In un tempo lontano lontano e in un paese lontano lontano viveva un buon fornaio che profumava l'aria di tutto il borgo con i prodotti che cuoceva nel suo forno, dopo averli amorevolmente impastati.
Chiunque, aprendo porte e finestre, con la fragranza del pane sfornato, si poneva così di fronte al giorno nuovo con rinnovata baldanza e con insperato ottimismo.
Giacinto, il buon fornaio, dal canto suo era felice di far felici i villici e i signori del suo borgo: sapeva che l'onestà di ciò che impastava era pari alla bellezza di ciò che sfornava, così come sapeva che ogni abitante del villaggio lo rispettava e lo amava in virtù delle sue buone infornate.
Non vi era bimbo che mettesse il naso nella bottega di Giacinto, scostando la tenda di ruvida tela bianca che ne limitava l'uscio, che non ricevesse in dono un caldo panino, una burrosa brioche o una fragrante striscia di focaccia, non vi era poverello, mendicante, vedova o storpio che, presentandosi questuante alla luminosa bottega, non ne venisse rinfrancato nel gusto e nell'olfatto.
E la prova della bontà dei propri prodotti, e la prova della propria bontà erano rispecchiate in Flora, sua moglie, che tutto assaggiava, valutava, soppesava, per poi sorridere gioiosamente e festosamente all'apertura del forno prima e del negozio poi, elargendo i manufatti a piene mani, con pari generosità di quella del marito.
Non vi era giorno che Flora non inventasse una nuova delizia: panini a forma di cuore, di coniglietto, di fatina, brioches con panna, con zucchero filato, con la cannella, focacce salate, dolci o dolci e salate insieme; pane di segale, di farro, di ogni cereale conosciuto veniva sfornato da Giacinto per la gioia di Flora e di tutti gli abitanti del borgo e della valle.
Certo, i due fornai erano amati, venerati, vezzeggiati, onorati da principi e signori, così come da villici e viandanti, ma anche … invidiati.
E sì, si sa, dove regna l'armonia, dove il buono e il bello la fanno da padrone, c'è sempre chi vuol scatenare una sanguinosa tenzone, non avendo la stessa gioia nel cuore né la stessa luce negli occhi.
E' la legge del mondo, è la legge non scritta della vita che dall'invidia è minata e dalla gelosia corrosa, è la logica distorta che muove gran parte del mondo e che rende intricate vicende poi dipanate dall'Amore.
Ma Flora e Giacinto non si curavano affatto di questo mefitico alone, tutti presi e compresi nel loro dare pane e futuro agli abitanti del borgo, felici del dare, ma anche del ricevere in cambio sorrisi e strette di mano, qualche soldino e qualche oggetto, oltre che, naturalmente, del giusto guadagno che derivava dal giusto lavoro, intriso di sudore così come di arte del fare e cuocere il pane.
Nel forno, i due fornai cuocevano anche le torte dolci e salate che le massaie producevano da sé e, il più delle volte, neppure si facevano pagare perchè, come diceva Giacinto, “un po' di calore non lo si nega a nessuno”.
Come era bella, la domenica mattina, la fila delle massaie avvolte negli scialli di lana e con il fazzoletto fiorato a cinger loro i capelli che, come formichine laboriose, recavano la teglia sotto braccio al forno per cuocere le loro crostate o le loro torte di verdura!
E le massaie ringraziavano, a cottura ultimata, con un mazzo di fiori di campo, due uova, un litro di latte, un cenno del capo, una preghiera a Maria, protettrice del paese.
Come una freccia dall'arco scocca, vola veloce di bocca in bocca... la notizia, la fama del buon pane del buon fornaio si sparsero per borghi e per valli, per siti e per lidi, giungendo sino a remoti manieri e a importanti signori.
E fu una processione: file e file di pellegrini e viandanti, di villici e di zotici, di gente di borgata e di uomini di città, pur essendo in attesa da ore, dovevano spostarsi per cedere il posto e il passo al signore di turno con i suoi alabardieri che giungeva al forno ad acquistare delizie di ogni tipo.
E, come grande, forte aggiunto valore, all'acquisto del pane erano legati il sorriso di Flora, la fornaia, e la profondità dell'accoglienza di Giacinto, l'artefice di cotante beltà.
Giacinto e Flora avevano, tra l'altro, ideato un dolce particolare, la Spongata, dolce ricco di miele di montagna e di noci di collina, che solo loro riuscivano magicamente a pennellare in una cottura ideale.
Certo, questa leccornia era un po' più cara rispetto ai soliti prodotti del forno, ma di certo ne valeva la pena. E così essa, la Spongata, attirò al paese, dal buon fornaio, ancora più signori, alcuni pazienti e bonari, i più altezzosi e sprezzanti del popolo in fila.
Nacquero anche duelli tra i boriosi signori e tra i loro scudieri per una Spongata più calda o per una precedenza all'acquisto. Molti morsero la polvere, altri furono feriti, alcuni addirittura uccisi.
E questo il buon Giacinto e la moglie Flora non potevano accettare; non potevano pensare di essere loro gli artefici di odio e tenzoni, di urla e duelli, di sangue e di morte.
Si sentivano in colpa: loro avevano solo le loro braccia e la loro cortesia, oltre all'arte della panificazione. Dovevano correre ai ripari per evitare altre liti: dovevano assumere del personale per farsi aiutare a panificare e a vendere!
Arrivarono così Carmelina, Annina e Martina tre giovani contadine del borgo, figlie di conoscenti del buon fornaio, ragazze di paese mai uscite dal villaggio, rispettose dell'autorità e timorate di Dio.
Flora accolse le tre ragazze con il consueto sorriso e la consueta dolcezza: le istruì, le educò, le ascoltò, donò loro consigli e affetto, spiegò loro come comportarsi con i clienti, specialmente con i boriosi feudatari avidi di Spongate e di attenzioni, illustrò loro il dovere di accogliere e di donare a chi non poteva pagare, demandando al marito, al buon Giacinto, il compito di edurre loro ai segreti della panificazione. E questi con garbo, con paterna pazienza e sempiterna dolcezza, spiegò alle tre ragazze ogni meandro dei misteri del forno, come dare a ogni prodotto sfornato quel magico tocco che lo rendeva ineguagliabile. E soprattutto Giacinto fornì loro il lavoro, quella carica unica di dignità che affranca ogni persona dalla miseria morale e materiale.
E al momento della paga, molte monete scivolavano “per sbaglio” dalle mani del buon fornaio a quelle delle ragazze.
E, ovviamente, Carmelina, Annina e Martina avevano il pane gratis, e la focaccia, e la spongata e i dolci di ogni tipo, sempre gratis.
Ma, ahimè, tutto ciò evidentemente per loro non bastava. E nacquero dispute.
Dapprima sopite, come un fuoco che cova sotto la cenere, poi più vivaci, con un crescendo da operetta, infine un incendio con urla e schiamazzi, ogni giorno davanti ai clienti, di fronte al villano come davanti al principe di sangue blu.
E tutte le liti, le dispute, le rivendicazioni, tutti gli strali, le frecciate, le calunnie erano rivolte a Flora, la moglie del fornaio!
"Lei ha il pane gratis!" urlava Carmelina, "Lei ha la Spongata più dolce!" strepitava Annina, "Lei dorme col fornaio e quindi sa più segreti di noi!" strideva Martina.
Sulle prime Giacinto e Flora provarono a sorridere pensando a nubi passeggere, poi instaurarono un dialogo con le tre ragazze volto a convincerle di guardare ai propri benefici e di goderne a pieni polmoni, poi parlarono con i genitori delle tre dipendenti. Ma fu tutto senza esito.
Le ragazze, ogni giorno, squadravano Flora da testa a piedi, cercavano di coglierla in fallo sul lavoro, la odiavano e la guardavano in cagnesco. Il tutto sempre di fronte agli stupefatti clienti che, ahimè, stufi del nuovo clima del forno cominciarono a diradarsi.
La sera, alla consegna del pane gratis e dei dolci alle tre dipendenti, Giacinto le osservava mestamente a confrontare le pagnotte tra loro, ma soprattutto a guardare quelle messe da parte per la sua sposa Flora.
Stava perdendo la gioia Giacinto, stava perdendo il sorriso Flora.
Invidia, accidia e gelosia annerivano le pareti del forno e ne rendevano l'aria irrespirabile.
A malincuore, ma certo di compiere il bene, Giacinto rispedì a casa Carmelina, Annina e Martina, non senza una gratifica e chili di leccornie: che stessero a sparlare a casa propria, con la speranza di una servita lezione.
E con rinnovata energia e potenziata bontà ricominciò a impastare sotto gli occhi dell'amata Flora senza perdere la speranza, in un prossimo futuro, di trovare qualcuno in aiuto capace di gustare il proprio pane senza pensare a quanto sia caldo quello della moglie del fornaio.
Tratto da: "Le fiabe per... affrontare gelosia e invidia (un aiuto per grandi e piccini)", di Elvezia Benini e Giancarlo Malombra, collana "Le Comete", Franco Angeli Editore.
GLI AUTORI:
Elvezia Benini, psicologa, psicoterapeuta a orientamento junghiano, specialista in sand play therapy, consulente in ambito forense, già giudice onorario presso la Corte d'Appello di Genova. Autrice di numerose pubblicazioni a carattere scientifico.
Cecilia Malombra, psicologa clinica, specializzanda in criminologia e scienze psicoforensi, relatrice in convegni specialistici per operatori forensi e socio-sanitari. Autrice di pubblicazioni a carattere scientifico.
Giancarlo Malombra, giudice onorario presso la Corte d'Appello di Genova sezione minori, già dirigente scolastico, professore di psicologia sociale. Autore di numerose pubblicazioni a carattere scientifico.
Associazione Pietra Filosofale
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La “Filosofia dell'associazione” è quella di ridare vita al "Cantiere" in una nuova forma e in un nuovo spazio, ma con lo stesso intento di progettare e costruire "mezzi" speciali, per poter viaggiare con l'immaginazione, strumento di fondamentale importanza per creare spazio e tempo migliori in cui vivere.
L'Associazione vuole favorire l'alchimia di differenti linguaggi, promuovendo spazi di arte, cultura e spettacolo, convogliando le energie nascoste, rintracciando il messaggio archetipico attraverso la narrazione, tentando di recuperare i meandri del proprio Sé, per creare momenti di incontro, scambio e ascolto e per gioire dell'Incanto della Vita. L'aspetto narrativo si è già concretizzato nel 2016 attraverso l'esperito Concorso letterario sulla fiaba; la fiaba è metafora di vita: se il suo linguaggio è ricco e articolato, anche la vita, di conseguenza, sarà ricca e articolata, capace, come per i personaggi delle fiabe, di conservare una nicchia di libertà che faccia considerare l'alterità, l'altro, come un patrimonio da tesaurizzare. L'intento è quindi quello di compiere il “varo” di un “Festivalincantiere” quale contenitore di numerose iniziative, in primis il recupero del concorso letterario sulla fiaba, per poter consentire di viaggiare con l'immaginazione, strumento di fondamentale importanza per creare uno spazio e un tempo migliori in cui vivere e per offrire al Comune l'ampliamento della propria visibilità culturale sia a livello locale sia nazionale e oltre.
«I luoghi hanno un'anima. Il nostro compito è di scoprirla. Esattamente come accade per la persona umana.» scrive James Hillman
La triste verità è che la vera vita dell'uomo è dilacerata da un complesso di inesorabili contrari: giorno e notte, nascita e morte, felicità e sventura, bene e male. Non possiamo neppure essere certi che l'uno prevarrà sull'altro, che il bene sconfiggerà il male, o la gioia si affermerà sul dolore. La vita è un campo di battaglia: così è sempre stata e così sarà sempre: se così non fosse finirebbe la vita. (C.G.Jung, L'uomo e i suoi simboli)
Pedagogia della fiaba
La fiaba è metafora di vita: se il suo linguaggio è ricco e articolato, anche la vita, di conseguenza, sarà ricca e articolata, capace, come per i personaggi delle fiabe, di conservare una nicchia di libertà che faccia considerare l'alterità, l'altro, come un patrimonio da tesaurizzare e non come un competitor o peggio come un diverso stigmatizzabile in minus da omologare coercitivamente.
"L'aspetto linguistico così intenso ed evocante contesti e costrutti, spesso caduti nell'oblio, è il necessario contenitore, è la pelle del daimon che consente a ciascuno di riappropriarsi di conoscenza e di dignità, ricordando a tutti e a ognuno che l'ignoranza è la radice di tutti i mali". (Giancarlo Malombra in "Narrazione e luoghi. Per una nuova Intercultura", di Castellani e Malombra, Ed Franco Angeli).














