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Attualità | 17 ottobre 2011, 17:10

Indignati Savonesi a Roma

Diario di una giornata di lotta dei savonesi aderenti alla manifestazione dell'indignazione europea (e non solo)

courtesy of fanpage.it

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05:20 - Piazza del popolo è quasi completamente buia. E' ancora presto, anche per la nettezza urbana. Non si sente volare una mosca.

La città dorme, ma non tutta. Dalla “pesa” adiacente al parcheggio, dove solitamente si svolge il mercato, c'è un leggero movimento. La luce del lampione illumina una trentina di sagome che si muovono lentamente, all'unisono. Mi avvicino, e le sagome si fanno più nitide. Uomini e donne, mani in tasca, che ondeggiando sul posto, a destra e a sinistra, intirizziti dal freddo.

Sono gli indignados di Savona (studenti, lavoratori, precari e pensionati), quasi tutti appartenenti alle organizzazioni politiche e sindacali di massa, che hanno deciso di aderire alla manifestazione degli “indignados europei”. Parlano sottovoce, quasi a non voler svegliare nessuno, aspettano il pullman che li condurrà a Roma, leggermente in ritardo.

Le “facce da sonno” sono la prima cosa che si nota. Ma a ogni persona che arriva, nessuno trattiene saluti affettuosi e solidali, anche per i volti meno conosciuti.

C'è chi sorregge qualche bandiera ancora arrotolata, chi stringe lo zaino al petto per ripararsi dal vento freddo e tagliente, chi ronza affamato attorno alle borse piene di viveri, che qualche militante veterano ha saggiamente portato.

Nessuno si lamenta della levataccia.

05:45 – come il pullman volta dal capolinea del 7, si ritrovano sull'attenti, borse e zaini in spalla. Il tempo di aprire il portello e tutti i posti sono occupati, senza confusione. Alcuni militanti di Loano e Alassio si trovano già sopra.

Gianmaria (Rifondazione Comunista) estrae i fogli con l'elenco delle adesioni e fa l'appello, non manca nessuno, 50 presenti. Due indicazioni all'autista e si parte.

06:00 – L'occasione per fare conoscenza con i volti nuovi arriva immediatamente. Neanche il tempo di raggiungere l'autostrada che Maurizio e Rina (Confederazione Unitaria di Base) cominciano a distribuire la focaccia calda, comprata poco prima al forno di C.so Mazzini. Tutti ne hanno un pezzo, senza distinzioni. Due gemelle di Loano, novizie e non inquadrate nelle organizzazioni, ringraziano dispensando sorrisi e presentandosi.
Il tempo di ingurgitare la colazione che l'autobus passa dalle risa al silenzio. Ha vinto il sonno.

11:00 circa - Toscana. L'autogrill è una benedizione, soprattutto per i militanti un po' più “datati” (non me ne vogliano): ha luogo l'assalto alla toilette.

Con la luce del giorno è più facile guardarsi negli occhi. Caffè e sigaretta permettono (come se ce ne fosse stato bisogno) di rompere definitivamente il ghiaccio. Le persone cominciano a chiacchierare tra loro come si conoscessero da una vita. I più giovincelli si scrutano un po' attorno. Qualche commento sottobanco dei maschietti sulle nuove arrivate, mentre i militanti d'esperienza fanno qualche primo commento sulla giornata, improvvisando addirittura qualche previsione. Malgrado la maggior parte abbia già vissuto giornate di tensione (ad esempio nel 2001), nessuno è seriamente preoccupato. Tutti conoscono i rischi, ma nessuno sembra spaventato. E le “previsioni” lasciano spazio a discorsi più leggeri.

12:30 – Gli autisti hanno appena comunicato una buona notizia: si giungerà a destinazione in orario, forse addirittura in anticipo. Il sottoscritto approfitta del momento di pacata euforia e sfodera la telecamera, cominciando un precario andirivieni nel corridoio del pullman in movimento.

Malgrado i pochi, non abituati ad essere ripresi, che fingono un improvviso colpo di sonno cercando di mascherare il ghigno rivelatore, riesco a fare qualche breve intervista.

La domanda è semplice, ovvero il motivo della propria partecipazione all'iniziativa.

Le giovani leve, meno pratiche nella dialettica, improvvisano risposte un po' generiche, farfugliando qualcosa sulla pretesa di diritti universali nella scuola e nel lavoro, sottolineando la propria indignazione non solo verso questo governo, ma verso l'inesistenza di un'alternativa concreta e, quindi, della necessità di partecipazione diretta. (Ovviamente non con queste parole!)

Una risposta più completa la offre Matteo, (Consigliere Comunale di Finale Ligure per il Partito Comunista dei Lavoratori), e mi accorgo che l'intero pullman è calato in un silenzio attento: “ho deciso di dare il mio piccolo contributo, anche oggi, perchè non voglio più che una minoranza di banchieri, di industriali e di corporati del Vaticano guidino le politiche sociali ed economiche di questo paese ... e quindi mi batto per la rivoluzione, ovvero rovesciare questo sistema, esattamente come il vento del Magreb, spero, possa insegnarci”.

Nelle battute che sono susseguite, Matteo spiega anche il come, ovvero attraverso proposte decisamente radicali, che qui elenco:

  • annullamento del debito

  • nazionalizzare le banche senza indennizzo per i grandi azionisti

  • organizzazione di un parlamento categoriale sindacale e un polo comunista, alternativo sia al centro destra che al centrosinistra

  • centralizzare la battaglia sul tema del lavoro e riorganizzare classe operaia.

14:00 circa – sulla strada che costeggia Cinecittà i pullman non si contano. L'aria che si respira è di festa.

Come per il mattino, all'apertura del portellone gli occupanti sono già per strada.

C'è chi si accende subito una sigaretta, chi stira le gambe anchilosate dal viaggio, e chi raccoglie le bandiere.

Gianmaria parla un attimo con gli autisti, poi riunisce il gruppo e comunica le direttive: ognuno raggiunga e rimanga con lo spezzone del corteo della propria organizzazione. Ritrovo alle 19:00 dal mezzo per il rientro.

Nessuno parla di eventuali problemi. I veterani sanno come muoversi, gli altri devono seguirli.

15:00 – l'interno della metropolitana è sovraffollato. Si fatica a respirare. Le persone spingono, ansiose forse più di uscire dall'afa che di raggiungere il corteo.

Ma all'uscita della metro il colpo d'occhio spazza via ogni cosa. Un serpente umano a perdita d'occhio, e le bandiere di mille colori che impediscono uno sguardo verso “l'orizzonte”.

Un serpente differente rispetto alle altre manifestazioni. Disciplinato anche nella forma. Ogni organizzazione è ben riconoscibile, nel proprio spezzone e con i propri colori. Si individuano subito la Confederazione Unitaria di Base, l'Unione del Sindacalismo di Base, il Partito Comunista dei Lavoratori, Rifondazione Comunista, Sinistra Critica, San Precario, il popolo Viola, qualche centro sociale e qualche altra sigla minore.

La voglia è quella di perdercisi dentro. Tir e furgoni col sound-system ad ogni spezzone. Palloncini, giocolieri sui trampoli, madri con i figli nel passeggino, studenti a braccetto coi pensionati, migranti.

Tuttavia, a discapito dell'apparente tranquillità dei militanti e dell'aria di festa, l'esperienza insegna che chi ha una telecamera in mano è sempre a rischio, specialmente se non protetto da un contratto con una qualsivoglia emittente televisiva. Per cui decido di iniziare con quelli che conosco e di dirigermi allo spezzone della CUB, per poi valutare il da farsi.

16:00 – Il serpente è ancora fermo. Come accade spesso nelle mobilitazioni di massa, ci vuole tempo prima che l'intero corteo riesca ad incamminarsi ed ogni organizzazione tiri le fila dei propri iscritti. Malgrado gli elicotteri della polizia che ronzano insistentemente sulle nostre teste, e qualche voce che parla di primi tafferugli, nel guardarmi intorno decido di staccarmi dl gruppo. Telecamera in spalla e via per le interviste.

Prima la CUB, poi il PRC, poi le insegnanti precarie degli asili romani, poi l'USB. Tutti danno la stessa risposta: l'evento, secondo loro, non ha solo una valenza morale di generica indignazione, ma è un segnale politico che scandisce a chiare lettere come il sistema economico vigente, fondato sul liberismo economico e sulla dittatura del mercato e della finanza, sia fallito, e che sia necessaria un'alternativa strutturale.

Una critica quindi forte non solo al governo ma anche all'inesistente alternativa di centrosinistra e dei sindacati confederali, che, come al solito, non sono in piazza assieme ai lavoratori.

17:15 - Dopo un primo momento di deflusso, il corteo è di nuovo fermo. Le indiscrezioni circa gli scontri aumentano, ed aumenta la preoccupazione. Dagli altoparlanti si alternano comizi politici ed indicazioni ai manifestanti, ai quali viene consigliato di compattarsi e di restare con le proprie organizzazioni. Che nessuno decida di avventurarsi da solo.

Malgrado il rischio decido di proseguire da solo, fino a quando, verso la fine di via Cavour, non vedo di persona le auto a cui alcune teste calde hanno dato fuoco. Chi vi sfila davanti smette di cantare. Nessuno ha voglia di ridere. Gli slogan prima cantati ora vengono urlati con rabbia.

Mentre il corteo avanza lentamente al centro della strada, sui marciapiedi frotte di manifestanti risalgono controcorrente, rilasciando sporadiche informazioni circa forti cariche dietro al Colosseo.

Raccolgo alcuni commenti a caldo sulle auto bruciate. Nessuno si sente di condannare a spada tratta, poiché, spiegano i manifestanti, il discorso è veramente complesso. Di sicuro però tutti sono assolutamente contrari alla cosa, poiché il rischio per i militanti è alto e inutile, almeno in questa fase.

C'è anche chi fa notare come solitamente, di fronte alle manifestazioni numerose, le auto e i cassonetti vengano preventivamente portati via per limitare i danni, cosa che invece non è successa e che, secondo alcuni, ha tutta l'aria di un fatto voluto.

18:00 - Lo spezzone della CUB, insieme ai migranti, chiude alla coda del corteo, oramai a ridosso del Colosseo. Sul fianco destro, ad ogni traversa, blindati della polizia bloccano la strada.

I telefoni sono roventi. Nove persone su dieci sta cercando di comunicare con qualcuno. Chi da casa chiama per avere notizie dei cari, chi racconta le immagini dei TG, chi cerca di capire dove sono finiti i compagni e se stanno bene.

Maurizio è al telefono con Adriana, insegnante in pensione. Stava aspettando che alcuni compagni comprassero l'acqua in uno degli innumerevoli bar aperti, quando la carica l'ha tagliata fuori. Si è nascosta chiudendosi dentro ad un portone e non può uscire (si saprà più avanti che molti cittadini romani, come successe a Genova nel 2001, hanno volutamente aperto i portoni ai manifestanti per proteggerli). Non ha particolarmente paura dice, ma è preoccupata di non poter raggiungere il pullman in tempo.

Gianmaria ci raggiunge telefonicamente: lo spezzone di Rifondazione si è trovato in mezzo ai lacrimogeni, ma sono riusciti a defilarsi abbastanza tranquillamente, stanno bene, e stanno tornando verso il mezzo. La compagna più giovane, alla sua prima manifestazione, piange.

Franco invece comincia ad accusare la stanchezza. Anche lui è un ex insegnante, ora in pensione, appassionato di botanica e di fotografia. Purtroppo ha alcune difficoltà motorie. La preoccupazione è che le cariche possano estendersi alla zona in cui ci troviamo e che ci si ritrovi costretti a correre.

Due calcoli veloci e Maurizio, assieme ai militanti CUB, decidono di tornare indietro. Non arriveremo, come molti altri, a Piazza San Giovanni. Per noi la manifestazione è finita.

18:45 – troviamo gli ingressi della metropolitana Colosseo e Cavour (i più vicini) chiusi. Per tornare ai mezzi bisogna raggiungere a piedi Stazione Termini. Sono 2 km a piedi. Anche Adriana si è messa in contatto, è sulla strada del ritorno.

20:00 – un'ora di ritardo all'appuntamento, ma il gruppo sembra essersi ricompattato al pullman. Gianmaria estrae nuovamente i fogli delle adesioni, e con voce preoccupata si avvicina ad alcuni militanti più anziani: un ragazzo manca all'appello. Minorenne e, con molta ira del gruppo, senza telefono.

Si comincia a ragionare sull’ipotesi che sia rimasto coinvolto negli scontri e su come cercarlo tramite gli ospedali, su chi contattare tra le organizzazioni romane e su chi mobilitare per un eventuale intervento, quando arriva una sua telefonata. Un'altra ora di ritardo.

Se la caverà con una pesante ramanzina di Maurizio, sia per essersi staccato dal gruppo e non essersi preoccupato di mettersi in contatto subito, sia per la sua “poco saggia” curiosità per gli scontri.

22:30 – Inizia il viaggio di ritorno. Dopo la naturale curiosità, nell'ascoltare i racconti di chi è rimasto coinvolto nella zona degli scontri, la ramanzina offre lo spunto per aprire a caldo un dibattito sugli avvenimenti della giornata.

La cautela rispetto alle poche informazioni riguardo l'identità di chi ha sostenuto gli scontri, e sulla reale appartenenza o meno al movimento, non nega comunque un parco di affermazioni molto profonde, sia dai più esperti che dalle giovani leve.

Qualcuno più giovane sostiene l'incondannabilità della violenza poiché frutto di una frustrazione generazionale causata proprio dal sistema, e che la scelta di colpire i simboli del potere sia comunque legittimabile.

Alcune insegnanti invece premono sul problema della mancanza, per i giovani, di quegli strumenti di lotta di cui hanno goduto le generazioni precedenti. C'è chi afferma infatti che “un buon rivoluzionario non è quello che non ha paura di morire, ma è quello che sa scegliere come e quando correre il rischio, controllando le proprie emozioni”, sottolineando le colpe della generazione degli anni ottanta che ha abbandonato la politica e che, conseguentemente, ha abbandonato l'educazione dei propri figli.

I più esperti pongono invece l'accento sulla mancanza di un'organizzazione sindacale forte e di un partito comunista in grado di offrire un servizio d'ordine interno, storicamente formato dagli operai, capace di non offrire il fianco ai provocatori, lanciando una frecciata sui sindacati confederali, puntualmente assenti, quando non complici del sistema.

Nessuno, comunque, si sogna di giudicare fallita la giornata, dalla quale, secondo gli “indignados savonesi”, è emerso l'inizio di un cambiamento reale e radicale, di una presa di posizione controcorrente a fronte di una crisi profonda del sistema, che si sta lentamente avviando verso la sua più totale disfatta.

24:00 – ultima tappa all'autogrill. Forse più per la tensione che per la sfacchinata. Il pullman cala nuovamente nel silenzio. Tra i lievi respiri del sonno dei “guerrieri”, c'è chi si permette un'ultima, stanca, battuta: “dannazione che scomodo sto pullman!”.

Matteo Loschi

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