Abbiamo parlato con Stefano Padovano, criminologo sociale, che insegna Criminologia all’Università di Genova e Politiche della Sicurezza Urbana presso Master e corsi integrativi in altre sedi accademiche.
Consulente della Provincia di Genova e della Regione Liguria, tra il 2004 e il 2008 ha coordinato le attività tecniche del Forum Italiano Sicurezza Urbana. Si è occupato della formazione professionale degli operatori della sicurezza pubblica e urbana. Nominato esperto al Tribunale di Sorveglianza di Genova nel 2017, oggi si occupa prevalentemente della formazione degli operatori sociali, curando la supervisione del trattamento e del reinserimento degli autori di reato, della prevenzione sociale e delle vittime di reato nel Terzo Settore.
"Come ho già detto in questi giorni ai suoi colleghi, dobbiamo partire da un elemento ineludibile: le politiche di sicurezza in Italia non hanno mai sfondato per davvero. Pur trattandosi di una competenza amministrativa alla stregua delle altre, rafforzata dalla revisione costituzionale del 2001 e dall’istituzione delle città metropolitane con i primi Patti per la sicurezza del 2008 si è per lo più navigato a vista, con decreti ai limiti della costituzionalità ma mai in una visione complessiva".
Scendiamo nello specifico: cosa intende con precisione quando parla di visione complessiva?
"Intendo il fatto che la progettazione delle politiche prendeva le mosse dal confluire di esigenze diverse: incidere sulla percezione di insicurezza dei cittadini, sia si trattasse del compimento di reati fonti di allarme, sia se si presentavano fenomeni di inciviltà, anche dovute al disagio sociale, ai comportamenti a rischio, ma pur sempre da gestire: penso al consumo di droga e alcol nelle aree urbane di transito diffuso, di movida notturna o dedicate all’utilizzo turistico. Penso poi alla prevenzione dei reati di strada e contro la proprietà privata, alle azioni di presa in carico ai cittadini vittime, al recupero socio-urbanistico di aree dismesse o in attesa di riconversione".
Mi porta un esempio tra quelli che le vengono in mente?
"Pensi soltanto al gran parlare che si fa dei Pnrr sulla rigenerazione urbana. Non c’è una realtà ligure che abbia previsto nei suoi staff operativi l’inclusione di professionalità esperte nella deterrenza del degrado urbano. Io sono stato contattato da un’altra regione, ma qui i casi si contano sulla punta delle dita e ciò la dice lunga su quanti messaggi non siano passati in questi anni. Pensi che esiste una normativa europea ad hoc sul tema della sicurezza in ambito urbanistico. In Italia su questi piani siamo fermi al palo. E la provincia savonese non fa eccezione. Il punto è che dalle politiche di sicurezza derivano, e spesso equivalgono, gli standard della qualità di vita dei cittadini. Pertanto un amministratore dovrebbe occuparsene sempre e senza troppe remore".
Quindi oggi la situazione non è delle migliori?
"Credo sia sotto gli occhi di tutti. Non esiste un coordinamento politico delle azioni, che avrebbero bisogno di esserlo. Ciò induce chi dirige i diversi servizi ad operare guardando al fatto proprio. Naturalmente, le responsabilità non riguardano soltanto l’attuale classe politica. E senza troppi distinguo, perché il problema riguarda l’intera onda generazionale. Tuttavia una doppia onda: gli attuali, prevalentemente dedicati, direi prostrati all’uso dei media, alla costituzione di comitati elettorali trasversali che di fatto hanno preso il posto dei partiti; e poi quelli che li hanno preceduti, non troppo pronti ad insegnare e trasmettere l’arte della politica, appresa dai protagonisti del secondo Novecento. Non si tratta dunque di un’arte da improvvisare, anche se di improvvisatori la fauna sembra bene assortita".
Invece per quello che riguarda i ruoli tecnici?
"Ma sa, vent’anni fa abbiamo assistito alla trasformazioni delle polizie municipali in locali. Tutta una roba di aspettative ridimensionate nel tempo. In realtà nulla di davvero concreto. Spiace perché si tratta di una risorsa professionale enorme, ma depotenziata per il suo reale valore. Priva di una formazione finalizzata a quell’ottica di sistema di cui parlavamo prima. Ma sa, di nuovo, se manca la progettazione di sistema, non rimane che uno specchietto per le allodole. I decreti legislativi hanno chiesto agli operatori di fare i “moralizzatori sociali”: più decoro, meno decoro. Ciò che conta è spostare il disagio da un angolo all’altro, ma quella roba li la devi prendere in carico perché spostandola risolvi poco, specie perchè non diminuisce. I ruoli dirigenziali non hanno mai saputo esprimere un pensiero di peso. Per qualche anno ho partecipato ai due convegni annuali più importanti: Riccione e Spezia. Le preoccupazioni maggiori miravano alla costituzione di un albo nazionale, quando poi vent’anni fa nei tavoli ministeriali ai ddl di riforma veniva controproposta la possibilità di una rotazione su territorio nazionale, come previsto per Questori e per Carabinieri per capirci, allora gli animi si sbollirono. Ci sono dirigenti che da venti, trent’anni, dirigono gli stessi servizi. Se penso quanto aiuterebbe sul piano della professionalità dei ruoli apicali una rotazione. Se penso a me, in venti nove anni di attività universitaria ho girato cinque Università italiane, accompagnate da esperienze di ricerca all’estero".
Lo so che non è il momento di parlare delle statistiche, ma può dire qualcosa in proposito sulla provincia savonese?
"Delle statistiche parlo sempre ad ottobre a conclusione delle comparazioni tratte dai dati ministeriali più recenti e, mi preme aggiungere, mai svincolate dalle analisi qualitative sui fenomeni che al contrario, stando ai soli numeri, direbbero poco e spesso male di ciò che sta accadendo. Quindi, le rispondo ma con un’annotazione di merito. Con una raccomandazione ai professionisti che operano nelle questioni legate o derivate da crimini e devianze a non cadere nella logica perversa e fuorviante di credere che la gestione di alcuni temi sia appannaggio esclusivo di singoli profili professionali. E’ l’interdisciplinarietà che paga, non il “pensiero unico”".





