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Savona | 24 aprile 2018, 13:39

Savona ha fame di bella cultura e si deve porre contro le mafie oggi più che mai!

La rubrica di Bruno Spagnoletti

Savona ha fame di bella cultura e si deve porre contro le mafie oggi più che mai!

Un pubblico attento, mixato tra anziani, adulti e giovani, ha riempito l’aula magna del Liceo Artistico di via Manzoni, per ascoltare l’ex Procuratore Capo di Palermo e Torino Gian Carlo Caselli presentare il libro “La verità sul Processo Andreotti”; un incontro di qualità organizzato nell’ambito delle iniziative del Calendario Ubik, moderato dal giornalista “epurato da Mediaset” Mimmo Lombezzi.

La riuscita – oltre ogni attesa dell’incontro – smentisce la presunta apatia mugugnona della Città e la cosiddetta indifferenza dei savonesi verso la conoscenza e la cultura; anzi, conferma e sanziona la fame culturale e i bisogni immateriali della comunità, quando l’offerta è attraente e invogliante.
Il tema è di quelli “spessi”: il rapporto tra Mafia e Politica e l’anomalia del “caso italiano” che ha avuto un Politico “accusato di mafia”, come confermato da una sentenza, addirittura a capo della Presidenza del Consiglio per lustri e degli incarichi più delicati e prestigiosi nel Governo del Paese, quasi ininterrottamente dal 1948 alla caduta della Prima Repubblica.

In un’epoca che pare aver perso la lezione e il senso delle “memorie”, rottamando l’approccio critico della storia e delle ideologie; in un Paese dove il nuovismo e la mediocrità assunta a potere, rischiano di diventare l’ordinario della governance, il libro di Caselli e Lo Forte contribuisce a snidare il negazionismo e riproporre il legame e la commistione tra Mafia e Politica, in particolare con la vecchia dimenticata DC dorotea.

La relazione Mafia e Potere Politico non può essere liquidata come un semplice fenomeno di deviazione di alcuni poteri corrotti dello Stato o meri abusi di corpi deviati, ma come una precisa strategia alimentata da una parte egemone della DC per incrementare potere e consenso, anche scontando la conseguenza dello sviluppo bloccato del Mezzogiorno, dell’emigrazione del malaffare nelle altre Regioni anche del Nord e di diventare referente degli intrecci che hanno portato all’innovazione delle diverse associazioni mafiose nei nuovi business del commercio degli stupefacenti, delle speculazioni e costruzioni edilizie, del riciclaggio del denaro in investimenti discorsivi del mercato e delle reti del commercio, dei rapporti degenerati con le Istituzioni Pubbliche su appalti, terziarizzazione dei servizi, discariche e affari nella raccolta e nel riciclaggio dei rifiuti.

Se oggi nel Ponente Ligure, in Provincia di Savona e in Valle Bormida, come in altre aree della Liguria, si sente e si avverte l’odore acre di attività malavitose, spesso condotte in dumping per strangolare le Imprese sane, è dai contenuti e dal brodo di cottura di quel Processo che bisogna partire!

Giulio Andreotti, non è stato un politico qualunque e neppure solo il Capo della corrente dorotea della DC, ma il personaggio più ambiguo della storia della DC, al centro di una fitta rete di interessi non sempre trasparenti e confessabili.
Il primo merito del libro è ripercorrere sinteticamente, ma con la precisione e meticolosità ben note per chi conosce la professionalità e serietà dei due ex magistrati, le indagini e gli sforzi fatti per far emergere la verità su quelle pericolose relazioni tra mafia, politica, imprenditoria e massoneria deviata che hanno “inchiodato” a precise responsabilità uno dei più potenti politici italiani del dopoguerra (sette volte presidente del Consiglio e ministro in vari governi): Giulio Andreotti.

La vicinanza e la permeabilità di Andreotti ai Cugini Salvo, potenti esattori mafiosi siciliani, al fido Salvo Lima, a Ciancimino, all’emergente Marcello Dell’Utri e altri alfieri “borderline” con responsabilità politiche e istituzionali, e vissuto contiguo alla cultura mafiosa, emergono chiaramente dalle carte e dal dispositivo finale del processo; cosi come esce acclarata la responsabilità dell’imputato per il reato commesso (di mafia) fino almeno al 1980; un reato commesso e estinto per “mera” prescrizione.

Altro che assoluzione! Altro che assolto, assolto, assolto! Parole urlate a piena gola dall’avvocato della difesa Giulia Bongiorno, raggiante di felicità, davanti alla folla di telecamere e microfoni; lo stesso avvocato diventata oggi pasdaran e amazzone della Lega di Salvini.

Molti italiani, infatti, credono ancora oggi che Andreotti (deceduto nel 2013) sia stato totalmente assolto nel processo avviato dalla Procura di Palermo nel 1993 e conclusosi il 15 ottobre 2004 con la definitiva sentenza della Cassazione. In realtà era sufficiente leggere con un po’ di attenzione le otto righe del dispositivo della sentenza che il presidente della Corte di appello di Palermo aveva letto poco prima dichiarando commesso (ma estinto per prescrizione e non per assoluzione) fino alla primavera del 1980 il reato ascritto all’imputato di collusione con la mafia, per capire che la realtà era ben diversa dall’apparenza e dalla strumentale rappresentazione pur compiuta per salvare più l’immagine che l’anima di Belzebù.
In un Paese abituato di solito a “cancellare, nascondere o stravolgere i fatti”, la sentenza di Palermo ha aperto uno spiraglio di verità e squarciato un muro di omertà, in un contesto siciliano e nazionale sempre più inquinato, anche per le tante “verità” ancora nascoste o spesso manipolate dei tanti “misteri” della nostra storia.

Di grande interesse e impatto spettacolare la dialettica tra il Procuratore Caselli e uno scatenato Tatti Sanguineti, savonese doc, critico cinematografico, giornalista, attore, autore televisivo, documentarista, sceneggiatore e regista che ha avuto l’avventura di intervistare Giulio Andreotti per 8 ore; una polemica sul famoso “Bacio” tra il Politico e il Capo dei Capi.

Tatti tende a escludere siffatta rappresentazione con la motivazione dell’atteggiamento connaturato in Andreotti che negava persino il dare la mano a qualunque suo interlocutore, figuriamoci un bacio a Reina!

A me non pare, cosi dirimente, la controversa questione del “bacio” a fronte del contenuto di un Processo che ha oggettivamente confermato il legame tra una certa politica e la mafia.

Bruno Spagnoletti

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