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Economia | 19 febbraio 2021, 11:40

Sisti, Travel & Spa: “Non bastano i vaccini: per rinascere il turismo italiano ha bisogno di cambiare radicalmente”

È ormai chiaro che non appena si potrà, la gente tornerà a viaggiare. Ma come si prospetta il turismo in Italia nel prossimo futuro?

Sisti, Travel & Spa: “Non bastano i vaccini: per rinascere il turismo italiano ha bisogno di cambiare radicalmente”

È ormai chiaro che non appena si potrà, la gente tornerà a viaggiare. Ma come si prospetta il turismo in Italia nel prossimo futuro? Quali sono gli scenari futuri, in particolare per il nostro Paese? Ne abbiamo parlato con Paolo Sisti (nella foto), direttore del mensile TRAVEL & SPA e dell'agenzia di comunicazione per il turismo RS Planner.

Sisti, abbiamo un nuovo Ministero, una campagna vaccinale in azione (anche se a rilento), una nuova voglia di viaggiare, l'Italia al centro dell'attenzione: sono tutti segnali incoraggianti, non crede?

Sì, ma solo in parte. Senza dubbio i segnali politici del nuovo governo per ridare centralità al comparto sono di buon auspicio, e il cosiddetto "revenge travelling" (ovvero il desiderio di tornare a viaggiare appena possibile, ndr) dovrebbe garantire nel medio termine una ripresa nel settore e un'iniezione di fiducia. Il percorso però è ancora lungo, e non parlo solo della pandemia: per ripartire con efficienza e competitività, serve un cambio di passo e di mentalità. Non dimentichiamo anzitutto che il Ministero del Turismo è stato soppresso nel 1993 da un referendum abrogativo. Affinché possa quindi tornare ad essere un dicastero con portafoglio serve un passaggio costituzionale relativo al Titolo V, non così scontato. Mi auguro che nel frattempo, come chiesto anche da Patanè, al Dipartimento vengano forniti strumenti e competenze adeguati, avendo come obiettivo imprescindibile l'attuazione di interventi strutturali "pesanti".

Quali per esempio?

Servirebbero in primo luogo due interventi: uno specifico, per ridefinire il settore nel suo complesso attraverso una visione d'insieme, e uno sistemico per garantire le condizioni d'impresa necessarie alla crescita. Quest'ultimo punto, in particolare, riguarda tutto il sistema impresa italiano, che è condizionato da problemi cronici (burocrazia, tasse, infrastrutture...) divenuti nel tempo quasi endemici. Il punto è che le nostre imprese sono condannate a una sorta di "nanismo", mentre gli investimenti stranieri restano al palo. Col risultato che, mentre fra i nostri "Paesi competitor" si sviluppa un'offerta di qualità, trainata da un posizionamento strategico, da grandi investimenti e da una visione esperienziale, da noi si continua a considerare il turismo come un settore auto-alimentante, composto solo da luoghi (monumenti, località, beni culturali) e servizi accessori (alloggi e agroalimentare).

Invece?

Invece il turismo ha bisogno di ricerca, di una visione strategica, direi pure di una nuova ideologia. Non possiamo continuare a ragionare come facevamo negli anni '80, perché è radicalmente cambiato il contesto, sono cambiati i viaggiatori ed è cambiata l'offerta globale. Eppure la realtà dei fatti è questa: la decisione di affidarlo alle regioni con il referendum del '93 non ha fatto altro che rallentarne ulteriormente lo sviluppo, rendendo frammentata l'offerta e azzerando l'opportunità di una proposta forte, unitaria, con i giusti investimenti per creare percorsi innovativi e in grado di attrarre un pubblico di qualità. Il nostro Paese non si propone all'estero come esperienza, anzi, direi quasi che non si propone affatto. I flussi incoming sono nella maggior parte dei casi generati dalla notorietà di poche destinazioni o, ancora una volta, dallo sforzo comunicativo a livello regionale.

Chi premia da questo punto di vista?

Penso alla Toscana, una fra le poche regioni ad essere stata in grado di imporre una certa "brand awareness" a livello internazionale, o alla Sardegna che, per un certo tipo di vacanza, è entrata nell'immaginario collettivo. Ma, ripeto, sono azioni scoordinate, frammentate, che non sfruttano appieno il potenziale disponibile e che portano benefici solo parziali.

La sua è una visione da "insider", avendo anche ricoperto il ruolo di direttore marketing e comunicazione nel Gruppo Domina Vacanze. C'è altro da prendere in considerazione?

Molto altro. Per esempio: il nostro turismo è troppo spesso "di transito" e non di destinazione, cioè con turisti che toccano rapidamente i luoghi italiani più famosi per pochi giorni all'interno di un viaggio in Europa, senza scegliere l'Italia come meta principale. È impensabile che l'Italia non sia in grado di sfruttare l'enorme vantaggio competitivo potenzialmente disponibile a proprio favore.

La sinergia è fondamentale, lo ripeto: fondamentale. Servono unità di intenti e cooperazione, non divisione e contrapposizione o, peggio ancora, competizione. Una cabina di concerto, una regia, una strategia elaborata attraverso la conoscenza della materia e la collaborazione dei vari comparti, porterebbe - una volta usciti dalla situazione pandemica - benefici enormi alla nostra economia. Non possiamo pensare di basarci solo sul turismo, ma sicuramente se lo sfruttassimo meglio - con un'evoluzione culturale e digitale - riusciremmo ad avere un impatto nettamente maggiore sul pil.

C'è poi anche un discorso di infrastrutture: i trasporti carenti, poco sicuri e obsoleti, per esempio, mortificano ampie aree del nostro Paese, che avrebbero in realtà esperienze turistiche incredibili da offrire. So di ripetermi, ma i viaggiatori cercano sempre di più "esperienze" e sempre meno "vacanze". Ne è una riprova il successo di iniziative come quella delle Cesarine: l'autenticità e il rapporto umano, al netto di questa situazione particolare che stiamo vivendo, sono le chiavi vincenti dalle quali partire per costruire un percorso di rinascita. Due aspetti sui quali, noi italiani, potremmo non avere rivali.

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