certificati di malattia, prestazioni che rientrano nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) e che, per legge, devono essere fornite senza costi.

La Corte di Cassazione ha respinto integralmente il ricorso, confermando la condanna. I giudici hanno chiarito che la condotta del medico rientra pienamente nella fattispecie di istigazione alla corruzione prevista dall'articolo 322, comma 3, del codice penale.
Secondo la Corte, sono irrilevanti sia l'entità della somma sia il tono informale della richiesta. Ciò che conta è che la sollecitazione di denaro violi i doveri di correttezza e imparzialità del medico, danneggiando l'interesse pubblico alla legalità dell'azione amministrativa. Inoltre, è stato ribadito che non è necessaria una serie di episodi ripetuti nel tempo: anche un singolo atto è sufficiente per configurare il reato se si pone in contrasto con i doveri legati alla funzione pubblica esercitata.

La Suprema Corte ha negato la possibilità di applicare l'articolo 131-bis c.p. La motivazione è che la condotta del medico, sebbene non abituale, rivela una mentalità incline a eludere le norme che tutelano la funzione pubblica. Un comportamento di questo tipo lede la fiducia dei cittadini nella neutralità e trasparenza del sistema sanitario e, pertanto, non può essere considerato di lieve entità.

Redazione

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