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Curiosità | 21 ottobre 2018, 08:00

1924: quando ad Albenga si suonava il jazz...

L'affascinante storia di Carlo "Marchin" Vairo, polistrumentista che ha insegnato la musica a tante generazioni di finalesi

1924: quando ad Albenga si suonava il jazz...

Entrando in un negozio storico di Finale Ligure una foto colpisce: tre ragazzi sono impegnati a fare le pose più strane; uno di loro ha in mano un violino e sembra quasi aggredire l’obiettivo del fotografo con spavalderia, un altro fa acrobazie al pianoforte, in piedi su una sedia che sembra più rubata a una cucina che non simile a uno sgabello da orchestrale, mentre il terzo è dietro una batteria che non rispetta proprio i canoni e le strutture del kit batteristico tipico. E sulla grancassa si legge la scritta “Original American Jazz Band”.

Ma quello che colpisce più di tutto, nella foto, è la data impressa in un angolo in basso: 1924. Esatto, stiamo parlando della prima metà degli anni ’20 del Novecento, quelli che venivano definiti “Gli Anni Ruggenti”. Le prime forme del jazz, figlio di contaminazioni tra il blues, i ritmi caraibici come il samba, il ragtime (il classico pianoforte “saltellante” dei saloon nei film western) e, addirittura, i canti di lavoro nei campi di cotone del Sud degli Stati Uniti, vengono fatte risalire da chi si occupa di storia della musica alla fine del 1800.

Quindi, oltre alla bellezza della foto in sé e alla data del 1924, il terzo aspetto che sorprende è che quella foto sia stata scattata ad Albenga e non a New Orleans. Insomma, la nostra Riviera Ligure rappresentava una vera avanguardia musicale a livello internazionale, con i primi giovani che si radunavano in cantine, saloni parrocchiali, magazzini e capanni per suonare il jazz. Quello stesso jazz che pochi anni dopo, con l’avvento del Fascismo, dapprima l’autarchia, l’obbligo di “parlare italiano”, poi addirittura le leggi razziali e infine la discesa in guerra con gli Stati Uniti, verrà dapprima ribattezzato “musica sincopata” o “musica negroide” e in un passo successivo addirittura proibito per legge. Paradosso nel paradosso, uno dei più famosi esponenti del pianismo jazz italiano diventerà proprio quel Romano Mussolini, oggi deceduto, nipote di Benito. Ma questa è un’altra storia.

Se torniamo a questo scatto fotografico che tanto ci ha emozionato, non possiamo fare a meno di domandarci chi fossero, che cosa sognassero, a che cosa ambissero quei tre giovani dallo sguardo al tempo stesso scaltro ma divertito. E se, purtroppo, i nomi di due su tre non ci sono noti (ma naturalmente invitiamo chi li riconoscesse a raccontarcene la storia), sappiamo che il musicista seduto dietro la batteria (ma in realtà diplomato in flauto traverso classico) era quel Carlo Vairo, detto “Marchin” dagli amici, che fonderà proprio un negozio di strumenti musicali nel 1966. Non ad Albenga, dove si trovava al momento della foto, ma a Finale Ligure, dove si trasferì a vivere poco dopo. A prendere le redini dell’attività sarà poi il figlio Achille, ed è proprio là, tra gli strumenti oggi più sofisticati, moderni e tecnologici, che si può ancora ammirare questa foto del 1924 incorniciata.

Oggi Tiziana Cileto, nipote di Carlo “Marchin” Vairo, è diventata medico, è impegnata socialmente, ma ha ancora tanti ricordi legati al nonno musicista accanto al quale è cresciuta: “Era nato nel 1903 e in quella foto di cui stiamo parlando era giovanissimo. È stato insegnante di musica di tante generazioni di finalesi, era diplomato in flauto traverso al Conservatorio e gli fu regalato un meraviglioso flauto in argento che poi, nei periodi di difficoltà dovuti alle tante crisi italiane tra le due guerre, fu costretto a vendere per comprarsi da mangiare.

Viveva facendo il barbiere, perché non è mai facile campare della propria arte, ma era un autentico polistrumentista, capace di suonare ogni genere musicale, dalla classica al jazz, e ogni strumento (dal sax al violino, dalla chitarra, al banjo, dal pianoforte alla fisarmonica e tanto altro). Fu in un certo senso precursore dell’Accademia Musicale del Finale odierna e ha suonato fino agli ultimi giorni della sua vita; mi ricordo ancora di quando con quattro amici, ormai anziani come lui, caricavano tutti gli strumenti su una vecchia Prinz verde e giravano bar e osterie non per soldi, ma solo per la gioia di far divertire il pubblico divertendosi loro per primi, con quello stesso entusiasmo di quando erano ragazzi. Ho visto passare tanti suoi allievi ai quali all’inizio insegnava la teoria e il solfeggio e poi metteva nelle loro mani qualsiasi strumento volessero imparare. Era estroso, spiritoso, brillante e ancora oggi ho tantissimi pazienti che mi chiedono di lui e che lo ricordano con affetto e simpatia. E per me è stato un nonno fantastico. Custodisco ancora uno strumento elaborato da lui: una chitarra elettrica che aveva modificato per poterla portare in giro senza caricarsi un amplificatore, dotandola di una autoamplificazione a pile. Era quella musica fatta anche di tanta arte di arrangiarsi, povera di mezzi ma ricca di entusiasmo e di preparazione tecnica, teorica e pratica”.

Alberto Sgarlato

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