In un mondo segnato da guerre, crisi globali e paure diffuse, può ancora esistere uno spazio per la speranza? È da questo interrogativo che è partita la prima serata dell’edizione 2025 del West Coast Meeting, ospitata per il secondo anno consecutivo nel complesso monumentale di Santa Caterina in Finalborgo.
Il titolo scelto per il primo appuntamento è emblematico: “Costruire la speranza”. Non un proclama ottimistico, ma la sfida a riconoscere, anche dentro l’inferno del presente, qualcosa che valga la pena salvare. E farlo crescere.
A introdurre il tema e moderare la serata è stato Paolo Desalvo, presidente dell’associazione organizzatrice Cara Beltà, che, partendo dalla frase di Italo Calvino da cui è tratto il tema dell'intera manifestazione “Ciò che inferno non è”, ha posto chiaramente il bivio di fronte al quale oggi siamo chiamati: «Il tema è se vogliamo far parte dell'inferno, accontentandoci magari di ciò che già abbiamo, oppure se ci rendiamo conto che il deserto cresce. Ma questo lo può riconoscere solamente uno sguardo che sta dall'altra parte, e va testimoniato».
Si è quindi affrontato il tema degli spazi dove trovare la speranza, di quali squarci di umanità si possano individuare in un'epoca di conflitti che Giorgio Vittadini, presidente della Fondazione per la Sussidiarietà, ha paragonato al tramonto dell’Impero Romano, segnata dal declino di un sistema fondato sull’egoismo e sulla prevaricazione che «potrà portare alla ricchezza, ma è evidente non funzioni». Per Vittadini la chiave sta quindi in quella che ha definito una “tristezza positiva”: un’inquietudine interiore che non porta alla rassegnazione ma al desiderio di cambiamento. Citando don Giussani, ha ricordato: «Se io sono triste che un popolo venga distrutto, che le armi vadano avanti, che un ricco può curarsi e un povero no; allora qualcosa rimane».
E se per Vittadini proprio da questo sentimento può nascere una speranza concreta, come già accadde nell’Italia del Dopoguerra, più severo e radicale è stato l’intervento di Fausto Bertinotti. L'ex sindacalista e politico di lungo corso, collegatosi da remoto, ha definito il nostro come un “tempo di mostri”, evocando l’immagine più volte menzionata da Papa Francesco di una “terza guerra mondiale a pezzi”. Un tempo di cui «la voragine di disumanità» che è Gaza è specchio purtroppo fedele.
Secondo l’ex presidente della Camera, la speranza oggi sembra dissolta nel mondo, e va dunque ricostruita dentro ciascuno di noi. Ma per farlo, è necessario non cercarla nella politica, fuoriuscire da essa , da un sistema che «difetta anche della forma», riferendosi alle logiche di potere dominanti e all’impotenza della politica internazionale. La sua proposta è quella di «inserire granelli di sabbia nell’ingranaggio di questo tecnofeudalesimo», in un panorama dove solo la Chiesa in Occidente conserva oggi la forza di opporsi davvero a questa deriva.
A portare uno sguardo concreto e umano è stato l’attore Pietro Sarubbi, noto anche per il suo percorso personale di conversione e impegno. Ha raccontato di come la speranza si manifesti quotidianamente in luoghi spesso dimenticati: carceri, comunità di recupero, situazioni di disagio estremo. «È lì che vedo tutti i giorni la speranza», ha detto, in occasioni d’incontro con persone che, pur segnate dal dolore, trovano la forza di rialzarsi e ricominciare.
Se tanti sono stati gli interrogativi posti e diverse le sfaccettature dell'analisi del tema, uno è stato il fil rouge: dalla capacità di ognuno di noi di riconoscere, anche nel deserto, ciò che vale e proteggerlo, testimoniarlo e costruirlo, giorno per giorno che c'è spazio per la speranza di invertire la rotta. Di fermare l'avanzata del deserto.