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Attualità | 19 novembre 2025, 12:15

Benessere mentale nei luoghi di lavoro, presentati a Savona i dati nazionali: un lavoratore su quattro a rischio “burnout”

All’Unione Industriali illustrata l’indagine HR Trends 2025 di Randstad e UniCattolica. Cresce la richiesta di sostegno dei lavoratori, non la risposta delle aziende. L’IA migliora i processi, ma crea anche nuove insicurezze

Benessere mentale nei luoghi di lavoro, presentati a Savona i dati nazionali: un lavoratore su quattro a rischio “burnout”

Il 31% dei lavoratori italiani si sente spesso o sempre stanco già al mattino, lo stesso 31% dichiara di essere “emotivamente esaurito” e il 28% vive in uno stato di stress o ansia eccessiva. Un lavoratore su cinque presenta tutti questi sintomi insieme, configurando un rischio elevato di burnout.

Parallelamente, emergono fragilità nel clima lavorativo: solo il 25% si sente parte di un gruppo aperto, appena il 20% ritiene di essere compreso e accettato e la stessa percentuale sente di avere controllo sul proprio futuro professionale.

Sono stati presentati oggi a Savona, nella sede dell’Unione Industriali, i risultati dell’HR Trends 2025, lo studio sul benessere mentale realizzato da Randstad Professional Leaders Search & Selection in collaborazione con l’Alta Scuola di Psicologia Agostino Gemelli (ASAG) dell’Università Cattolica. L’indagine, condotta su 355 responsabili delle risorse umane e 563 lavoratori, fotografa una situazione che gli stessi ricercatori definiscono “oltre il livello di guardia”.

Dallo studio emerge che ben 7 lavoratori su 10 chiedono che le aziende si preoccupino del loro benessere mentale, non solo in ambito lavorativo, ma anche personale. Una richiesta forte che però non trova, secondo i campioni raccolti, un’adeguata risposta: il 77% delle aziende dichiara un’attenzione sul tema, ma solo il 45% ha attivato concretamente progetti o strumenti dedicati. Eppure, chi ha realizzato interventi ha riscontrato effetti positivi, soprattutto sul senso di appartenenza all'azienda (nell’88% dei casi), la qualità del lavoro (85%), la motivazione e produttività (85%), ma anche sulla fidelizzazione delle persone (81%) e perfino l'immagine aziendale (81%).

Le iniziative spaziano dal welfare al supporto psicologico, dalla formazione alla flessibilità oraria, passando per menù salutari, team building, smart working e attività creative o sportive.

“Il benessere mentale oggi è un tema centrale per ogni azienda, che non può più essere sottovalutato - afferma Pia Sgualdino, Head of Randstad Professional Leaders Search & Selection Italia -. Attivare progetti in questo ambito ha ricadute positive sulla qualità del lavoro, la motivazione dei lavoratori e la loro fidelizzazione. Che si tratti di iniziative di welfare, flessibilità, incentivi, spazi per il relax, in ogni caso nessuno strumento, anche il più innovativo, è sufficiente da solo: serve un’organizzazione che favorisca il wellbeing in senso complessivo. La sfida per gli HR è progettare interventi a 360 gradi, supportando le persone senza risultare invadenti in un ambito delicato: bisogna mantenere il giusto equilibrio tra sostegno e rispetto dell’autonomia e della riservatezza, cogliendo i segnali di malessere senza invadere la sfera privata e far percepire l’opportunità di supporto come un’imposizione.”

“Nelle organizzazioni il benessere mentale, le relazioni tra colleghi e la formazione sono ormai riconosciuti come elementi cruciali – afferma Caterina Gozzoli, professoressa di Psicologia della convivenza socio-organizzativa dell’Università Cattolica –. Eppure, la ricerca evidenzia uno scollamento tra quanto le funzioni HR delle aziende dichiarano di aver messo in atto per la qualità della vita organizzativa e quanto i professionisti percepiscono (ansia, senso di esclusione, mancanza di pratiche strutturate a sostegno della collaborazione tra colleghi). Inoltre, l’intelligenza artificiale, che per gli HR è ormai un passaggio obbligato, da molti lavoratori è vista con curiosità e timore perché può alleggerire i carichi e ridurre lo stress, ma rischia di minare il senso di utilità se non accompagnata da percorsi formativi. L’organizzazione si gioca dunque la propria credibilità nella capacità di proporre e monitorare politiche e azioni entro una strategia chiara e condivisa in cui il benessere, la colleganza e la crescita non restino slogan o pezzi sconnessi ma diventino ingredienti tangibili per il miglioramento professionale ed organizzativo.”

L’intelligenza artificiale: tra opportunità e nuove preoccupazioni

La ricerca evidenzia anche come, in ausilio del benessere mentale, sia giunta al giorno d’oggi anche l’intelligenza artificiale. Ad essa, oggi utilizzata in circa la metà delle aziende nei propri flussi di lavoro, e al suo ruolo è dedicato un ampio focus. L’IA, secondo l’indagine, produce effetti positivi in sei casi su dieci: per la maggioranza di Risorse Umane e lavoratori l’AI aiuta a ridurre compiti ripetitivi, alleggerisce i carichi e offre strumenti immediati di supporto. 

Non mancano tuttavia criticità: un terzo degli intervistati segnala un calo del senso di utilità, insicurezza lavorativa e una formazione meno personalizzata.

Guardando al futuro, esiste un consenso sul fatto che nei prossimi cinque anni l’intelligenza artificiale agirà soprattutto su processi complessi e attività ad alta regolamentazione. Opinioni divergenti invece sulla gestione delle persone: gli HR prevedono effetti positivi, mentre i lavoratori restano scettici. Per entrambi, comunque, restano irrinunciabili alcune competenze umane — dall’empatia alla leadership, fino alla creatività — che l’AI non potrà sostituire e con possibili ricadute sulla formazione.

Formazione: cresce l’investimento degli HR, ma la percezione dei dipendenti è diversa

Proprio sul tema della formazione, il 64% dei direttori HR afferma di aver aumentato gli investimenti in formazione, ma solo il 26% dei lavoratori lo percepisce. Gli obiettivi principali riguardano lo sviluppo di soft skills (72%), competenze tecniche (61%), preparazione ai cambiamenti tecnologici e organizzativi (56%), rafforzamento del senso di appartenenza (52%) e promozione della collaborazione (45%). 

Il tema del benessere mentale nella formazione è un punto dolente. Il 68% dei responsabili delle Risorse Umane ritiene importante una formazione dedicata, ma solo il 39% dei dipendenti condivide questa percezione. Ancora più marcata la distanza quando si parla dell’interesse dei lavoratori: gli HR credono che riguardi appena il 14% del personale, mentre in realtà è quasi tre volte tanto (39%). Una differenza che conferma quanto resti ancora da fare per costruire percorsi formativi realmente allineati ai bisogni delle persone.

Redazione

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