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| 13 gennaio 2011, 12:02

La strage del Cadibona, maggio 1945

Continuano i racconti di Roberto Nicolick sui drammatici eventi che hanno caratterizzato la storia di Savona durante la Seconda Guerra Mondiale

La strage del Cadibona, maggio 1945

Questa strage, di cui tutti a Savona  tendono a non parlare, avvenne a maggio 45, precisamente il giorno 13 , alle ore 17,30, a lato di  una curva della strada provinciale 29, al Km 141, questo tratto porta dall’abitato di Cadibona a Savona capoluogo. In questo orribile eccidio furono “giustiziate”, o meglio assassinate, 39 persone di sesso maschile,  di età variabile dai 17 anni sino ai 67 anni. Non tutti ammazzati, sul luogo principale dell’esecuzione, ma altri in luoghi e in  momenti diversi: Piana Crixia e Altare. Ecco i fatti: mentre sta per crollare il Regime Fascista Repubblicano, tutti coloro che hanno avuto rapporti con il governo, preparano l’evacuazione dai centri urbani, in direzione Nord, per raggiungere zone più sicure e sfuggire alle formazioni partigiane che stavano avvicinandosi alle città. Da Savona, un’autocolonna inizia la ritirata, percorrendo la provinciale in direzione di Cairo, Acqui Terme, Valenza da dove avrebbe attraversato il Po in direzione dell’alto Piemonte. Questa colonna, bersagliata dagli aerei alleati e dai partigiani lungo la via di fuga, si frammenta in diversi spezzoni. Uno di essi, composto da una cinquantina di persone, uomini, donne e ragazzi, si arrende ai partigiani di una brigata dell’Alessandrino e viene internato nel carcere di Alessandria. La Questura di Savona, formata da poliziotti ausiliari partigiani, avvisata della presenza dei prigionieri savonesi ad Alessandria, invia un convoglio formato da un camion, un bus della Società Tranvie elettriche savonesi, con una scorta di poliziotti ausiliari partigiani. L’ordine, apparente, è di prelevare i prigionieri e tradurli a Savona, dove naturalmente non arriveranno mai. I poliziotti ausiliari partigiani arrivano presso il carcere di Alessandria, prelevano i prigionieri, per i quali inizia il viaggio di ritorno, disseminato da minacce, pestaggi, violenze di ogni tipo, spoliazioni ed infine il plotone di esecuzione, che agirà lungo la strada a circa 13 chilometri da Savona. La sorte dei prigionieri era quindi già segnata in partenza. Quello che avvenne fu uno dei tanti episodi della Guerra Civile che insanguinò il Nord – Est dell’Italia. Dopo due giorni di viaggio e di botte, stanchi, pesti e rassegnati i prigionieri Repubblicani, la cui età andava dai 16 anni alla settantina, furono caricati sul cassone del camion, per percorrere l’ultimo tratto di strada, sino alla curva della morte. Lì vennero fatti scendere e depredati degli effetti personali, abiti e altro, quindi scalzi, attraversarono un breve tratto di boscaglia, lontano dalle case di Cadibona. Vennero allineati a piccoli gruppi di tre, su un terreno sopraelevato che dominava una fossa naturale. In quel punto il plotone di esecuzione cominciò a sparare sui prigionieri a raffica usando i mitra Sten. Qualcuno cercò di fuggire ma venne ripreso e passato per le armi. Sui nomi dei responsabili di questa strage, ancora oggi a distanza di 65 anni, aleggiano incertezza e mistero. Furono certamente in molti a premere il grilletto, non solo gli uomini della scorta, ma anche molti altri partigiani comunisti arrivati appositamente da Savona per partecipare alla mattanza. Era una occasione d’oro che molti non vollero farsi scappare: poter usare le armi su un gruppo numeroso di fascisti inermi senza subire punizioni o rappresaglie. Qualcuno degli esecutori si gloriò di aver mitragliato, altri pur non avendo sparato ammisero di averlo fatto per vanteria, altri ancora, pur avendo ucciso, non ammisero il fatto. Alla fine della sparatoria udita dagli abitanti di Cadibona, rimasero nella fossa, esposti alla notte ed agli animali, 37 cadaveri pieni di piombo. I corpi rimasero li’ sino alla sera successiva, quando un gruppo di persone, formato da partigiani del posto e abitanti di Altare, li trasportarono al Cimitero di Cadibona, dove nel corso della notte, vennero seppelliti in quattro strati sovrapposti, intervallati da calce viva, in una fossa comune. Nel 1949, per iniziativa di un frate cappuccino, Padre Giacomo, al secolo Eugenio Traverso, che operava di intesa con il Commissariato per le Onoranze ai Caduti in Guerra, funzionante presso il Ministero della Guerra, attualmente Ministero della Difesa, le salme furono riesumate, e dopo un difficile e sommario riconoscimento dei familiari, vennero collocate in apposite casse e seppellite cristianamente nel Cimitero Militare di Altare, detto delle Croci Bianche. Tutte le salme ebbero regolare riconoscimento tranne due, che pertanto risultano ignote. Soltanto nell’aprile del 1950, il Procuratore della Repubblica di Savona, prendendo spunto da una segnalazione della Questura, promosse una azione penale. Come da prassi, venne interessata la Questura di Savona, la quale con un dettagliato rapporto datato 1 luglio 1950, riferi’ al Magistrato inquirente l’esito delle indagini compiute.   In tempo successivo L’Istruzione venne , con provvedimento in data 12 aprile 1952, della Corte di Appello di Genova, rimessa alla Sezione Istruttoria. le imputazioni furono  di omicidio volontario aggravato plurimo in persona dei 39 fucilati di Piana Crixia e Cadibona e di rapina aggravata in danno degli stessi; occultamento di cadaveri; e abuso di autorità contro arrestati; Tutti gli imputati negli interrogatori si dichiararono innocenti. la corte di appello di Verona riprese il procedimento nelle sue competenze, e tutti i responsabili se la scamparono, tutti i loro gesti furono catalogati come atti di guerra e pertanto coperti da amnistia, quella molto opportunamente ideata e portata avanti dal Guardasigilli Palmiro Togliatti. I congiunti delle vittime, dovettero subire oltre all’ingiustizia anche lo scherno e la derisione degli assassini che giravano liberi per Savona, salutati ed onorati come dei liberatori. A distanza di anni, una Madonnina  posta a bordo strada,ricorda la strage.

Roberto Nicolick

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