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| 26 luglio 2012, 15:30

OCV: gli operai accusano

Con che spirito ci si può alzare al mattino per andare a lavorare sapendo già che è tutto finito? (tratto da Ilsegnonews.it)

OCV: gli operai accusano

Arturo 47 anni, Emilio 48 anni, Gino 47 anni, Giuseppe 54 anni, Lorenzo 52 anni. Sembra la lista delle vittime di un qualche incidente, e purtroppo è un'impressione non così lontana dal vero. Cinque uomini con percorsi diversi ma accomunati dallo stesso destino: il licenziamento dalla OCV dopo decenni di lavoro al servizio dell'azienda, attraverso tre cambi di proprietà.

«Il 15 febbraio ci hanno comunicato la chiusura imminente: – raccontano – è stato un fulmine a ciel sereno. I successivi quattro mesi di lavoro sono stati davvero terribili. Con che spirito ci si può alzare al mattino per andare a lavorare sapendo già che è tutto finito?».

«Era una bella storia di lavoro – commenta amaramente Arturo – ma è finita in modo tragico».

«Avevamo fiducia negli americani – interviene Giuseppe - non ci saremmo mai aspettati una conclusione del genere. La chiusura ci era sembrata un rischio molto più concreto ai tempi di Montedison, ma con l'arrivo prima dei francesi di Saint Gobain e poi degli americani di OCV ci sentivamo sicuri. Oltretutto avevano costruito un nuovo forno solo due anni e mezzo fa. 20 milioni di investimento e anni di lavoro massacrante buttati dalla finestra».

 

Le ragioni ufficiali della chiusura dello stabilimento di Vado Ligure sono state l'eccessivo costo dell'energia e quindi della produzione, ma i piani di rilocalizzazione all'estero, in Russia o in Malesia, lasciano intendere che si tratti di una scusa per giustificare un trasferimento già pianificato.

«Alla fine – ammette Gino – non ce l'abbiamo nemmeno tanto con la multinazionale. Lo sappiamo come lavorano e dal loro punto di vista probabilmente la chiusura aveva senso perché andando a produrre da un'altra parte spenderanno meno. Il vero problema è che questi colossi possono permettersi di arrivare in Italia, di comprarsi le aziende, tenendole giusto il tempo di prendersi le tecnologie e le competenze, per poi chiudere e riaprire chissà dove, in nome del risparmio»

«E il governo cosa fa? - sbotta Giuseppe – Nulla. I sindacati? Peggio ancora! Hanno abbandonato i lavoratori che negli anni hanno pagato loro la tessera e il posto. È una vergogna! Nel Nordeuropa i governi fanno sottoscrivere ai nuovi acquirenti accordi per tenere le aziende aperte sul territorio nazionale per dieci e più anni, senza licenziamenti e senza trasferimenti. Ma si sa, da quelle parti le cose funzionano mica come in Italia».

 

E ora che si può fare? Ingoiato a fatica l'enorme rospo bisogna trovare alternative e in fretta, ma anche qui sorgono altri problemi e monta la frustrazione.

«Siamo stati trattati come stracci – commenta amaramente Emilio – venti o trent'anni di lavoro cancellati in pochi mesi, pensioni sfumate e futuro incerto. Alla nostra età, con decenni di esperienza in un settore così specifico come la produzione di fibra di vetro, è difficilissimo ricollocarsi. Come se già non bastassero questi problemi, ci siamo ritrovati a casa nel periodo peggiore possibile. Chiusura per chiusura sarebbe stato meglio il fallimento nel 2008, almeno avremmo avuto la cassa integrazione, qualche anno in meno e un mondo del lavoro leggermente meno soffocato dalla crisi».

«Nessuno di noi – prosegue Lorenzo – si aspetta di trovare un nuovo posto di lavoro sotto casa, ci mancherebbe, e sappiamo che la flessibilità è ormai un dato di fatto. Andare a lavorare fuori città non ci spaventa, a determinate condizioni. Certo, la OCV ci aveva proposto un trasferimento o a Besana Brianza o a Chambéry in Francia, ma senza le dovute garanzie non ce la siamo sentita di smontare baracca e burattini e cambiare vita. Abbiamo cinquant'anni, famiglie a carico e mutui da pagare: un salto nel buio del genere lo può fare qualcuno dei nostri ex colleghi più giovani. Ma cosa succederebbe se accettassimo, ci trasferissimo e tra due o tre anni anche quella fabbrica chiudesse?».

 

La situazione delle industrie di Vado Ligure si fa sempre più dura e non si vedono sbocchi positivi a breve termine. «Speriamo che qualche altra azienda si insedi nelle strutture dismesse, magari mettendo tutto a norma e investendo per ridurre l'inquinamento causato dalla produzione. Purtroppo non ci sono alternative. A nessuno piace respirare veleni, ma a un certo punto occorre anche essere realisti e riconoscere che con l'aria pura non si mette in tavola il pranzo e non si pagano le bollette. Chissà perché sembra impossibile riuscire a conciliare produttività e buoni standard di sicurezza».

Nel momento in cui persone che hanno lavorato una vita in ambienti poco salubri si dicono disposte ad accettare compromessi e ulteriori rischi in nome della possibilità, nemmeno garantita, di un posto di lavoro occorrerebbe davvero fermarsi e porsi delle domande.

E aspettare delle risposte che, probabilmente, non arriveranno mai.

com. IlSegnoNews

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