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Attualità | 01 marzo 2020, 09:15

La fiaba della domenica: "Le due sorelle"

Opera tratta da: "Le fiabe per... Affrontare gelosia e invidia", di Elvezia Benini e Giancarlo Malombra (Collana "Le Comete", Franco Angeli Editore)

La fiaba della domenica: "Le due sorelle"

“Se la strega vuol esser bella chiede aiuto a Genzianella,

se il nano vuol crescer di più chiede aiuto a Barbablu,

se lo gnomo perde il sentiero chiede aiuto all'uomo nero,

se il gigante ha mal di schiena chiede aiuto a Marialena,

se il bambin non fa la nanna se lo abbraccia la sua mamma”.

Così cantava, per ore ed ore, Amabile al suo piccolo, adorato Michelino, il suo bambino roseo e paffuto, gran mangione, ma ben poco dormiglione.

Cantava e aspettava, la sera, il ritorno di Marcante, il suo sposo che lavorava nella vicina miniera di zolfo.

“Quando arriva il tuo papà che gran festa si farà,

ogni bimbo ha la sua mamma, su adesso fai la nanna”.

Ma dormire, per il piccolo Michelino, era quasi una perdita di tempo: lui, così piccino, eppure così attento a ogni particolare del mondo, a ogni colore, a ogni odore, a ogni luce, a ogni variazione di calore.

E man mano che cresceva dormiva sempre meno.

Vispo, vivace, bello e colorito, Michelino inseguiva le farfalle, organizzava le corse delle lucertole, sfidava a saltelloni i ramarri, sfilava le bisce dai buchi tirandole per la coda e facendole arrabbiare nei loro sonnacchiosi e sibilanti ritiri, contava i grilli verdi e quelli marroni, galoppava in groppa all'asino Pippo e giocava con la zia.

Già la zia Evandra, di due anni più giovane della sorella Amabile, la mamma di Michelino, sposata col baldo taglialegna Clodoveo, felicissima di occuparsi del nipotino e molto, molto invidiosa del fatto che lui fosse il suo nipotino e non il suo bambino, suo figlio.

Amabile soleva ripetere a parenti e amici :“Povera sorella mia, ci patisce molto, non può avere figli, lei, mentre io ho Michelino, luce dei miei occhi!”.

E così da parte di Evandra invidia e gelosia portavano a profonda infelicità, mentre da parte di Amabile compiacimento e commiserazione portavano a superficialità e sfida, sentimenti questi che accrescevano quelli di Evandra, in una spirale senza fine.

Il buon marito di quest'ultima, Clodoveo, rincuorava la moglie: “Abbi fede e pazienza, cara, a suo tempo i figli verranno, quando vorrà la Provvidenza, intanto goditi Michelino, il nostro nipotino, che spesso è con noi!”.

Ma, tant'è, non vi era giorno che Evandra non sospirasse dalla rabbia e non si rodesse per l'invidia, così come non v'era giorno che Amabile, tronfia e “dispiaciuta”, non dicesse, sospirando :”Poverina mia sorella, lei non ha bambini, come ci patisce!”.

Certo, il piccolo Michelino si giovava, per così dire, di questa situazione: in fondo aveva due mamme, due papà, due case, due occasioni di divertimento e di coccole, due modi diversi di farlo sentire l'unico principino.

Spesso la sera, dopo una giornata trascorsa con la zia, Michelino veniva invitato a restare per la notte a casa di questa: ma, invariabilmente, il capo scuro della sua mamma, coperto da un fazzoletto di tulle, appariva in lontananza, preannunciando le solite baruffe.

“Michelino viene a casa sua, ha una mamma e un papà, lui, è ora che torni, è già stato tutto il giorno con te, sorella mia”, diceva con forza Amabile. “Perchè portarlo via a quest'ora con il freddo e con il gelo, lasciamolo a dormire qui da noi, nel suo lettino da re”, aggiungeva con altrettanta forza Evandra.

E così, tira e molla, molla e tira, Michelino cresceva tra i bisticci per lui delle due sorelle e i sospiri di impotenza dei due cognati, sempre costretti a mediare e a calmare le ire delle due donne.

Ma un giorno, un triste giorno, al culmine dell'ennesima lite con la sorella, ovviamente sempre per causa di Michelino, Evandra prese la più nefanda e scellerata tra le decisioni: avrebbe fatto sparire la mamma del bimbo, Amabile, la sua invidiata sorella.

E per sempre.

Così il bambino sarebbe stato tutto per lei.

E per compiere il misfatto avrebbe chiesto l'intervento di Orco Sporco, il maleodorante e cattivo orco che abitava nella Foresta Intricata, già noto agli abitanti del villaggio come ladro e assassino.

Ovviamente, non fece parola della sua malefica intenzione al buon marito Clodoveo: un giorno che lui era lontano nel bosco a far legna come di consueto, riempì due grossi orci di vino, prese in cantina due grossi pezzi di formaggio,, disseppellì dieci monete d'oro e si avviò verso la casa dell'orco a dorso di mulo.

“Chi osa disturbare il mio sonno?” urlò, con voce spaventosa, Orco Sporco; “Chi vuole essere ucciso insieme al suo mulo?” aggiunse iroso l'orco. “Non temere, saggio orco”, disse tremebonda, ma decisa Evandra; “Vengo a donarti vino nuovo e formaggio stagionato, grande orco, e a proporti un affare lucroso, ho qui con me monete d'oro e altre ne avrai se mi ascolterai e se ci metteremo d'accordo”, aggiunse risoluta la donna.

A quel punto l'orco si decise ad aprire la porta della sua catapecchia. Era una spelonca davvero disgustosa e paurosa, ma mai come lui: l'orco superava la peggiore delle descrizioni che Evandra aveva udito dai terrorizzati viandanti che lo avevano incontrato e che erano rimasti vivi.

Alto, grosso, molto peloso, puzzolente in maniera tremenda, vestito di foglie, con gli occhi di brace,

una bocca storta e sdentata, il naso bitorzoluto e una voce da far accapponare la pelle.

Dopo averlo blandito con vino e formaggio, Evandra espose all'orco il suo mefistofelico contratto.

“Per venti monete d'oro, dieci ora e dieci dopo, mi libererai per sempre di mia sorella Amabile. E' un lavoretto facile, facile, lei è sempre sola in casa, il marito è in miniera, fanne ciò che vorrai, non mi interessa, l'importante è che sparisca”. “E, ancora più importante, se vi fosse in casa il bambino, per nulla al mondo dovrai fargli del male, guai se gli torci un capello, la mia vendetta sarebbe atroce”, aggiunse Evandra, quasi incredula della propria sfrontatezza e timorosa delle reazioni dell'orco.

Ma questi, forse stordito dal vino, non fece caso alla minaccia della donna e accettò di buon grado il compito infame.

Era un triste giorno d'autunno, le foglie compivano abili volteggi staccandosi dai rami e inseguendosi nel morire nel vento, la pioggia scendeva copiosa sulla casetta di Amabile dalla quale saliva il bianco fumo del camino acceso.

Anche quel giorno Amabile aveva accettato di mandare Michelino dalla sorella: aveva la casa da rassettare, con lui a giocare e saltare in un giorno di pioggia non sarebbe stato possibile, e poi “poverina” zia Evandra lei non aveva bambini!

E venne l'orco.

Come un tuono si abbattè sulla porta, come un fulmine ghermì Amabile terrorizzata e impotente, come grandine devastò la casa, riempiendo la sua unta bisaccia con tutto ciò che trovava.

E stava per uccidere, soffocandola con una sola mano, la malcapitata donna, quando negli occhi spalancati e terrorizzati di lei, l'orco vide la sua immagine riflessa.

Chi era quel brutto, sporco, spietato assassino che nitidamente vedeva in quell'improvvisato specchio? Chi era quel terribile individuo che, dotato di forza demoniaca, teneva sospesa per il collo, soffocandola, quella malcapitata donna? Che male gli aveva fatto costei? Venti monete d'oro valevano forse la dannazione eterna?

Lui non era più giovane, presto qualcuno, molto più forte e potente di lui, gli avrebbe chiesto conto delle sue azioni, forse vi era ancora tempo per pentirsi, per cambiare, per salvarsi l'anima chiedendo umilmente perdono per i propri misfatti!

Ma aveva accettato un contratto, aveva intascato già dieci monete d'oro... al diavolo quella donnaccia che voleva la propria sorella morta, le avrebbe restituito le monete e anche il vino e il formaggio, che si sbrigasse da sola i suoi infami propositi!

E depose, lentamente, dolcemente, Amabile a terra, riassettandole goffamente i capelli intrisi di lacrime e sudore. “Non temere, giovane donna, ho compreso, grazie a te e ai tuoi occhi che non devo più fare il male. D'ora in poi mi dedicherò ad aiutare gli altri e che Dio mi perdoni”:

E senza prima dimenticarsi di svuotare la bisaccia del maltolto, riordinare la casa e ripristinare la porta scardinata, con un inchino e un sorriso, Orco Sporco salutò Amabile e se ne andò, dicendole di guardarsi bene da chi le stava vicino.

Mentre tutto ciò avveniva, non molto distante da lì Evandra , la sorella, seppe di aspettare un bambino.

Mio Dio, che aveva fatto!

Accecata da invidia e gelosia, resa pazza da rabbia e paura di non essere mai madre, aveva compiuto il più terribile dei misfatti. Aveva commissionato lo spargimento del proprio sangue, l'omicidio della sorella!

Ma forse era ancora in tempo a fermare l'orco, ad avvisare Amabile!

E corse, corse a perdifiato, lungo la strada in discesa che conduceva alla casetta della sorella.

E incontrò un orco diverso, sereno, sorridente, molto diverso da come lo aveva incontrato nel bosco.

Evandra non sapeva che pensare: sgomento e speranza, terrore e desiderio, ansia, angoscia, ancora speranza. Ormai l'orco aveva adempiuto al contratto, senz'altro, ma forse no, era così cambiato!

E pregò, pregò intensamente e accoratamente affinchè il misfatto non fosse avvenuto, affinchè il miracolo del vedere un orco diverso corrispondesse a una diabolica azione mancata.

E venne esaudita: in lontananza la figuretta di Amabile si stagliava sull'uscio di casa.

E corse ancora, piangendo e ridendo all'unisono, corse ancora a perdifiato, sino a gettarsi sulla sorella in un abbraccio senza fine.

Le parole non servivano: parlavano i loro cuori rinnovati, ora ricchi di vero sentimento l'una per l'altra, madre e zia reciprocamente, vere sorelle ormai prive del tarlo della gelosia e del fuoco dell'invidia.

GLI AUTORI:

Elvezia Benini, psicologa, psicoterapeuta a orientamento junghiano, specialista in sand play therapy, consulente in ambito forense, già giudice onorario presso la Corte d'Appello di Genova. Autrice di numerose pubblicazioni a carattere scientifico.

Cecilia Malombra, psicologa clinica, specializzanda in criminologia e scienze psicoforensi, relatrice in convegni specialistici per operatori forensi e socio-sanitari. Autrice di pubblicazioni a carattere scientifico.

Giancarlo Malombra, giudice onorario presso la Corte d'Appello di Genova sezione minori, già dirigente scolastico, professore di psicologia sociale. Autore di numerose pubblicazioni a carattere scientifico.

Associazione Pietra Filosofale

L’Organizzazione persegue, senza scopo di lucro, finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale mediante l’esercizio, in via esclusiva o principale, delle seguenti attività di interesse generale ex art. 5 del D. Lgs. 117/2017:

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In concreto l’associazione, già costituita di fatto dal 27 gennaio 2016 e che ha ideato e avviato il concorso letterario Pietra Filosofale di concerto con l'amministrazione comunale, intende proporsi come soggetto facilitatore, promuovendo e stimolando proposte di cultura, arte e spettacolo sul territorio, organizzazione di eventi culturali e/o festival, ideazione e promozione di iniziative culturali anche in ambito nazionale, costruzione, recupero e gestione di nuovi spazi adibiti a luoghi di Cultura Permanente, anche all’interno di siti oggetto di riqualificazione e/o trasformazione quali ad esempio l’ex Cantiere Navale di Pietra Ligure, come già attuato nel 2018 presso la Biblioteca Civica di Pietra Ligure, ove ha curato un percorso specifico di incontri dedicati alla salute e al benessere attraverso il progetto Il sogno in cantiere": il sogno, in onore e ricordo del cantiere navale che un tempo a Pietra Ligure ha dato vita a tante navi che sono andate nel mondo, vuole ritrovare nel “Cantiere” il luogo di cultura permanente dove poter trascorrere un tempo dedicato al pensiero del cuore, per nutrire l'anima con letture, scrittura creativa, musica, conferenze, mostre.

La “Filosofia dell'associazione” è quella di ridare vita al "Cantiere" in una nuova forma e in un nuovo spazio, ma con lo stesso intento di progettare e costruire "mezzi" speciali, per poter viaggiare con l'immaginazione, strumento di fondamentale importanza per creare spazio e tempo migliori in cui vivere.

L'Associazione vuole favorire l'alchimia di differenti linguaggi, promuovendo spazi di arte, cultura e spettacolo, convogliando le energie nascoste, rintracciando il messaggio archetipico attraverso la narrazione, tentando di recuperare i meandri del proprio Sé, per creare momenti di incontro, scambio e ascolto e per gioire dell'Incanto della Vita. L'aspetto narrativo si è già concretizzato nel 2016 attraverso l'esperito Concorso letterario sulla fiaba; la fiaba è metafora di vita: se il suo linguaggio è ricco e articolato, anche la vita, di conseguenza, sarà ricca e articolata, capace, come per i personaggi delle fiabe, di conservare una nicchia di libertà che faccia considerare l'alterità, l'altro, come un patrimonio da tesaurizzare. L'intento è quindi quello di compiere il “varo” di un “Festivalincantiere” quale contenitore di numerose iniziative, in primis il recupero del concorso letterario sulla fiaba, per poter consentire di viaggiare con l'immaginazione, strumento di fondamentale importanza per creare uno spazio e un tempo migliori in cui vivere e per offrire al Comune l'ampliamento della propria visibilità culturale sia a livello locale sia nazionale e oltre.

«I luoghi hanno un'anima. Il nostro compito è di scoprirla. Esattamente come accade per la persona umana.» scrive James Hillman

La triste verità è che la vera vita dell'uomo è dilacerata da un complesso di inesorabili contrari: giorno e notte, nascita e morte, felicità e sventura, bene e male. Non possiamo neppure essere certi che l'uno prevarrà sull'altro, che il bene sconfiggerà il male, o la gioia si affermerà sul dolore. La vita è un campo di battaglia: così è sempre stata e così sarà sempre: se così non fosse finirebbe la vita. (C.G.Jung, L'uomo e i suoi simboli)

Pedagogia della fiaba

La fiaba è metafora di vita: se il suo linguaggio è ricco e articolato, anche la vita, di conseguenza, sarà ricca e articolata, capace, come per i personaggi delle fiabe, di conservare una nicchia di libertà che faccia considerare l'alterità, l'altro, come un patrimonio da tesaurizzare e non come un competitor o peggio come un diverso stigmatizzabile in minus da omologare coercitivamente.

"L'aspetto linguistico così intenso ed evocante contesti e costrutti, spesso caduti nell'oblio, è il necessario contenitore, è la pelle del daimon che consente a ciascuno di riappropriarsi di conoscenza e di dignità, ricordando a tutti e a ognuno che l'ignoranza è la radice di tutti i mali". (Giancarlo Malombra in "Narrazione e luoghi. Per una nuova Intercultura", di Castellani e Malombra, Ed Franco Angeli). 

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