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Attualità | 24 luglio 2017, 09:44

“Un borghese piccolo piccolo” commuove il pubblico di Verezzi

Straordinaria prestazione dei cinque attori sul palco per la regia di Fabrizio Coniglio

Foto di Luigi Cerati

Foto di Luigi Cerati

Terza rappresentazione consecutiva, sabato sera, per “Un Borghese piccolo piccolo”, in prima nazionale alla 51esima edizione del Festival Teatrale di Verezzi. E, dopo tre serate, lo spettacolo registra ancora il pienone nella piazza, con applausi a scena aperta nei momenti più “dolceamari” della prima parte e in quelli più struggenti della seconda, ed un lungo tributo di affetto ai cinque attori sul palco nell’applauso finale.

Per chi non ha letto il toccante romanzo di Vincenzo Cerami eviteremo di svelare qualsiasi dettaglio della trama. Per chi invece ha amato con tutto il cuore il film di Mario Monicelli, uscito esattamente 40 anni fa, è impossibile non compiere qualche parallelismo mentale.

E la messa in scena teatrale di Fabrizio Coniglio riesce a essere persino più intensa. Se il grande Alberto Sordi, con la sua proverbiale verve istrionica, caricava il suo personaggio, accentuandone tanto i risvolti comici quanto quelli drammatici, uno straordinario Massimo Dapporto invece ci regala un “borghese” Giovanni Vivaldi fin da subito più cupo, più provato dalla vita e dalla vecchiaia, più misurato in ogni suo slancio, rendendo la sua interpretazione capace di ottenere continuamente la sincera partecipazione da parte del pubblico. Il suo monologo “cimiteriale”, con il mazzo di fiori bianchi in mano trafitto dal raggio di luce di un solo faro bianco, ha qualcosa al tempo stesso di epico e di mistico.

Ma sarebbe ingiusto stilare delle classifiche di bravura, sono tutti e cinque straordinari gli interpreti sul palco: Matteo Francomanno ci regala una rilettura veramente commovente e carica di tenerezza dell’ingenuo figlio Mario (che nel film era il mai abbastanza compianto Vincenzo Crocitti); Susanna Marcomeni, nel ruolo di Amalia Vivaldi (nel film era Shelley Winters), proprio come Dapporto, ci regala un’interpretazione più misurata del suo personaggio di moglie dubbiosa e delusa all’inizio, distrutta alla fine, e, proprio in virtù di questo gioco di equilibri, risulta perfetta. Grottesco al punto giusto Roberto D’Alessandro nella parte del viscido Spaziani, che invece ne accentua i difetti, la parlata strascicata, il continuo mangiucchiare, il grattarsi. L’interpretazione del “crudele” Federico Rubino, che non dice una battuta parlata in tutta la sua presenza sul palco, è invece totalmente fisica, corporea, fatta solo di movimenti circospetti, di sguardi, di urla.

Sempre perfette le musiche scritte appositamente per questo atto unico da Nicola Piovani, che in modo discreto ma toccante punteggiano ogni momento della storia.

Alberto Sgarlato

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