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Attualità | 29 agosto 2025, 12:29

La parabola di Irene Pivetti: "Sono finita alla Caritas e a fare le pulizie". Da Savona era partita l'inchiesta sulle mascherine anti-Covid

L'ex presidente della Camera al Corsera: "Mi preparo al carcere. In Italia il sistema ti condanna già solo per il fatto di fare impresa"

La parabola di Irene Pivetti: "Sono finita alla Caritas e a fare le pulizie". Da Savona era partita l'inchiesta sulle mascherine anti-Covid

Alla possibilità di finire in carcere "ci penso", "ho le mie tristezze di mamma e ora anche di nonna, ma ho capito che questo pensiero non può e non deve prendere il sopravvento sulla mia vita", "non credo nel complotto, penso solo che il sistema ti condanna già solo per il fatto di fare impresa". Sono alcune delle risposte di Irene Pivetti ad un'intervista al Corriere della Sera, che ne ripercorre le vicende giudiziarie e umane. E ancora: "Non voglio destare pietà. Racconto di me perché io ho la possibilità di farlo e voglio essere la voce di chi è nella mia situazione. Quanti imprenditori hanno perso tutto e poi sono risultati innocenti? Non rifarei più l'imprenditrice".

A Busto Arsizio è in corso il processo che la vede imputata a vario titolo per frode in pubbliche forniture, appropriazione indebita, riciclaggio" e autoriciclaggi nell’ambito di una compravendita dalla Cina di mascherine per un valore di 35 milioni di euro che arrivarono a Malpensa durante l’emergenza Covid.

Cinque anni fa la Procura dei Savona iscriveva l'ex presidente della Camera nel registro degli indagati, in qualità di amministratore delegato della società Only Italia Logistic. L'indagine era partita dopo il sequestro di alcune mascherine contraffatte destinate a una farmacia di Savona. Gli investigatori sono risaliti alla società di importazione della Pivetti, che avrebbe importato dalla Cina decine di milioni di mascherine con certificazioni irregolari. Un'operazione che avrebbe violato anche le norme sull'esenzione IVA. Subito dopo anche la Procura di Siracusa avviava un'inchiesta parallela.

Ma a dare un colpo alla parabola discendente della più giovane presidente della Camera (tra il 1994 e il 1996, deputata della Lega per tre legislature) c'è stata anche la condanna a quattro anni di reclusione per evasione fiscale e autoriciclaggio comminata dal tribunale di Milano nel settembre 2024. Al centro del procedimento giudiziario, un'operazione commerciale del 2016 del valore di 10 milioni di euro, nella quale figurava una presunta compravendita fittizia di tre Ferrari granturismo, destinate formalmente a una società cinese. Secondo gli inquirenti, la transazione era funzionale al riciclaggio di fondi derivanti da reati fiscali: le auto non sarebbero mai state consegnate, ma utilizzate per occultare capitali allo Stato.

Oltre alla pena detentiva, la sentenza ha disposto la confisca di beni per un valore superiore ai 3,4 milioni di euro e ha stabilito diverse interdizioni che escludono Irene Pivetti da incarichi pubblici e da attività imprenditoriali. L’ex esponente istituzionale ha sempre sostenuto la propria innocenza, parlando di "accanimento giudiziario" nei suoi confronti.

Dopo la condanna, Irene Pivetti ha raccontato pubblicamente di aver affrontato momenti di grave difficoltà economica, tanto da ricorrere al sostegno della Caritas e da accettare un impiego come addetta alle pulizie presso una cooperativa. Nell'intervista rilasciata al Corriere della Sera e firmata da Rosella Redaelli, ha rivelato: “Non mi vergogno a dire che ho ricevuto pacchi viveri dalla San Vincenzo. Non lo dico per commuovere nessuno: non mi sono mai lamentata, ma ho il dovere di dar voce a chi vive la mia stessa condizione e non può raccontarla. Quanti imprenditori sono finiti sul lastrico, per poi essere dichiarati innocenti?".

L'ex presidente della Camera ha inoltre ripercorso i primi momenti dell’inchiesta: "Quando la Guardia di Finanza mi ha notificato l’avviso di garanzia, ho pensato a un errore. Proprio perché sono un personaggio pubblico, sono sempre stata scrupolosa. Invece mi sono trovata in un tritacarne. Oggi chi fa impresa è considerato automaticamente colpevole. In un attimo ti ritrovi in prima pagina. Non do colpa ai giornalisti: fanno il loro lavoro. Ma il sistema ti toglie dignità, distrugge la tua immagine e ti annienta anche economicamente. A me non hanno potuto sequestrare la casa solo perché non ne avevo una. Ad altri è successo".

Sul possibile ingresso in carcere, Pivetti ammette: "Sì, ci penso. Mi preparo anche a questa eventualità. Ho le mie tristezze di madre, e ora anche di nonna. Ma cerco di affrontare tutto con equilibrio. Non voglio che la condanna diventi una spada di Damocle sulla mia esistenza. Grazie a Dio, e non è una frase fatta, sono riuscita a rimettere insieme la mia vita".

Pur dichiarandosi estranea a qualsiasi logica cospirazionista, Pivetti critica duramente il contesto in cui è maturata la sua vicenda: "Non credo ai complotti. Ma penso che il sistema condanni a priori chi fa impresa. È un sistema perverso, in cui manca il rispetto per la persona. Se davvero esiste la presunzione di innocenza, allora va tutelata con coerenza. Invece oggi viene calpestata".

Alla domanda su cosa si rimproveri, la risposta è netta: "Non aver previsto cosa può significare fare impresa in Italia. Finire stritolati da un meccanismo che non lascia scampo. Oggi non rifarei l’imprenditrice".

Redazione

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