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Savona | 27 maggio 2015, 17:00

Il tempo per imparare

Il tempo per imparare

Accorciare la settimana scolastica non dovrebbe avere a che fare con il risparmio. Ma con il buon senso. La pletora di ore impiegate per programmi obsoleti, fumosi e sganciati dalla realtà è la vera dispersione del processo educativo. Così come è uno spreco, spesso, il tempo eroso da uno studio domestico vessatorio e ridondante. Le ore della scuola non coincidono con quelle dell'apprendimento, che prende quota sotto la spinta dello stimolo, non della coercizione.

Il "Giordano Bruno" di Albenga è un liceo glorioso, con un gruppo di insegnanti sicuramente encomiabile. Il Collegio Docenti dell'istituto se la prende con la Provincia per via della settimana corta: l'ente di Palazzo Nervi (prima di sgretolarsi sotto la scure del Ddl Delrio) in pratica ha fissato la chiusura del sabato. "La Provincia risparmierà qualche ettolitro di gasolio" ironizzano i professori. "Forse si vuol far tornare il liceo ad essere il luogo elitario di chi si può permettere lezioni private e generosi sostegni allo studio" scrivono in una lettera aperta.

In realtà, la necessità di lezioni private o aiuti suppletivi è commisurata alle "esigenze" che esprimono i professori stessi che, si sa, hanno un recinto di regole dove la discrezionalità può razzolare agevolmente. Una didattica sui cinque, sui sei o sui sette giorni non significa nulla se prima non si fa un ragionamento psicopedagogico. E il punto è proprio questo: in Italia si sono eclissati i pedagogisti e quei pochi superstiti non trovano udienza al Ministero dell'Istruzione.

L'attuale riforma della scuola, raffazzonata e contestabilissima, comunque non ha a che vedere con questo caso ingauno e provinciale (del resto, delle urgenze degli studenti poco si occupa). Se si decurta la settimana scolastica dovrebbe essere per il vantaggio dei discenti, non per taccagneria travestita da frugalità. Poi la sostanza non cambia, certo: tutti gli studenti delle Superiori nel Savonese staranno sui banchi per cinque giorni. Deo gratias. Oberati di compiti, inquieti, costretti ai viaggi asfittici nei bus, tempestati dagli sbalzi ormonali, smartphone-dipendenti, eppure avidi di sapere e di crescere: è la scuola che dovrebbe andare incontro alle necessità, nuove e nel contempo archetipiche, degli adolescenti. 

Se c'è una parte di gioventù debosciata o svogliata, l'antidoto non è la reclusione in aula. Non è aumentando il carico delle ore che si forgiano le nuove generazioni, ma cambiando i programmi e le modalità dell'insegnamento che soffre ancora, incredibilmente, del suo retaggio risorgimentale e senile. Mentre i ragazzi vorrebbero muoversi sulle strade dell'oggi, con più tempo per imparare insieme a maestri che li conducano nella realtà viva, qualcuno vorrebbe ingabbiarli nel guscio di un animale che non ha futuro: la scuola con troppi obblighi. 

Felix Lammardo

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