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Attualità | 28 giugno 2020, 10:00

La Fiaba della Domenica: "Campione Forever"

Un'avventura che inizia nelle affascinanti terre, per noi lontanissime, dell'Australia

La Fiaba della Domenica: "Campione Forever"

L’Australia è una terra sconfinata, ricca e assolata, ove i confini sono pure entità convenzionali, persi nel rossore della terra e nel verde del rigoglio naturale.

L’uomo, in Australia, ha creato luoghi bellissimi dove l’art house colpisce per essere riuscita ad imbrigliare negli edifici l’infinita creatività del protendersi umano verso il cielo e verso la perfezione.

Ma l’uomo, in Australia, è solo un corollario alla natura, una parentesi di abitudine nella più grande organizzazione naturale.

E di questa natura, come è noto, il simbolo è il canguro.

Il canguro, principe e re, baluardo e portavoce, antica immagine di una terra ancora oggi pervasa da un’aura di mistero.

I canguri sono animali atletici: così atletici da essere campioni di corsa e di … pugilato.

Essi infatti eccellono in tutti gli sport, ma sono veramente e decisamente imbattibili in queste due discipline atletiche.

I canguri sono sì anche molto teneri e graziosi, con il marsupio greve dei loro piccolini, con i loro balzi incredibili, con il loro caracollare apparentemente senza meta, ma sono soprattutto degli atleti, fuori dubbio dei campioni, senza discussione dei muscolosi e ruvidi animali da competizione, sempre in forma, agili e forti come bronzi di Riace.

Se i cavalli possono ritenersi gli Ateniesi naturali, se i lupi e le aquile possono a pieno titolo affiancarsi ai Romani, i canguri sono sicuramente gli Spartani della natura, sempre pronti come questi al confronto maschio e belligerante, aspro ma leale, sempre pronti a petto in fuori come Leonida e i trecento delle Termopili a contrastare i Persiani di turno che vogliono invadere il loro territorio, sempre in guardia, sempre in allerta, col balzo felino al fulmicotone inserito nelle zampe potenti.

Insomma i canguri sono veri e vincenti atleti, nel salto in lungo come nel salto in alto, nella corsa di velocità come in quella di resistenza, nella lotta come nel pugilato.

E Primo era proprio un pugile, un grande pugile, il migliore dei pugili canguri.

E se è vero che nel nome sta tutto un destino, il nome Primo era già un simbolo, un segno, una garanzia di ciò che lui sarebbe stato: il primo tra i pugili, il migliore, l’invincibile, colui che fuori dal ring poteva abbattere un orso con un pugno e che dentro al ring non aveva rivali.

Un destro, un sinistro, un gancio, un uppercut e l’avversario era k.o.!

Primo era famoso perché vinceva ogni suo incontro prima del limite per k.o. tecnico o per lancio della spugna; Primo non aveva mai perso, ma non era mai arrivato neanche a una vittoria ai punti.

Primo distruggeva i suoi avversari ben prima del termine dell’incontro!

Ormai era una costante: dove Primo combatteva stuoli di canguri accorrevano, ogni televisione pagava fior di diritti per accaparrarsi la diretta dell’incontro, i giornalisti sportivi andavano in delirio così come le folle che lo adulavano e lo adoravano.

Non c’era avversario, per quanto grande e grosso, forte e allenato, che potesse tener testa a Primo; la sua era una dote naturale, una innata potenza esplosiva, una buona cattiveria appresa nelle affollate e perigliose lande australiane, una costanza maniacale negli allenamenti defatiganti, uno spirito di sacrificio non comune, un rispetto totale per gli avversari, una deferenza antica verso le regole e verso gli arbitri, una fiducia illimitata nel suo vecchio allenatore: tutto ciò faceva di Primo un atleta unico, forte, rigoroso, invincibile.

Primo aveva tra i canguri un successo strepitoso: nelle tv era ricercatissimo e pagatissimo, gli sponsors si mettevano in fila, nascevano come funghi i fans club, fidanzate come se piovesse, soldi, tanti, tantissimi soldi, lusso, auto sportive, ville, preziosi, guardie del corpo, ogni agio era suo, ogni ricchezza era sua, ogni beneficio era il suo, ma anche stima e affetto erano con lui.

Venne chiamato “Campione Forever”.

E quando Primo era annunciato sul ring, ogni enfatico e adorante telecronista

urlava : ”E ora, canguri e cangure, ecco a voi Primo Campione Forever”, e giù applausi, urla deliranti, spintoni per abbracciarlo, toccarlo, odorarlo, prima e dopo il combattimento, prima per assaporare il profumo del suo bagnoschiuma, dopo per godere degli umori del suo sudore.

Primo era ormai “Campione Forever” per tutti e per tutte.

Non poteva uscire al ristorante che subito era circondato da giornalisti a caccia di scoop e da fans a caccia di autografi, doveva mimetizzarsi tra la folla con ampi cappottoni e occhiali da sole, ma invariabilmente un fan più attento degli altri riconosceva il suo fisico statuario e il delirio ricominciava.

Ma muto e silenzioso, così come inesorabile e incontrastabile, il tempo passava, il tempo passò.

Tutto o quasi può un canguro, così come un uomo, tranne che fermare il tempo.

L’artefice divino che pare sonnecchiare sulle nostre azioni e sulle nostre venture ha messo un ineffabile e imparziale arbitro a disciplina di esse: il tempo, l’immortale tempo che nasce e muore, rinasce e rimuore, milioni, miliardi di volte, all’infinito, in ognuno di noi, in ognuna delle creature, sia essa effimera come una farfalla o longeva come una tartaruga.

Il tempo, paziente e silenzioso, impalpabile nel benessere e interminabile nel malessere, il tempo che tutto muta e che tutto cancella, per il quale la parola “forever” è una briciola di pane da scrollarsi dalla barba, per il quale le parole “campione forever” risultano piccole interpunzioni nello spartito infinito del disegno divino.

E il tempo segnò anche Primo, e l’ictus lo segnò anche più.

E fu così che “Campione Forever” mutò prospettiva.

Divenne un canguro invalido, divenne un canguro con progetti di suicidio.

Primo rimaneva sempre nell’affetto di molti, non più di tutti, ma di molti, veniva ancora chiamato in tv, ma come ex pugile, di lui si parlava come di ex campione anche sui giornali, si diradavano molti canguri e molte cangure prima sempre intorno a lui, alcuni restavano, ma lo trattavano, appunto, da ex, ex campione, ex canguro, solo ex.

E Primo si chiuse: lui che sempre colpiva era stato colpito, lui che sempre ledeva era stato leso, lui che sempre abbatteva era stato abbattuto.

Lui che aveva sempre avuto rispetto per l’avversario era stato trattato senza rispetto alcuno dall’avversario più forte e più tenace di lui, il Tempo, era stato distrutto senza ritegno e vigliaccamente, lui così coraggioso, dal più vile e silente degli avversari, l’Ictus.

Entrambi questi avversari a Primo non erano stati presentati, non gli avevano stretto la mano, non lo avevano abbracciato e confortato dopo la sua sconfitta.

E Primo si chiuse, non parlava più, lui “Campione Forever” era ora in balia di chi lo assisteva e che, in grazia solo dei suoi soldi, lo curava e badava a lui.

Lui, indomito come Leonida, invincibile come Cesare, pugnace come Alessandro era ora un’ameba irriconoscibile che via via scivolava nell’oblio.

La sua forza non c’era più, colpita, così come il movimento, dal feroce avversario Ictus, non più l’agilità, la bellezza, la prontezza, l’aitanza,: tutto perduto, meglio morire, meglio farla finita, l’avesse vinto fino in fondo questo match il Tempo e l’avesse vinto come lui, Primo, vinceva i suoi di match, prima del tempo, per k.o.!

E Primo decise di morire il primo gennaio.

Ma il trentuno dicembre, durante la consueta visita che quasi tutti i giorni faceva a Primo, il suo amico Cassio gli lesse una fiaba.

La fiaba parlava di castori, animali che piacevano molto a Primo; in particolare narrava di un castoro disperato perché, col passare del tempo, aveva perso tutti i denti e con essi il suo ruolo nella comunità: non poteva più costruire le tane, portando i rami con i denti, non poteva più nutrirsi, non poteva più difendere la sua famiglia dalle lontre invadenti e fameliche. Aveva deciso di affogarsi, di lasciarsi affondare nel fiume che lo aveva visto giovane e forte.

Ma un amico aveva narrato al castoro una fiaba nella quale si affermava che vi è un tempo per la forza, uno per l’azione, uno per la gioia, uno per la debolezza, uno per la sofferenza, uno per il tramonto; nella fiaba si spiegava come questi tempi siano naturali e come vadano affrontati e accettati con serenità tra gli affetti veri, pochi, non eclatanti, non mondani, ma stretti, forti e autentici, come la vita vada gradita e accettata come un dono da non sprecare, da non umiliare, da non dissacrare.

E il castoro aveva capito, si era disteso e si era lasciato amare così, senza denti, per quello che era diventato.

E anche Primo capì: non era importante essere “Campione Forever”, lo era stato, ne aveva beneficiato a piene mani, ma ora vecchio e malato capiva di essere finalmente un canguro vero, amato da pochi, ma autenticamente.

Capì anche che il Tempo non è né avversario né nemico: è solo il tessitore delle nostre trame, è colui che tiene in mano il capo e la coda del filo che tesse le nostre azioni, come una tela più o meno lunga che viene poi avvolta nel magazzino della memoria.

Tratto da: "Le fiabe per... vincere la paura (un aiuto per grandi e piccini)", di Elvezia Benini e Giancarlo Malombra, collana "Le Comete", Franco Angeli Editore. 

GLI AUTORI:

Elvezia Benini, psicologa, psicoterapeuta a orientamento junghiano, specialista in sand play therapy, consulente in ambito forense, già giudice onorario presso la Corte d'Appello di Genova. Autrice di numerose pubblicazioni a carattere scientifico.

Cecilia Malombra, psicologa clinica, specializzanda in criminologia e scienze psicoforensi, relatrice in convegni specialistici per operatori forensi e socio-sanitari. Autrice di pubblicazioni a carattere scientifico.

Giancarlo Malombra, giudice onorario presso la Corte d'Appello di Genova sezione minori, già dirigente scolastico, professore di psicologia sociale. Autore di numerose pubblicazioni a carattere scientifico.

Associazione Pietra Filosofale

L’Organizzazione persegue, senza scopo di lucro, finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale mediante l’esercizio, in via esclusiva o principale, delle seguenti attività di interesse generale ex art. 5 del D. Lgs. 117/2017:

d) educazione, istruzione e formazione professionale, ai sensi della legge 28 marzo 2003, n. 53, e successive modificazioni, nonché le attività culturali di interesse sociale con finalità educativa;

i) organizzazione e gestione di attività culturali, artistiche o ricreative di interesse sociale, incluse attività, anche editoriali, di promozione e diffusione della cultura e della pratica del volontariato e delle attività di interesse generale di cui al presente articolo;

k) organizzazione e gestione di attività turistiche di interesse sociale, culturale o religioso;

In concreto l’associazione, già costituita di fatto dal 27 gennaio 2016 e che ha ideato e avviato il concorso letterario Pietra Filosofale di concerto con l'amministrazione comunale, intende proporsi come soggetto facilitatore, promuovendo e stimolando proposte di cultura, arte e spettacolo sul territorio, organizzazione di eventi culturali e/o festival, ideazione e promozione di iniziative culturali anche in ambito nazionale, costruzione, recupero e gestione di nuovi spazi adibiti a luoghi di Cultura Permanente, anche all’interno di siti oggetto di riqualificazione e/o trasformazione quali ad esempio l’ex Cantiere Navale di Pietra Ligure, come già attuato nel 2018 presso la Biblioteca Civica di Pietra Ligure, ove ha curato un percorso specifico di incontri dedicati alla salute e al benessere attraverso il progetto Il sogno in cantiere": il sogno, in onore e ricordo del cantiere navale che un tempo a Pietra Ligure ha dato vita a tante navi che sono andate nel mondo, vuole ritrovare nel “Cantiere” il luogo di cultura permanente dove poter trascorrere un tempo dedicato al pensiero del cuore, per nutrire l'anima con letture, scrittura creativa, musica, conferenze, mostre.

La “Filosofia dell'associazione” è quella di ridare vita al "Cantiere" in una nuova forma e in un nuovo spazio, ma con lo stesso intento di progettare e costruire "mezzi" speciali, per poter viaggiare con l'immaginazione, strumento di fondamentale importanza per creare spazio e tempo migliori in cui vivere.

L'Associazione vuole favorire l'alchimia di differenti linguaggi, promuovendo spazi di arte, cultura e spettacolo, convogliando le energie nascoste, rintracciando il messaggio archetipico attraverso la narrazione, tentando di recuperare i meandri del proprio Sé, per creare momenti di incontro, scambio e ascolto e per gioire dell'Incanto della Vita. L'aspetto narrativo si è già concretizzato nel 2016 attraverso l'esperito Concorso letterario sulla fiaba; la fiaba è metafora di vita: se il suo linguaggio è ricco e articolato, anche la vita, di conseguenza, sarà ricca e articolata, capace, come per i personaggi delle fiabe, di conservare una nicchia di libertà che faccia considerare l'alterità, l'altro, come un patrimonio da tesaurizzare. L'intento è quindi quello di compiere il “varo” di un “Festivalincantiere” quale contenitore di numerose iniziative, in primis il recupero del concorso letterario sulla fiaba, per poter consentire di viaggiare con l'immaginazione, strumento di fondamentale importanza per creare uno spazio e un tempo migliori in cui vivere e per offrire al Comune l'ampliamento della propria visibilità culturale sia a livello locale sia nazionale e oltre.

«I luoghi hanno un'anima. Il nostro compito è di scoprirla. Esattamente come accade per la persona umana.» scrive James Hillman

La triste verità è che la vera vita dell'uomo è dilacerata da un complesso di inesorabili contrari: giorno e notte, nascita e morte, felicità e sventura, bene e male. Non possiamo neppure essere certi che l'uno prevarrà sull'altro, che il bene sconfiggerà il male, o la gioia si affermerà sul dolore. La vita è un campo di battaglia: così è sempre stata e così sarà sempre: se così non fosse finirebbe la vita. (C.G.Jung, L'uomo e i suoi simboli)

Pedagogia della fiaba

La fiaba è metafora di vita: se il suo linguaggio è ricco e articolato, anche la vita, di conseguenza, sarà ricca e articolata, capace, come per i personaggi delle fiabe, di conservare una nicchia di libertà che faccia considerare l'alterità, l'altro, come un patrimonio da tesaurizzare e non come un competitor o peggio come un diverso stigmatizzabile in minus da omologare coercitivamente.

 

"L'aspetto linguistico così intenso ed evocante contesti e costrutti, spesso caduti nell'oblio, è il necessario contenitore, è la pelle del daimon che consente a ciascuno di riappropriarsi di conoscenza e di dignità, ricordando a tutti e a ognuno che l'ignoranza è la radice di tutti i mali". (Giancarlo Malombra in "Narrazione e luoghi. Per una nuova Intercultura", di Castellani e Malombra, Ed Franco Angeli). 


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