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Attualità | 17 gennaio 2021, 12:55

La Fiaba della Domenica: "Il topino geloso"

Nelle vicende dei due topini Silvestro e Nutello una metafora delle gelosie tra fratellini

La Fiaba della Domenica: "Il topino geloso"

“Gelosia, gelosia, per piccina che tu sia, tu mi sembri... mamma mia!”

No, non era così il proverbio, non era così la filastrocca, ma a Silvestro veniva così, più ci pensava e più così gli veniva alla mente.

“Accipicchia!”

Ogni giorno così, da quando era nato Nutello, il suo “amato fratello”!

Ma andiamo con ordine.

Silvestro era un topolino di città che abitava dalla nascita nella cantina dei signori Talponi insieme ai suoi genitori Trivulzio e Salamella. Questi erano due pigri toponi che passavano il tempo a rosicchiare noci e mobilio, croste di pane e vecchie travi, concedendosi di tanto in tanto qualche uscita con il figlio sulle trafficate vie della città e, al massimo dell'energia, qualche scalata sui tubi dei vecchi palazzi, per poi fermarsi su qualche terrazza per prendere il sole, spesso per fuggire inseguiti dai gatti che, ingrassati a crocchette e delizie, dovevano pur sempre dimostrare a se stessi di essere gatti.

A volte capitava di ridere molto: quando qualche signora vedeva la famigliola di topi attraversare la strada o far capolino da un poggiolo, le urla e le patetiche gesta dei mariti paladini con lancia in resta contro di loro erano davvero uno spasso e la giornata volgeva al bello, spegnendo la noia e stimolando l'appetito.

Certo poi Silvestro andava a scuola, frequentava la scuola dei topi, svolgeva diligentemente i compiti, guardava la televisione, frequentava la squadra di calcio insieme ai topolini del suo quartiere, sognava strade di formaggio al posto di quelle asfaltate e annerite intorno a casa sua, sognava di battere a zampa di ferro il suo antipatico compagno Testone, arrogante e prepotente, al quale le compagne di classe facevano sempre “gli occhi dolci” e a lui mai, sperava che i signori Talponi uscissero di casa così lui poteva scorazzare su uno dei pattini a rotelle della loro bambina per tutto il lungo corridoio, insomma si annoiava molto, sognava molto e soprattutto sognava un fratello.

“Lo chiamerei Nutello, se avessi un fratello”!

Così pensava Silvestro, “Nutello sarebbe proprio il mio dolce e amato zimbello, eh pardon, fratello”, così tra sé e sé negli interminabili pomeriggi Silvestro fantasticava.

E sì, perchè dovete sapere che tutti, ma proprio tutti, i compagni e le compagne di scuola di Silvestro avevano fratelli e sorelle. Chi uno, chi due, chi tre, quel presuntuoso di Testone addirittura sei ne aveva di fratelli! E quelli più grandi lo proteggevano difendendolo da ogni minaccia, mentre quelli più piccoli lo adoravano, a lui così antipatico! E lui, Silvestro, niente, neanche una sorellina, figuriamoci poi un fratellone a proteggerlo!

Che rabbia! Che sfortuna! Che brutto essere figlio unico!

I suoi compagni potevano confidarsi con i fratelli, giocare, farsi aiutare nei compiti e a loro volta aiutarli, sentendosi così grandi e utili.

Lui invece era solo, triste, annoiato e si sentiva inutile.

Nei lunghi pomeriggi d'estate, a scuola finita e a stomaco pieno, quando tutti i compagni migravano al mare o in campagna al seguito dei loro genitori, a loro volta, al seguito dei bagagli dei loro ospitali umani, Sivestro pensava, pensava e fantasticava di mete lontane, di viaggi, di avventure e recriminava tra sé e sé per quei genitori che si ritrovava, troppo pigri per andare al mare o in campagna, troppo pigri per tenergli una vivace compagnia, soprattutto troppo pigri per dargli un fratello.

Accipicchia, proprio questi genitori gli erano capitati, mica come quelli di Testone, sempre attivi, indaffarati, sempre seguiti ovunque dalla loro schiera di topolini fratelli!

E pensa e ripensa, ripensa e ancora pensa, Silvestro si ammalò.

Era una ben strana malattia: niente febbre, niente tosse, niente male al pancino... solo stanchezza, sonno, nessuna voglia di muoversi, giocare, mangiare.

Subito i genitori neppure si accorsero di questa strana malattia, pigramente affaccendati nella loro quotidiana tranquillità, poi si arrabbiarono un po' vedendolo dimagrito, svogliato e per niente studioso, infine cominciarono a preoccuparsi, quando promesse di regali e minacce non sortirono alcun effetto.

Il topolino Silvestro passava ore e ore a fissare il libro che la mamma gli dava per lo studio o il quaderno  per i compiti o, peggio, a fissare lo scrostato muro della loro cantina, a muovere gli occhi solo per annuire alle domande alle quali più non rispondeva, a piangere senza apparente motivo.

E sì, c'era proprio da preoccuparsi!

Dopo vari scambi di idee, i genitori di Silvestro decisero che ci voleva il dottore, ma non il solito dottore che curava febbre e mal di gola, uno più bravo, il migliore della città, il saggio Gufo Saggio.

A questi bastò un breve colloquio col topino Silvestro per emettere la diagnosi:<<Silvestro non ha nulla di grave, soffre però molto di solitudine, non sa con chi parlare, con chi confidarsi, con chi giocare, chi battere a zampa di ferro, insomma per Silvestro ci vuole un fratellino!>>.

Dopo aver pagato la parcella al dottor Gufo Saggio, Trivulzio e Salamella, i pigri genitori di Silvestro, ebbero un momento di sconforto: niente medicine per il topolino, niente cerotti, niente punture, ma solo un unico consiglio e … per loro! “Se volete che Silvestro guarisca”, aveva detto il dottore, “bisogna che abbia un fratellino, in modo da sentirsi come tutti i suoi compagni di scuola e in modo da essere sempre in compagnia di qualcuno che lo possa ascoltare, capire e che lo rispetti e che lo prenda da esempio”.

Era un bel dilemma per i pigri Trivulzio e Salamella: loro avevano impostato la loro vita con un solo figliolo, avevano già dimenticato le notti senza sonno che provoca un piccolino e non ricordavano più i cambi del pannolino e il biberon riscaldato. Che fare? Ma la evidente “malattia” di Silvestro era troppo angosciante per loro genitori, ancor più preoccupante del dover rinunciare alle loro pigre abitudini.

E così nacque Nutello.

Questo nome al nuovo nato lo scelse proprio il fratello silvestro: il mio topino fratellino sarà dolce e morbido come crema di nocciola e io sarò così felice di stare con lui che quasi me lo vorrò mangiare!

I coniugi Trivulzio e Salamella prepararono tutto con cura: la culla e il passeggino c'erano già, erano quelli di Silvestro, il ciuccio e i biberon pure erano disponibili, erano quelli di Silvestro, i vestitini, le fasce e il fasciatoio con il bagnetto incluso anche, erano quelli di Silvestro.

Già, era tutto di Silvestro, prima!

E arrivò il giorno tanto atteso, quello della nascita di Nutello, ma arrivò un mese prima dl tempo.

La mamma Salamella da un po' di giorni non stava bene, era gonfia, non mangiava, non rosicchiava nemmeno, quasi non si muoveva.

Venne chiamato il dottore che disse:<<La mamma sta male, il piccino deve essere fatto nascere al più presto!>>. E, detto fatto, fece una puntura alla mamma, e poi un'altra ancora, e tra la paura di Silvestro e l'ansia del marito Trivulzio, in men che non si dica, il topino Nutello venne alla luce.

Era così gracile il topino appena nato, ma così piccolino che il fratello silvestro si riempì subito di orgoglio. “Come sono grande io”, si ripeteva spesso, “E sono così grande e forte e Nutello è così piccolo e insignificante che mamma e papà vorranno a me, certamente, un bene molto più grande che a lui”.

“Nutello è così noioso, piange sempre, è così prepotente nel voler mangiare dal biberon che sicuramente ai miei genitori starà antipatico”, diceva tra sé e sé Silvestro.

Ma le cose non andavano così, la vita non procedeva secondo queste idee di Silvestro.

I suoi genitori, non più giovanissimi, e molto preoccupati per il piccolino, nato prima del tempo e bisognoso di costante attenzione, si gettarono anima e corpo nella cura e nel soddisfacimento di ogni desiderio del piccino, o almeno di quelli che a loro sembravano i bisogni del topino.

Nutello piangeva e subito i genitori correvano da lui, Nutello strillava e subito loro lo cullavano, Nutello strepitava e subito lorto lo riempivano di baci e carezze. E poi, appena sembrava un po' più caldo, subito il medico era chiamato. Arrivarono persino a chiedere a Silvestro di unirsi a loro per scaldare col fiato il lettino del piccolo prima di metterlo a dormire.

Nessuno aiutava più Silvestro nei compiti, almeno così a lui pareva, non appena iniziava un discorso, parlando di sé, subito i genitori si voltavano da Nutello per vedere che non si svegliasse, o almeno così a lui pareva; nessuno più si curava della tristezza di Silvestro, della sua “malattia”, nessuno pensava più a lui che stava più male di prima, proprio perchè la cura, il fratellino, si era rivelata più dura della stessa malattia, nessuno si rendeva conto che lui ormai era preda di quel drago orripilante che si chiama gelosia, che non ti dà respiro, che soffia su di te il suo fuoco malefico sino a farti bruciare, oltre alla pelle, anche il cuore.

E svenne, Silvestro cadde a terra come una pera matura che il vento strappa dal ramo, cadde con un tonfo sordo, un colpo ottuso, senza un gemito, come se fosse morto.

I suoi genitori furono costretti, dal rumore, a voltarsi e lo videro a terra, pallido e magro, con gli occhi aperti a fissare il soffitto della cantina.

E così il dottore questa volta arrivò per lui: una puntura, due schiaffetti, una pezzuola bagnata e Silvestro fu di nuovo in piedi.

Ma il dottore fu molto chiaro:<<Questo topino deve essere visitato dal collega Gufo Saggio, lo stesso che vi ha consigliato il fratellino e vedrete che lui saprà guidarvi affinchè Silvestro non svenga più!>>

Subito Trivulzio e Salamella chiamarono Gufo Saggio che, dopo aver alungo parlato con il topino Silvestro, li richiamò ai loro doveri di genitori.

<<Cari signori, se il piccolo Nutello è gracile e bisognoso e necessita di molte attenzioni, altrettanta cura dovrete avere per il vostro primo figlio Silvestro, perchè ogni età ha i propri bisogni e i figli restano tali anche se sono più grandi: più figli impongono ai genitori la moltiplicazione dell'Amore, non certo la divisione di esso!>>.

Opera tratta da: "Le fiabe per... Affrontare gelosia e invidia", di Elvezia Benini e Giancarlo Malombra (Collana "Le Comete", Franco Angeli Editore).

GLI AUTORI:

Elvezia Benini, psicologa, psicoterapeuta a orientamento junghiano, specialista in sand play therapy, consulente in ambito forense, già giudice onorario presso la Corte d'Appello di Genova. Autrice di numerose pubblicazioni a carattere scientifico.

Cecilia Malombra, psicologa clinica, specializzanda in criminologia e scienze psicoforensi, relatrice in convegni specialistici per operatori forensi e socio-sanitari. Autrice di pubblicazioni a carattere scientifico.

Giancarlo Malombra, giudice onorario presso la Corte d'Appello di Genova sezione minori, già dirigente scolastico, professore di psicologia sociale. Autore di numerose pubblicazioni a carattere scientifico.

Associazione Pietra Filosofale

L’Organizzazione persegue, senza scopo di lucro, finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale mediante l’esercizio, in via esclusiva o principale, delle seguenti attività di interesse generale ex art. 5 del D. Lgs. 117/2017:

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In concreto l’associazione, già costituita di fatto dal 27 gennaio 2016 e che ha ideato e avviato il concorso letterario Pietra Filosofale di concerto con l'amministrazione comunale, intende proporsi come soggetto facilitatore, promuovendo e stimolando proposte di cultura, arte e spettacolo sul territorio, organizzazione di eventi culturali e/o festival, ideazione e promozione di iniziative culturali anche in ambito nazionale, costruzione, recupero e gestione di nuovi spazi adibiti a luoghi di Cultura Permanente, anche all’interno di siti oggetto di riqualificazione e/o trasformazione quali ad esempio l’ex Cantiere Navale di Pietra Ligure, come già attuato nel 2018 presso la Biblioteca Civica di Pietra Ligure, ove ha curato un percorso specifico di incontri dedicati alla salute e al benessere attraverso il progetto Il sogno in cantiere": il sogno, in onore e ricordo del cantiere navale che un tempo a Pietra Ligure ha dato vita a tante navi che sono andate nel mondo, vuole ritrovare nel “Cantiere” il luogo di cultura permanente dove poter trascorrere un tempo dedicato al pensiero del cuore, per nutrire l'anima con letture, scrittura creativa, musica, conferenze, mostre.

La “Filosofia dell'associazione” è quella di ridare vita al "Cantiere" in una nuova forma e in un nuovo spazio, ma con lo stesso intento di progettare e costruire "mezzi" speciali, per poter viaggiare con l'immaginazione, strumento di fondamentale importanza per creare spazio e tempo migliori in cui vivere.

L'Associazione vuole favorire l'alchimia di differenti linguaggi, promuovendo spazi di arte, cultura e spettacolo, convogliando le energie nascoste, rintracciando il messaggio archetipico attraverso la narrazione, tentando di recuperare i meandri del proprio Sé, per creare momenti di incontro, scambio e ascolto e per gioire dell'Incanto della Vita. L'aspetto narrativo si è già concretizzato nel 2016 attraverso l'esperito Concorso letterario sulla fiaba; la fiaba è metafora di vita: se il suo linguaggio è ricco e articolato, anche la vita, di conseguenza, sarà ricca e articolata, capace, come per i personaggi delle fiabe, di conservare una nicchia di libertà che faccia considerare l'alterità, l'altro, come un patrimonio da tesaurizzare. L'intento è quindi quello di compiere il “varo” di un “Festivalincantiere” quale contenitore di numerose iniziative, in primis il recupero del concorso letterario sulla fiaba, per poter consentire di viaggiare con l'immaginazione, strumento di fondamentale importanza per creare uno spazio e un tempo migliori in cui vivere e per offrire al Comune l'ampliamento della propria visibilità culturale sia a livello locale sia nazionale e oltre.

«I luoghi hanno un'anima. Il nostro compito è di scoprirla. Esattamente come accade per la persona umana.» scrive James Hillman

La triste verità è che la vera vita dell'uomo è dilacerata da un complesso di inesorabili contrari: giorno e notte, nascita e morte, felicità e sventura, bene e male. Non possiamo neppure essere certi che l'uno prevarrà sull'altro, che il bene sconfiggerà il male, o la gioia si affermerà sul dolore. La vita è un campo di battaglia: così è sempre stata e così sarà sempre: se così non fosse finirebbe la vita. (C.G.Jung, L'uomo e i suoi simboli)

Pedagogia della fiaba

La fiaba è metafora di vita: se il suo linguaggio è ricco e articolato, anche la vita, di conseguenza, sarà ricca e articolata, capace, come per i personaggi delle fiabe, di conservare una nicchia di libertà che faccia considerare l'alterità, l'altro, come un patrimonio da tesaurizzare e non come un competitor o peggio come un diverso stigmatizzabile in minus da omologare coercitivamente.

"L'aspetto linguistico così intenso ed evocante contesti e costrutti, spesso caduti nell'oblio, è il necessario contenitore, è la pelle del daimon che consente a ciascuno di riappropriarsi di conoscenza e di dignità, ricordando a tutti e a ognuno che l'ignoranza è la radice di tutti i mali". (Giancarlo Malombra in "Narrazione e luoghi. Per una nuova Intercultura", di Castellani e Malombra, Ed Franco Angeli). 

 

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