Anche lo psicologo e mediatore familiare albenganese Alfredo Sgarlato è tra i collaboratori dell'originale progetto multinazionale di "mostra virtuale" dal titolo "Il respiro del tempo: oggetti di affezione durante il Covid-19".
Il nome di Alfredo Sgarlato da decenni è conosciuto e stimato negli ambienti culturali e legati all'impegno sociale del comprensorio ingauno, inoltre fa parte del team Mirabilia che si è fatto promotore di questa iniziativa originale.
Alfredo Sgarlato è presente con un suo scritto, caratterizzato come è nel suo stile da una lucida, ma al tempo stesso emotivamente profonda, analisi della società che ci circonda, tra gli autori di diverse nazioni coinvolti in "Il respiro del tempo".
Veniamo ora al progetto, come viene descritto dagli ideatori: "Gli oggetti non sono mai neutri. Simbolici di un periodo, un affetto, un desiderio, un malessere o una memoria, sono al centro di reti di relazione che ci aiutano a conoscere la realtà e noi stessi.
La mostra virtuale “IL RESPIRO DEL TEMPO. OGGETTI D'AFFEZIONE DURANTE IL COVID-19” espone una trentina di oggetti (corredati da una personale narrazione), significativi durante la pandemia 2020 e raccolti attraverso una call lanciata dal gruppo facebook Mirabilia.
L’idea alla base di questo progetto antropologico non era tanto di una rappresentazione corale tout-court, quanto di lasciare ai posteri – attraverso la rete informatica - una testimonianza che consenta di ricostruire e visualizzare, nei secoli a venire, il 'sentire' collettivo di un periodo di lockdown, timore e incertezza portato dal virus Covid-19.
Alla mostra virtuale hanno contribuito 28 autori (21 donne e 7 uomini), provenienti da Italia, Canada, Grecia, Lituania, Spagna e Svezia, di diverse età e professioni. La prima tentazione di Mirabilia è stata quella di catalogare gli oggetti d’affezione pervenuti in aree tematiche, ma catalogare significa rinchiudere in gabbie interpretative fisse e relativistiche. Ogni oggetto in sé è polisemico, evoca cioè immagini e significati soggettivi a seconda del vissuto personale e del contesto culturale e sociale di appartenenza. Si è deciso così di concentrarsi sul legame emozionale con l’oggetto, divenuto per alcuni transizionale per la sua capacità di offrire riparo, protezione e conforto psicologico.
Oggetti che sottolineano un “dentro” e un “fuori”, un “prima” e un “nunc” sospeso. Le sbarre alla finestra che un tempo tenevano al sicuro da ogni intrusione, ora si fanno pesanti perché riflettono l’idea di essere in trappola pur se nel contempo consentono di vedere com’è il mondo “dall’altra parte”. Le pantofole di lana e gli zoccoli estivi che dialogano attraverso una porta a vetri rimandano a un tempo che verrà, ciclico e tenace come il tempo della natura, racchiuso in una piantina di basilico vittoriosamente sopravvissuta all’inverno. L’immagine di una soglia, oggettiva o simbolica, di un limen, è molto ricorrente in questi contributi.
D’altronde la stessa pandemia può considerarsi un rito di passaggio con i suoi tre stadi di separazione, transizione e reintegrazione. Le scarpe lasciate sullo zerbino, senza testo descrittivo, spingono la mente a trovare molteplici allusioni mentre la porta a vetri di un corridoio di casa, che impedisce a un marito affetto da coronavirus di contagiare la propria moglie, testimonia l’idea di confinamento nel confinamento, di un’assenza in co-presenza, con tutto il portato di solitudine, paure, pensieri e strategie di sopravvivenza. Perché è questo il primo pensiero dettato dall’istinto di conservazione: sopravvivere ovvero “vivere sopra”, al di là del rischio e del pericolo, per continuare ad esistere, ad esserci, a farsi testimoni.
A questo pensiero ci si può aggrappare con la fantasia, con la creatività o con un oggetto dalle virtù apotropaiche: le famiglie ritagliate su carta che prendono forma per “andare restando”; l’albero secolare in giardino con la sua ferita di guerra, simbolo di resilienza; il restauro del tavolo della nonna, custode di immagini e memorie lontane; un braccialetto-amuleto, un rosario, delle pietre significative o una mattonella in tessuto per allontanare lo stress e ritrovare la pace dell’anima; una poesia sull’immagine di un’alba o un taccuino per fissare le sensazioni e le tappe di questo tempo straordinario.
Un tempo costellato da diverse scansioni, che diventa pausa, attesa, silenzio, riflessione, occasione per staccarsi dal mondo, liberarsi dalle gabbie mentali e abbracciare il vero sé. Un tempo “umanizzato”, perduto e ritrovato in un autoritratto, in un’incitazione scritta sulla propria tazza preferita o attraverso il distacco regalato da un paio di cuffie auricolari. E poi c’è l’evasione, l’arte del pensiero di fuggire da uno spazio che ci reclude e angoscia, rifugiandosi nei libri, inventandosi nuovi orizzonti attraverso pennelli e tavolozza, perdendosi nell’infinita quiete del mare visto attraverso la finestra o promettendosi, davanti a una cartina geografica, di ritornare presto a vivere persone e luoghi conosciuti o inesplorati.
Chissà se, come scrive un autore, questi oggetti rimarranno incisi nella memoria storica individuale oppure svaniranno – soffermandoci sull’immagine di un’autrice - come il respiro sulle lenti degli occhiali, una volta tolta la mascherina.
D’altronde a decretare la differenza tra l’essere e il non essere è proprio il respiro, insediato in questo tempo pandemico da un nemico micidiale e invisibile, celebrato in tutti i rimandi, reali e onirici. Il movimento ritmico del diaframma è insieme stasi e movimento, fissità e rinnovamento. Il respiro cercato dalla corritrice svedese quando si inerpica sui boschi con i suoi stivali di gomma è parte di un respiro globale che ingloba tutti i regni della natura, umanità e oggetti compresi: è il respiro del tempo, il nostro tempo, lasciato a imperitura memoria".














