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Attualità | 11 ottobre 2020, 10:00

La Fiaba della Domenica: "Simplicio"

Un povero, piccolo pesce depresso cerca il suo riscatto

La Fiaba della Domenica: "Simplicio"

Essere un pesce piccolo è già un grosso problema.

La vastità del mare, le sue procelle, gli enormi bastimenti che lo solcano in ogni direzione, le vaste chiazze di petrolio che ti incontrano e ti circondano facendoti nero, tutto il grande e inquietante mondo marino costituisce paura, se sei un pesce piccolo.

E poi i pesci grossi e i grandi mammiferi marini e ancora gli enormi e tentacolari mostri pronti a ghermirti se sei un pesce piccolo.

Le balene obese che, pigramente e pensosamente, quasi monumenti del mare, aprono la bocca in un ancestrale sbadiglio e, contemporaneamente, tolgono la vita a centinaia di pesci piccoli e di altre piccole creature, gli squali sornioni, poco gioiose macchine da guerra, che scorbutici e scostanti, guizzano fulminei ghermendo la preda e squartandola orribilmente, le piovre macrocefale, golgota calve con gli occhi velati e luciferini, che disegnando parabole impensabili con i loro tentacoli attirano, stritolandoli, pesci piccoli e ignari verso il loro rostro immondo, entrata e uscita della cloaca vitale.

E poi il buio.

E non poter neppure urlare, nel buio.

Si sa, i pesci sono muti… come pesci, sanno tenere l’acqua in bocca.

La speranza, ecco, la speranza è la carta vincente dei pesci piccoli.

Sperare in un raggio di sole che, trafiggendo e penetrando la coltre marina, arrivi a portare un po’ di luce nel buio perenne e anche un po’ di calore, sperare che lo squalo che incontri abbia già divorato tuo cugino e che lo abbia trovato saziante, sperare che la rete da pesca sia ancora del colore conosciuto che si riesce, in quanto conosciuto, a evitare, sperare che il plancton sia ancora abbondante nonostante l’ultimo scarico a mare dell’enorme petroliera ancorata alla rada, sperare che l’ordine delle cose del mondo abbia riservato per noi ancora un po’ di fortuna; ma Simplicio aveva perso anche la speranza.

Simplicio era un pesce piccolo, come tanti altri, non più piccolo, non più brutto, non più debole e vulnerabile di tanti altri, un piccolo pesce favorito dai grandi numeri, nel senso che essere uno tra milioni di pesci piccoli ti garantisce, statisticamente, un certo tempo di sopravvivenza.

Ma Simplicio era già morto prima di morire.

E sì, perché se essere un pesce piccolo è già un grosso problema, essere un pesce piccolo e depresso diviene un problema insormontabile.

Se la vita ha il suo ciclo e per il pesce grosso sono meno le paure, le ansie, le sconfitte, le delusioni, le ferite, i tradimenti, i brutti incontri e molte di più le vittorie, le tracotanze, le adulazioni, gli amori, le sazietà, le gioie, mentre invece per il pesce piccolo il paradigma si ribalta, se la vita ha il suo ciclo, dicevamo, è innegabile che anche per il piccolo pesce essa è fonte divina a cui bere senza timori per le ineluttabilità del suo essere vita degna di essere colta a piene mani, anzi a piene pinne.

Ma non per Simplicio.

Lui, piccolo pesce depresso non riusciva a cogliere nella vita nulla, ma proprio nulla, che potesse evocare questa dignità, che gli paresse degno di nota, di essere vissuto, di non essere fonte di paura e di terrore, di ansia e di angoscia, a partire dall’immane vastità del gelido mare al cui solo pensiero si sentiva annichilito.

E tremava stava immobile, col corpo e con la mente, paventando il futuro attimo dopo attimo, senza ristoro, sobbalzando al minimo movimento d’acqua, deviando all’incrocio con cavallucci marini impertinenti e meduse seducenti, salutando col broncio e con la paura tutte le piccole creature che popolano il mare, sempre pronto a valutarne le intenzioni per poi fuggire.

Devo dire che le piccole creature e tutti i pesciolini dapprima rimanevano molto male al comportamento di Simplicio, definendolo ineducato e spocchioso, ma poi, dotati di grande comprensione, lo accettavano come un originale.

Simplicio soffriva, non riusciva a godere di nulla.

Eppure le ritmiche danze dei piccoli pesci, le variopinte sfilate delle meduse e dei cavallucci, le pittoresche rincorse dei granchi e dei paguri, le coloratissime dispute dei pesci arlecchino, i guizzi traslucidi dei pilota alla ricerca di un delfino da traghettare erano splendidi regali che la vita del mare elargiva; e poi le caverne marine, antri stupendi ricchi di multiformi e colorate forme di vita, di impensabili gorghi di correnti calde che scaldano il cuore, di coralli così variegati da abbagliare la vista… eppure Simplicio viveva tutto con terrore, con orrore, nell’inedia dell’attesa della morte con la condanna del lucido pensiero.

Per fortuna che il mondo dei pesci piccoli è un mondo solidale. Solidale davvero.

Da tempo fratelli, parenti, amici di Simplicio soffrivano per lui.

Essi, di buon grado, evitavano i pericoli, amavano il mare fonte di vita, godevano della tutela del gruppo, si scambiavano l’amore e l’affetto che i pesci piccoli sanno donarsi vicendevolmente, nella consapevolezza dello stato immutabile delle cose, nella pari consapevolezza che il disegno superiore assegna a ciascuno, piccolo o grosso, un compito e un tempo e che né l’uno né l’altro vanno sprecati, pena l’essere mai nati.

Da tempo essi sapevano che, appunto, Simplicio desiderava non essere mai nato, ma era nato, desiderava sparire, ma occupava uno spazio fisico, ancorché piccolo.

Insomma lui c’era, e bisognava fare qualcosa per lui.

Essendo nel mare e non nel bosco, non potendo, per ovvie ragioni, recarsi nel bosco, era impossibile cercare Gufo Saggio e non era ancora stato inventato Pesce Saggio, i piccoli pesci ebbero un attimo di smarrimento.

Che fare per aiutare Simplicio?

Per fargli vivere la sua vita, proprio la sua, unica e irripetibile vita che si spegneva nella luce dell’anima momento dopo momento, nell’attesa della paura successiva.

I pesci piccoli, questo mondo solidale, giocarono d’astuzia.

Cominciarono a comportarsi come Simplicio.

E furono pianti e stridori di denti.

Centinaia, migliaia, milioni di piccoli pesci tremarono all’unisono, videro il buio del mare come un incubo, sentirono il minimo ondeggiare come il massimo incombente pericolo, deviarono fuggendo ad ogni incontro con Simplicio, gli portarono notizie di un' incombente catastrofe ambientale, di piogge acide, di pescatori subacquei muniti di pillole velenose da sciogliere nell’acqua, di sottomarini d’acciaio capaci di dare la scossa elettrica e di uccidere migliaia di piccoli pesci in un solo colpo, di squali mutanti grossi come bastimenti.

Sulle prime Simplicio toccò il fondo, non solo metaforico, ma proprio il fondo marino: svenne per la paura e finì sulla schiena di una sogliola addormentata che, con un colpo di coda, lo fece rinvenire e lo rincorse inviperita.

Andò poi a comprarsi, ormai bisognava farla finita, il manuale del giovane suicida.

Ma che paura il suicidio!

Il manuale suggeriva di sporgersi sul pelo dell’acqua con la testa e di lasciarsi soffocare, ma, e se mentre aspettava la morte passava un motoscafo e con l’elica lo tagliava a pezzettini?

Il manuale suggeriva anche di sbeffeggiare uno squalo, un tonno, una cernia: sarebbe stata morte certa! Ma, e se mentre il mostro ti stava divorando ne percepivi l’olezzo nauseabondo dell’alito? Non era plausibile, Simplicio, oltre che depresso era anche schizzinoso.

Ma poi qualcosa si accese nella mente del piccolo pesce.

Come era possibile che migliaia di pesci, milioni di piccoli pesci, a lui alcuni conosciuti, altri completamente ignoti, di solito sempre gioiosi e guizzanti, ottimisti e gai, pronti a giocare e danzare nei perigli della vita, fossero, di colpo, diventati cupi e pessimisti, terrorizzati e immobili, catastrofisti e angosciati?

Lo avevano fatto per lui! Solo per lui, piccolo e depresso pesce fuor d’acqua!

Stavano cercando di fargli capire tutto il loro dolore nel sentirlo morto prima di morire, di fargli amare la vita ricca della loro amicizia e della loro solidarietà.

E Simplicio iniziò a danzare; per la prima volta guizzare nell’acqua.

E mentre guizzava, tutto il mondo marino diventava translucido, colorato, multiforme, il grigio perenne che aveva negli occhi lasciava il posto al vivo disegno di abbracciare tutti, per quanto le sue piccole pinne glielo consentissero.

Tratto da: "Le fiabe per... vincere la paura (un aiuto per grandi e piccini)", di Elvezia Benini e Giancarlo Malombra, collana "Le Comete", Franco Angeli Editore. 

GLI AUTORI:

Elvezia Benini, psicologa, psicoterapeuta a orientamento junghiano, specialista in sand play therapy, consulente in ambito forense, già giudice onorario presso la Corte d'Appello di Genova. Autrice di numerose pubblicazioni a carattere scientifico.

Cecilia Malombra, psicologa clinica, specializzanda in criminologia e scienze psicoforensi, relatrice in convegni specialistici per operatori forensi e socio-sanitari. Autrice di pubblicazioni a carattere scientifico.

Giancarlo Malombra, giudice onorario presso la Corte d'Appello di Genova sezione minori, già dirigente scolastico, professore di psicologia sociale. Autore di numerose pubblicazioni a carattere scientifico.

Associazione Pietra Filosofale

L’Organizzazione persegue, senza scopo di lucro, finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale mediante l’esercizio, in via esclusiva o principale, delle seguenti attività di interesse generale ex art. 5 del D. Lgs. 117/2017:

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In concreto l’associazione, già costituita di fatto dal 27 gennaio 2016 e che ha ideato e avviato il concorso letterario Pietra Filosofale di concerto con l'amministrazione comunale, intende proporsi come soggetto facilitatore, promuovendo e stimolando proposte di cultura, arte e spettacolo sul territorio, organizzazione di eventi culturali e/o festival, ideazione e promozione di iniziative culturali anche in ambito nazionale, costruzione, recupero e gestione di nuovi spazi adibiti a luoghi di Cultura Permanente, anche all’interno di siti oggetto di riqualificazione e/o trasformazione quali ad esempio l’ex Cantiere Navale di Pietra Ligure, come già attuato nel 2018 presso la Biblioteca Civica di Pietra Ligure, ove ha curato un percorso specifico di incontri dedicati alla salute e al benessere attraverso il progetto Il sogno in cantiere": il sogno, in onore e ricordo del cantiere navale che un tempo a Pietra Ligure ha dato vita a tante navi che sono andate nel mondo, vuole ritrovare nel “Cantiere” il luogo di cultura permanente dove poter trascorrere un tempo dedicato al pensiero del cuore, per nutrire l'anima con letture, scrittura creativa, musica, conferenze, mostre.

La “Filosofia dell'associazione” è quella di ridare vita al "Cantiere" in una nuova forma e in un nuovo spazio, ma con lo stesso intento di progettare e costruire "mezzi" speciali, per poter viaggiare con l'immaginazione, strumento di fondamentale importanza per creare spazio e tempo migliori in cui vivere.

L'Associazione vuole favorire l'alchimia di differenti linguaggi, promuovendo spazi di arte, cultura e spettacolo, convogliando le energie nascoste, rintracciando il messaggio archetipico attraverso la narrazione, tentando di recuperare i meandri del proprio Sé, per creare momenti di incontro, scambio e ascolto e per gioire dell'Incanto della Vita. L'aspetto narrativo si è già concretizzato nel 2016 attraverso l'esperito Concorso letterario sulla fiaba; la fiaba è metafora di vita: se il suo linguaggio è ricco e articolato, anche la vita, di conseguenza, sarà ricca e articolata, capace, come per i personaggi delle fiabe, di conservare una nicchia di libertà che faccia considerare l'alterità, l'altro, come un patrimonio da tesaurizzare. L'intento è quindi quello di compiere il “varo” di un “Festivalincantiere” quale contenitore di numerose iniziative, in primis il recupero del concorso letterario sulla fiaba, per poter consentire di viaggiare con l'immaginazione, strumento di fondamentale importanza per creare uno spazio e un tempo migliori in cui vivere e per offrire al Comune l'ampliamento della propria visibilità culturale sia a livello locale sia nazionale e oltre.

«I luoghi hanno un'anima. Il nostro compito è di scoprirla. Esattamente come accade per la persona umana.» scrive James Hillman

La triste verità è che la vera vita dell'uomo è dilacerata da un complesso di inesorabili contrari: giorno e notte, nascita e morte, felicità e sventura, bene e male. Non possiamo neppure essere certi che l'uno prevarrà sull'altro, che il bene sconfiggerà il male, o la gioia si affermerà sul dolore. La vita è un campo di battaglia: così è sempre stata e così sarà sempre: se così non fosse finirebbe la vita. (C.G.Jung, L'uomo e i suoi simboli)

Pedagogia della fiaba

La fiaba è metafora di vita: se il suo linguaggio è ricco e articolato, anche la vita, di conseguenza, sarà ricca e articolata, capace, come per i personaggi delle fiabe, di conservare una nicchia di libertà che faccia considerare l'alterità, l'altro, come un patrimonio da tesaurizzare e non come un competitor o peggio come un diverso stigmatizzabile in minus da omologare coercitivamente.

"L'aspetto linguistico così intenso ed evocante contesti e costrutti, spesso caduti nell'oblio, è il necessario contenitore, è la pelle del daimon che consente a ciascuno di riappropriarsi di conoscenza e di dignità, ricordando a tutti e a ognuno che l'ignoranza è la radice di tutti i mali". (Giancarlo Malombra in "Narrazione e luoghi. Per una nuova Intercultura", di Castellani e Malombra, Ed Franco Angeli). 

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